Fondazione the Bridge: “alto lo stigma verso le persone sieropositive tra gli operatori sanitari”

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Fondazione the Bridge: “ancora alto lo stigma verso le persone sieropositive tra gli operatori sanitari. Infezione da hiv è ormai diventata cronica, pazienti invecchiano. Test diagnostico sia inserito tra quelli di routine”

Nonostante siano trascorsi 40 anni dalla scoperta del virus dell’Hiv, e le persone sieropositive siano ormai da considerarsi come dei “malati cronici”, lo stigma e la discriminazione tra gli operatori sanitari verso questa categoria di pazienti continua ancora ad essere alto, quasi sempre dovuto alla mancanza di informazioni aggiornate. È uno dei dati che emerge dai dati preliminari dell’indagine “Riorganizzazione modello di presa in carico Hiv”, condotta da ‘Coalition Hiv’ e presentata al convegno ‘Consensus Meeting Coalition 2021’ organizzato da Fondazione The Bridge a Milano.

STIGMA TRA OPERATORI SANITARI: Nella ricerca, cui al momento hanno risposto 32 associazioni e 55 centri clinici operanti su tutto il territorio nazionale, è stato chiesto di valutare, su una scala da 1 a 5, se discriminazione e stigma fossero ancora presenti all’interno del sistema sanitario e socio-assistenziale. E sia le associazioni che i centri clinici hanno risposto con un punteggio di quasi 4, dunque alto. “C’è discriminazione tra gli operatori sanitari verso le persone sieropositive – rileva Sergio Lo Caputo, professore associato di Malattie Infettive dell’università di Foggia – ma se si prende la terapia antiretrovirale e non si ha carica virale, non si può infettare nessuno in nessun modo. È un concetto questo che va discusso dalle scuole fino all’ambiente sanitario e i medici non infettivologi”. Anche Giulia Marchetti, Professore Associato Università degli Studi di Milano e presso il Dipartimento di Scienze della Salute Ospedale Santi Pietro e Paolo e referente Cluster Malattie Infettive di Fondazione The Bridge, conferma la “sensazione che a volte, in alcuni contesti, ci sia sospetto, la difficoltà di capire che paziente si sta trattando. Non è un appestato, ma un paziente come altri, con un’infezione cronica che non dà problemi. Non è stigma con dolo, ma mancanza di conoscenza”.

INFEZIONE CRONICA: “Le persone sieropositive sono ormai dei malati cronici e come tali vanno gestiti. È da qualche anno che ci si è resi conto che l’infezione da Hiv è cronica, perché non riusciamo a eradicarla. La persona infatti non guarisce, ma rimane portatrice di un virus che rimane presente e silente”, sottolinea Giulia Marchetti. L’essere portatori ha delle “conseguenze cliniche, come un maggior rischio di alcune malattie, che necessitano di attenzione – continua Marchetti -. Il modello organizzativo per la presa in carico della persona sieropositiva deve quindi adeguarsi e prendere in considerazione i rischi clinici di avere ad esempio diabete, pressione alta, problemi al cuore o problemi psicologici”.

Quello che è certo, hanno sottolineato gli operatori e infettivologi riuniti da Fondazione The Bridge a Milano, è che il modello organizzativo di presa in carico stabilito dalla legge 135 del 90 deve essere ora aggiornato, anche sfruttando i fondi che arriveranno con il Pnrr. “C’è un’occasione storica per rimodulare le malattie infettive, tenendo conto della loro diversità. Con il Covid sono arrivate le risorse, ma si rischia di far percepire le strutture infettive come quelle che devono intervenire nell’emergenza. Quando sarà finita, continueranno invece a servire anche nell’ordinario”, aggiunge Marcello Tavio, presidente della Società italiana malattie infettive e tropicali (Simit).

TEST HIV DIVENTI DI ROUTINE: “Bisogna ampliare il più possibile l’accesso al test diagnostico. Per il futuro serve uno sforzo per migliorare la qualità dei test. Dopo 40 anni ci sono persone con Hiv che stanno invecchiando”, sottolinea Sandro Mattioli, presidente di Plus (persone LGBT+ persone Sieropositive). Per Lo Caputo bisogna facilitare l’accesso al test per l’Hiv. “Molti medici non lo chiedono anche per sintomi che potrebbero rientrarci. Il test Hiv dovrebbe diventare un esame di routine. Il concetto che vogliamo di normalizzazione dell’Hiv passa dal fare test in una situazione come quella di tutti altri esami, come azotemia o glicemia, deve essere una prassi, non uno stress”. A tal fine, secondo gli esperti, bisognerebbe provare a decentralizzare i punti dove fare l’esame anche fuori dall’ospedale, e magari ragionare sull’opportunità di eliminare la richiesta di consenso informato per sottoporsi al test.

Come ha evidenziato Rosaria Iardino, presidente di Fondazione The Bridge, “non torneremo al mondo com’era prima della pandemia, ma dobbiamo andare oltre e vedere quello che sarà. Come Coalition potremmo proporre al Cts, al ministro della Salute e Agenas un tavolo comune di ragionamento su come cambierà l’Hiv e le sue esigenze, su come sarà il futuro. Avremo disponibilità economiche importanti per mettere in atto riforme che poi dovranno essere sostenibili nel lungo periodo”.

Rosaria Iardino

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