Allestire
una mostra di Andy Warhol è un rischio piacevole, a costo di ripetersi e dire cose che tutti sanno, perché in tanto affermare, di sicuro viene fuori qualche cosa di nuovo, tanto è ricco di pause, di sospensioni, ogni suo discorso, tanto che niente può essere dato per scontato. Tanto più che spesso si constata che non c’è nulla di più ignoto, di una cosa nota a tutti, come la famosa favola del re nudo che tutti vedevano vestito ed elegante. Andy Warhol è continuamente studiato e le cronache degli andamenti di mercato lo vedono, continuamente, protagonista, non solo di vendite record, ma di una richiesta che concerne ogni campo della sua attività, coinvolgendo la sua Factory, in un effetto desiderante che ha pochi rivali, nella pop art americana, in tutta la storia del suo produrre a getto in ogni creatività che gli capitasse a tiro, generata da progetto o pura casualità. Tanta opera di questo artista ineffabile è la presa d’atto della fenomenicità dell’errore, del non finito, dello squartamento, metaforico, per carità, di ogni realismo, che trattato, con finta trascuratezza e con studiata sciatteria, diventa un laboratorio del nuovo, del diverso, dell’inconsueto. Il collezionismo internazionale si è tanto abituato al suo movimento ondivago, da considerarlo necessario ad ogni collezione che conti, pubblica o privata che sia, tanto che si potrebbe vendere anche l’aria che si respira. La mostra di Genova, evento straordinario di una retrospettiva che è una vera rarità, che viene dal ventre della sua Factory, mette in scena l’uomo Warhol, come non siamo abituati a ricordarlo dalla nostra sponda europea, allora, molto più di ora, deformata da una chiave politicistica. Per partecipare scrivere a: p.lettieri@accademiabelleartirc.it.