La tradizione del pescestocco a Messina, l’intreccio tra storia e leggenda: il mito di Don Fanu, simbolo di un popolo solare e generoso

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Storie e leggende che iniziano sin dal Medioevo per arrivare ai giorni nostri: gli aneddoti e la ricetta originale del pescestocco alla ghiotta di Messina

Il cibo è cultura, soprattutto in Sicilia dove l’arte culinaria ha un valore enorme nella tradizione popolare. In un mondo digitalizzato in cui tutto scorre molto velocemente, i costumi del territorio lasciano sempre più spazio alla moda e alla globalizzazione. Esistono però delle consuetudini intrinseche all’interno di un popolo che cancellare o dimenticare è quasi impossibile. Ad esempio chi è nato Messina senza dubbio conoscerà il proverbio: “Sciroccu, malanova e piscistoccu a Missina non mancanu mai”, proprio perché tra le più note specialità culinarie del territorio c’è certamente quella del pescestocco (o stoccafisso). Una vera e propria tradizione che ha radici storiche legate alla posizione geograficamente favorevole della città dello Stretto e del suo porto nel Mar Mediterraneo.

Simone Gullì / Wikipedia

Ma partiamo dalle sue antiche origini: il Concilio di Trento (1545-1563), tra le varie regole che il cristiano doveva osservare, impose quella di “cucinare di magro” durante il periodo della Quaresima di Pasqua. Tutto parte da Martin Lutero che, tra le sue 95 tesi affisse alle porte del Duomo di Wittemberg, dichiarò guerra alla religione cattolica che, smossa da queste accuse, cominciò a guardare alla “povertà della tavola”. Si narra che fu, in realtà, l’arcivescovo svedese, Olao Magno, a cui era stata affidata la chiesa di Santa Brigida, principessa svedese, eretta a Roma nel XIV, con un piccolo libro da lui scritto, a destare la curiosità intorno al pesce stocco: “un pesce detto merlusia, essiccato ai venti fressi che li mercanti germani barattano con cervogia, grano e legno”. Il racconto si ricollega al fatto che la richiesta sempre maggiore fece arrivare, dai mari del nord, bastimenti a vela adibiti al trasporto del pesce stocco, essiccato dai venti freddi delle isole Lofoten, chiamato in quelle terre lontane “Gadus Morrhua” come il baccalà con la differenza, però, che questi è conservato sotto sale. In breve tempo raggiunse il territorio italico, dal Veneto alla Liguria, dalla Campania fino alla Sicilia. Trattandosi di un prodotto facilmente trasportabile e di lunga conservazione sicuramente ha acquistato l’apprezzamento dei commercianti che lo trovarono ottimo per il consumo e come merce di scambio.

pescestocco

Il Porto di Messina rivestiva inoltre un ruolo centrale nel traffico marittimo nel periodo storico dal Medioevo fino al XVII° secolo ed è molto probabile che l’arrivo del pescestocco sulle tavole dei messinesi (come accadde in altri importanti scali portuali come a Genova, Napoli o Venezia) coincida proprio con quel periodo. Nacquero così “i putii di manciari” dove era possibile incontrare, sin dalle prime ore del giorno, come clienti fissi i “scaricaturi i pottu”, consapevoli che un pasto simile li avrebbe rinvigoriti, dandogli la forza per affrontare la pesante giornata. Un patrimonio che ha iniziato ad essere tramandato di generazione in generazione, costantemente ricreato dalla comunità in funzione del suo ambiente, della sua interazione con la natura e la storia, dando alla comunità stessa un senso d’identità e di continuità. Nella Messina cosmopolita, ricostruita dallo scrittore Vanni Ronsisvalle, il pescestocco diventa cibo comune grazie alle tante “putie” e trattorie presenti persino dopo il terremoto del 1908, come rileva Giuseppe Loteta, che si immerge con gusto dentro il mondo evocativo di locali “mitici” quali Don Fanu, Donna Giovanna, Patri Natale, Don Mommo, Lina a Ganzirri, Don Pitrizzu all’Opera.

“A Putia i Don Fanu” e la sua specialità: il Pescestocco alla Ghiotta

don fanuProprio a “Don fanu” è stato dedicato un tratto di strada lungo la via Risorgimento, dove si intersecano via Manara e via Camiciotti, che ufficialmente secondo la toponomastica sarebbe il Largo Risorgimento. “Alla richiesta di indicazioni per raggiungere Largo Risorgimento molti messinesi sono in preda ad un breve smarrimento, subito svanito quando si chiarisce che il posto cercato è Piazza don Fano”, scrive Paola Zagami. Piazza Don Fano, infatti, è un vero e proprio Eponimo: l’eroe in questione si chiama Epifanio Fiumara, detto Don Fanu, che in realtà non un personaggio risorgimentale ma un semplice oste. Famoso titolare di una trattoria, che si affacciava in quella che le carte ufficiali della toponomastica definiscono appunto Largo Risorgimento, con la sua cucina e la sua personalità ha caratterizzato quel luogo, già sul finire del XIX° secolo. Don Fanu, oltre a sfamare gli avventori, dava un enorme supporto alle forti carenze di strutture di sostegno sociale. I suoi piatti non avevano un “costo standard”, ma il conto veniva modulato in base alle disponibilità economiche dei frequentatori. La sua “putia” era un luogo dove i meno abbienti potevano comunque sfamarsi, nonostante le poche risorse possedute. Da queste circostanze nasce la coscienza popolare che fa di Don Fanu un uomo spensierato e alla mano, amato dal popolo per la sua benevolenza verso mendichi e gente povera. La sua portata insuperabile era assolutamente il pescestocco a “ghiotta” cucinato nella versione popolare, ovvero con le patate. Era quello un espediente, da lui escogitato, per garantire la qualità del pasto e al tempo stesso abbassare i costi, consentendogli di fare prezzi che potessero essere alla portata di tutte le tasche e quindi, nel caso le tasche di un avventore fossero scarse di denari, poter effettuare un ragionevole sconto o un sopportabile omaggio.

