Ora gli italiani non hanno più paura solo del Covid, ma anche di recessione e tensione sociale: il rapporto che evidenzia le conseguenze della pandemia

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Il rapporto Ipsos-Flair 2021 ha evidenziato la percezione degli italiani sulle conseguenze della pandemia: più paura di recessione e tensione sociale che del Covid

Dalla paura per il Covid a quella, in aggiunta, della tensione sociale, dello smottamento del ceto medio, della disoccupazione, della mancanza di stabilità e serenità e molto altro ancora. Interessante e realistico è il quadro della situazione espresso dal rapporto Ipsos-Flair 2021 presentato al Cnel dal titolo “La danza immobile di un Paese al bivio“, che fotografa la percezione dei cittadini italiani dopo un anno di pandemia, paura per la propria salute, rabbia e frustrazione per le continue restrizioni e primi segnali delle conseguenze economiche.

I numeri più significativi del rapporto Ipsos-Flair 2021: paura, mancanza di serenità anche sul lavoro e meno fiducia in medici e scienziati

Lo smottamento del ceto medio, passato da quasi il 40% del pre-pandemia al 27% di oggi; la crescita della tensione sociale, che cova sotto la cenere ma che intanto è salita al 73% e potrebbe esplodere da un momento all’altro; il dato che le donne sono il vero (e non riconosciuto) sistema di welfare italiano (61% contro il 21); la paura (28) e l’attesa (33) sono i due sentimenti dominanti del momento, seguiti da altre due pulsioni negative come delusione (24) e tristezza (22); la rabbia ribolle nel 13 per cento delle persone, mentre serenità, dinamismo e passione animano, ciascuna, il 5 per cento dell’opinione pubblica“. Sono questi i numeri più significativi, su un campione di 1000 italiani, presentato dal presidente Tiziano Treu, da Nando Pagnoncelli ed Enzo Risso.

Il 65% degli italiani prevede per i prossimi sei mesi un peggioramento della situazione economica del Paese, con un aumento del numero di persone in difficoltà o che perderanno il lavoro. Solo l’8% immagina una situazione di ripresa e di rimbalzo. Alla domanda “che cosa la spaventa maggiormente in questo periodo“, il 57% ha risposto “la recessione economica“, mentre il 43% ha indicato il Covid. Il post pandemia, invece, già per tanti vuol dire sfiducia in tutti. Per l’89% del campione ci sarà meno lavoro e più rabbia, per l’87% ci saranno meno possibilità economiche, per l’84% ci sarà meno sicurezza, per il 75% “più fastidio per gli immigrati” e per il 65% meno fiducia in medici e scienziati.

“Cominciamo a intravedere i danni collaterali del Covid, ma non ne conosciamo le conseguenze nel lungo periodo”

L’Italia è un Paese ambiguo sul da farsi, incompleto nella sua capacità di agire, avvolto, come in un eterno ossimoro, in una danza immobile, in cui i personaggi in scena lottano per le proprie maschere“, ha detto Pagnoncelli. Risso ha spiegato invece che “molti dei danni collaterali del Covid li cominciamo a intravedere, ma non riusciamo ancora a pesarne fino in fondo la portata. Non sappiamo quando, se e come finirà la pandemia. Non sappiamo ancora il reale impatto economico, tantomeno quello di lungo periodo: quanti saranno i nuovi disoccupati, quanti professionisti commercianti, operatori turistici o piccoli imprenditori perderanno la propria impresa o attività. Non riusciamo a definire in tutte le sue sfaccettature, la dimensione dei danni arrecati al sapere, alla formazione delle future classi dirigenti, né riusciamo a quantificare gli effetti futuri sui comportamenti sociali, culturali e sui consumi“.

Per il presidente Treulo scenario delineato dal Rapporto Ipsos, che è emerso anche dai documenti presentati dal Cnel negli ultimi mesi al parlamento e al governo, ci obbliga a correre e recuperare il tempo perduto. Milioni di imprenditori e lavoratori, soprattutto donne e giovani, aspettano risposte che tardano ad arrivare. Le prospettive di ripresa sociale e personale dalle ferite della pandemia sono più complesse dei processi di mera ricostruzione economica e richiedono quindi misure altrettanto complesse di protezione e di promozione umana. Treu ha dunque concluso: “Affinché la transizione epocale in atto sia effettivamente giusta e non si limiti a innovare nelle scelte della economia, ma sappia aiutare le persone a sostenere l’impatto delle novità economiche e tecnologiche e a beneficiarne“.

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