Solidarietà e pandemia: l’esempio di don Zampaglione

StrettoWeb

Solidarietà e pandemia, l’esempio di don Zampaglione: solidarietà, socialità, aiuto reciproco, materiale, psicologico, spirituale. Ne usciremo solo tutti insieme

Brutti tempi quelli della pandemia, nemmeno fossimo ripiombati ai tempi delle più famose epidemie scoppiate nell’antichità. Certo, la pandemia attuale provoca molti meno morti di un tempo, per fortuna. Ma a parte che i morti non possono essere sottoposti a un computo puramente numerico, bisogna aggiungere che comunque la pandemia odierna da Covid-19 colpisce comunque le fasce più deboli (gli anziani, i malati, purtroppo anche giovani sani e i disinformati) e ciò non può non preoccupare ed essere oggetto di pena. E anche indignare: ne sentiamo l’ingiustizia. D’altra parte la scienza, pur capace per fortuna di combattere il morbo, sia pure con tentativi ed errori, con lentezze, con esitazioni a volte insopportabili, quando si lega a logiche di mercato e non mette a disposizione di tutti le sue conquiste, provoca anch’essa dubbi, interrogativi, addirittura opposizione. La recente polemica sui diritti che ancora impediscono una piena diffusione dei vaccini non ha sortito effetti. Ovviamente la Chiesa si colloca su un fronte diverso. Papa Francesco, esattamente all’opposto, ha offerto parole di pace e di unione tra i popoli, di inviti alla solidarietà e all’aiuto reciproci. Ma mai come ora sembra che cattiveria e menefreghismo invece aumentino e dominano. Come è testimoniato anche dai social, termometro della febbre sociale e culturale che attraversa le nostre società, pieni di disperazione, paura e solitudine. Il lungo lockdown ci ha fatto tutti reclusi. È facile capire come in questa situazione si sono acuite o sono sorte situazioni profonde di disagio psicologico, sociale, materiale. Proprio per questo la recente notizia del riconoscimento, un “encomio particolare”, dato dal commissario prefettizio a don Giovanni Zampaglione acquista particolare valore. Di fronte alle tante sofferenze provocate dalla pandemia l’opera di questo sacerdote – sempre accanto a chi ha bisogno, agli anziani, ai giovani, a chi è più solo o meno sa adattarsi alla nuova, drammatica situazione – acquista valore. Fare comunità, ristabilire occasioni di socialità (pur nel rispetto delle norme sanitarie vigenti), aiutare i più deboli, ha significato per il parroco della SS. Trinità in Marina di San Lorenzo proseguire una presenza ormai consolidata nel territorio. E anche continuare una lunga tradizione ecclesiastica che si perde nei secoli addietro.

Vengono alla mente figure di persone che, animate da amore e sentimento religioso, nei secoli hanno affrontato diverse epidemie e in cui hanno saputo portare in primo luogo amore e conforto. Persone come noi, forse anche più deboli e fragili. Ma che non per questo si tirarono indietro quando fu necessario sporcarsi le mani ed entrare in diretto contatto con il morbo dilagante. Vorrei ricordare Godeberta di Nyon (640-700), una badessa molto rispettata ai suoi tempi, che chiese di continuare a pregare senza sosta durante la pestilenza del suo tempo (e, come per miracolo, dopo tre giorni di digiuno, la peste si arrestò improvvisamente). Oppure San Roque (San Rocco, 1235-1327), un santo ancora adesso molto riverito in Francia, che pellegrino verso Roma, scoprì che la penisola era devastata dalla peste. Iniziò a prendersi cura dei malati che incontrava lungo la sua strada, ma la peste colpì anche lui, che, per non infettare altri, si rifugiò malato in un bosco, per lasciarsi morire. Un cane lo trovò, portandogli del cibo e lavando le sue piaghe. Roque si riprese e continuò nella sua missione. Ricordo ancora santa Virginia Centurione Bracelli (1587-1651), una ricca vedova, attiva allo scoppio della pestilenza a Genova. Ospitò numerosi malati nella sua casa privata, poi, non essendoci più posto e con l’aumento dei malati bisognosi, affittò a sua spese un convento vuoto e costruì altre case. Altra personalità di spicco fu il cardinale Carlo Borromeo, che visse nel Seicento, al tempo della peste a Milano, come racconta Alessandro Manzoni in I promessi sposi. Si racconta che, mentre i nobili se l’erano data a gambe a seguito del dilagare del morbo, Borromeo organizzò i religiosi rimasti in modo che si potessero nutrire e curare i malati e gli affamati. Di tasca propria, il cardinal Borromeo finanziò e nutrì oltre 60.000 persone al giorno, indebitandosi fino al collo in tale impresa. Anche Carlo Borromeo andava di casa in casa a portare il cibo e a curare gli ammalati, spesso lavando di persona le loro ferite.

Tanti altri gli esempi: il beato Pietro Donders (1809-1887), era un sacerdote redentorista olandese che prestò servizio in Suriname (Guyana olandese) per 45 anni, dove ha combattuto per i diritti delle persone schiavizzate, ha evangelizzato gli indigeni e si è preso cura dei malati durante un’epidemia. Trascorse gli ultimi tre decenni della sua vita in una colonia di lebbrosi. O san Giuseppe Gabriele Del Rosario Brochero (1840-1914), un prete argentino, che curò i malati durante una brutta epidemia di colera, contraendolo egli stesso ma guarendo. E che dire di suora Marianna Cope (1838-1918)? Venne chiamata dal re delle isole Sandwich nell’ Oceano Pacifico, per portare soccorso insieme alle sue consorelle durante una epidemia di lebbra insieme a San Damiano di Molokai. Nonostante le consorelle avessero molta paura del possibile contagio della lebbra, suor Marianna Cope le rassicurò e istruì. Esse non contrassero la malattia, grazie a rigide pratiche igieniche e molta disciplina. Le suore lavorarono con i lebbrosi Molokai per quasi un secolo, senza che nessuna di loro risultasse contagiata. Se ho ricordato queste persone mirabili, questi santi che lungo i secoli si sono impegnati contro malattie terribili, anche peggiori dell’attuale, non è certo per paragonare le situazioni passate a quella attuale. Come ho detto, oggi per fortuna la scienza combatte validamente al nostro fianco, per noi. Ma la scienza non è tutto. Resta la necessità della solidarietà umana, della ri-conquista della socialità, resta il dramma di chi oggi più che mai è in difficoltà economica.

Non siamo alle pandemie di un tempo, ma per molti la situazione è stata ed è comunque drammatica. Non deve prevalere l’egoismo, non deve vincere la paura. Mai va dimenticato che i nostri fratelli e le nostre sorelle proprio in questa contingenza possono avere bisogno di una parola o di un gesto d’amore, di comprensione, di aiuto. Un sorriso, a chi incontriamo nella vita quotidiana Dobbiamo essere accorti e prudenti, ma anche pronti ad ascoltare le richieste di aiuto di chi è solo, anziano, malato. Ancora oggi le figure dei religiosi e dei santi che ho ricordato indicano la strada: sono esempi che in piccolo tutti noi potremmo seguire, proprio in un periodo difficile come questo, dove paura e cattiverie serpeggiano come un veleno sotterraneo, e che invece dobbiamo invece far vincere l’amore. È per questo che oggi l’esempio di don Zampaglione, e anche il riconoscimento che le autorità civili gli hanno voluto dare, sono una via, una indicazione importante. Solidarietà, socialità, aiuto reciproco, materiale, psicologico, spirituale. Ne usciremo solo tutti insieme.

Olga Balzano Melodia

Condividi