Don Fanu era particolarmente apprezzato dai messinesi perché riusciva a garantire un lauto pasto a tutti gli avventori, senza tenere in considerazione quanto da loro posseduto in termini economici. Lo standard minimo che saziava l’ospite consisteva in due pezzi di stocco e tre patate e tanto sugo nel quale inzuppare un filone da mezzo chilo di pane per la “scarpetta”. Era nel suo retrobottega che ammollava lo Stocco, proveniente dalle Isole Lofoten, mentre la moglie metteva in salamoia le olive e provvedeva con pazienza a fare il concentrato di pomodoro che faceva tirare il sugo, che doveva risultare sempre denso: il Pescestocco a ghiotta infatti non è una zuppa, ma un ragù di pesce. I capperi di Pantelleria, le cipolle e il sedano, ingredienti immancabili nella ricetta originale, completavano lo straordinario capolavoro che lo rendevano un maestro conosciuto da tutti. La “putia di Don Fanu” è diventata così nel tempo un punto di ritrovo per qualsiasi messinese ed è proprio in questo contesto che nasce la “ghiotta” giunta sino ai giorni nostri con gli stessi profumi mediterranei dell’antica preparazione.

L’osteria del mitico Don Fano sorgeva in un palazzo settecentesco dove il piano terreno era a Taberna Romana: tutte botteghe con piano ammezzato sovrastante che ospitava l’abitazione dell’artigiano, la cosiddetta Casa e Putia. Il Palazzo fu uno dei pochi rimasto parzialmente integro dopo il sisma del 1908. L’osteria era situata agli attuali numeri civici 124 e 126. Nei locali ammezzati Don Fanu abitava con la numerosa famiglia, composta dalla moglie e dai suoi 7 figli. La preesistenza del fabbricato spiega l’arretramento dell’isolato rispetto al rettifilo di via Risorgimento e dunque la costituzione dello slargo. L’Osteria passata agli eredi nel 1939 chiuse definitivamente nel 1960. La personalità generosa verso chi era in difficoltà spiega il motivo della sua figura leggendaria di oste, al punto che lo slargo antistante è conosciuto da tutti i messinesi come: “A piazza i don Fanu”, abbreviazione di “A piazza unni c’è a putia i don Fanu”. Così quello spazio urbano ad oggi è definitivamente conosciuto: Piazza Don Fano. Senza commissioni toponomastiche e intitolazioni ufficiali, ma solamente per investitura popolare. Questo eponimo è il simbolo della secolarizzazione di buone azioni, dei buoni comportamenti e della cucina tradizionale, tutti fattori che hanno avuto e continuano ad avere la meglio su commemorazioni risorgimentali forzate e imposte intitolazioni che non rispettano quello che è il Genius loci, cioè gli spazi urbani e gli usi, i costumi, la morale, l’etica della comunità che li abita.

La tradizionale ricetta del Pescestocco alla messinese

Ingredienti x 3 persone

  • olio extravergine di oliva (abbondante)
  • 2 cipolle
  • sedano (coste + foglie)
  • capperi sottosale circa 50 gr
  • olive verdi “in salamoia” siciliane circa 15-20
  • 700 gr stoccafisso ammollato
  • 4 patate
  • 600 ml di passata di pomodoro tipo rustica
  • acqua q.b.
  • sale & pepe
  • prezzemolo tritato
  • peperoncino
  1. Per questa ricetta, lo stocco deve essere ben ammollato in acqua, spinato e tagliato in pezzi di circa 5 x 8 centimetri.
  2. Iniziare a lavare bene lo stocco sotto l’acqua corrente poi lo asciugo su carta assorbente da cucina.
  3. Metto da parte il pesce e inizio ad occuparmi delle patate. Le pelo, le lavo e le asciugo, se sono troppo grosse le taglio in grossi spicchi, se sono di media grandezza le lascio intere. In una padella faccio rosolare le patate ben tamponate con olio di oliva e un pizzico di sale.
  4. Nella stessa padella subito dopo faccio rosolare anche il pesce stocco e lo metto da parte.
  5. In un altro tegame, abbastanza ampio da contenere tutto, scaldo abbondante olio e faccio soffriggere la cipolla e il sedano tritati, insieme a un pugnetto di capperi dissalati e alle olive snocciolate.
  6. Aggiungo circa la passata passata di pomodoro e regolo di sale.
  7. Faccio cuocere a fuoco basso per circa mezz’ora, poi aggiungo le patate.
  8. Quando le patate sono a metà cottura unisco lo stocco.
  9. Se necessario aggiungo qualche cucchiaio di acqua.
  10. Proseguo la cottura a fuoco lento, aggiungo del peperoncino, agitando la casseruola di tanto in tanto con movimenti orizzontali decisi.
  11. Regolo di sale e pepe e porto a cottura.
  12. La ghiotta è pronta quando il sugo è ristretto e la forchetta entra senza sforzo nelle patate e nello stocco.
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