Luca Palamara e gli inizi a Reggio Calabria: “C’era un clima incandescente e mi serviva una protezione, così sono ‘entrato’ nel “Sistema”

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La carriera da magistrato di Luca Palamara inizia a Reggio Calabria, tra difficoltà, inesperienza e prime consapevolezze: è lì che entra inconsapevolmente nel “Sistema”

Luca Palamara è stato uno dei “pezzi grossi” della Magistratura italiana, radiato dall’ordine giudiziario nell’ottobre 2020 in seguito a un’indagine sul suo ruolo di mediatore all’interno del movimento. Ma, prima di arrivare a muovere le fila – come lui stesso afferma nel libro “Il Sistema” realizzato con il giornalista Alessandro Sallusti – comincia la sua carriera da Reggio Calabria, terra d’origine del padre (nato a Santa Cristina d’Aspromonte).

“Il 15 dicembre 1997 inizio la mia avventura in magistratura – spiega Palamara – A differenza di tanti miei colleghi che oggi si battono il petto, non chiedo una raccomandazione al politico di turno per svernare a Roma in qualche commissione parlamentare, ma scelgo come prima destinazione la procura di Reggio Calabria, allora classificata come sede disagiata. L’azione eroica e spregiudicata di Di Pietro entusiasma la mia generazione di aspiranti magistrati, ci carica di forti idealità, oltre a cambiare per sempre le gerarchie, il ruolo e l’immagine della magistratura. Siamo animati dal sacro fuoco di affermare che la legge è uguale per tutti, ma allo stesso tempo percepisco che da quel momento in poi i magistrati non saranno più grigi e anonimi burocrati, quanto piuttosto star evocate e invocate dal popolo, famosi come un attore o un calciatore, potenti come e più di un politico”.

Sin dall’inizio, Palamara percepisce le difficoltà del territorio, che affronta con un po’ di inesperienza. Non prima, però, di rendersi conto di come effettivamente funzioni il sistema, in cui l’ex magistrato entra e non lascerà più fino alla radiazione: “La maggior parte dei colleghi che contano sono iscritti a Magistratura democratica, la corrente di sinistra della magistratura – prosegue Palamara – Quando arrivo alla mia prima sede, Reggio Calabria, rimango subito coinvolto in una rissa che diventa guerra tra il nuovo procuratore, Antonio Catanese, un onesto magistrato di Messina che nella vita aveva fatto di tutto meno che il pubblico ministero, e il suo vice Salvatore Boemi, uno che si era intestato grandi inchieste e che aspirava a diventare il capo. Inesperto, per poco ci lascio le penne perché mi schiero contro il vertice. Capisco che ho bisogno di una protezione e per questo mi iscrivo alla corrente di Magistratura democratica. Ecco, in quel momento, anche se ancora non ne ho piena coscienza, varco la porta ed entro nel “Sistema”.

“Il clima a Reggio Calabria – si legge ancora – in quegli anni è particolarmente incandescente, perché i vertici della magistratura reggina sono stati investiti dal ciclone delle dichiarazioni rese dal notaio Marrapodi, che in un drammatico confronto con il collaboratore di giustizia Giacomo Lauro accuserà tra gli altri l’allora procuratore Giuliano Gaeta di aver protetto le cosche mafiose. ‘Siamo arrivati insieme in una realtà molto difficile’ mi dice il nuovo procuratore Antonio Catanese quando ci incontriamo per la prima volta. Cosa succede dentro il Sistema? All’inizio nulla, mi guardo intorno, partecipo a riunioni di corrente in cui si parla tanto ma si conclude poco, un classico delle correnti di sinistra della magistratura. Però capisco l’importanza delle relazioni: quando nel weekend rientro a Roma, ne coltivo il più possibile, soprattutto tra i colleghi della mia generazione, e intuisco che un giorno potrebbero tornarmi utile e così sarà. Poco dopo ho la prima, piccola conferma che il ‘Sistema’ funziona”.

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