Un anno dall’addio di Kobe Bryant. I 5 punti della Mamba Mentality: la filosofia da quale anche Reggio Calabria può ripartire

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Un anno dalla scomparsa di Kobe Bryant. Ripercorriamo i 5 punti della Mamba Mentality, la filosofia dalla quale potrebbe ripartire anche Reggio Calabria

Il 26 gennaio 2020 è una data passata, tristemente, alla storia del mondo, non solo sportivo. Sulle colline di Calabasas, l’elicottero sul quale viaggiava Kobe Bryant ha perso improvvisamente quota, schiantandosi, probabilmente a causa della fitta nebbia presente. A bordo del veivolo erano presente diverse altre persone, fra le quali anche ‘Gigi’, la piccola figlia del cestista dei Lakers: nessuno è sopravvissuto. Ad un anno dalla triste tragedia, il mondo intero si unisce in una preghiera, un ricordo, un semplice omaggio alla figura di un grande nome del basket NBA passato anche da Reggio Calabria.

Foto Getty / Kevork Djansezian

Il piccolo Kobe, allora poco più che un bimbo, ha vissuto in riva allo Stretto quando papà Joe giocava per la Viola Reggio Calabria (1986-1987). Proprio nelle sue esperienze in Italia, da Rieti a Reggio Calabria, da Pistoia a Reggio Emilia, Kobe Bryant ha fissato in mente i punti di quella che è passata alla storia come ‘Mamba Mentality‘, la filosofia di pensiero che lo ha reso grande. Il talento da solo non basta. Il numero 24 dei Los Angeles Lakers è diventato una stella luminosa nel firmamento NBA grazie alla sua straordinaria dedizione per il gioco, alla cura maniacale dei dettagli, alla resilienza, alla volontà di affrontare le proprie paure, alla (sana) competizione portata ben oltre gli standard abituali, fino a riscrivere i limiti degli standard stessi ed estremizzarli ogni volta di più. Sono arrivati così 5 titoli NBA (2000, 2001, 2002, 2009, 2010), 2 ori Olimpici (Pechino 2008, Londra 2012), 1 MVP della regular season e 2 delle Finals e 4 dell’All-Star Game, 11 All-NBA First Team, 9 NBA All-Defensive Firs Team, 18 volte nominato NBA All-Star e un successo all’NBA Slam Dunk Contest.

I 5 punti della Mamba Mentality non sono solo applicabili allo sport, ma possono essere applicati alla vita di tutti i giorni, sono precetti che aiutano a cambiare mood e modo di pensare, a interfacciarsi con i problemi e le situazioni quotidiane in maniera differente tanto sul parquet NBA quanto per le strade di Reggio Calabria.

  • Il primo punto è ciò che muove ognuno, la passione per ciò che si fa e ciò in cui si crede. Nel caso di Kobe, la passione per la pallacanestro: “non volevo mai smettere di giocare, ho sempre amato il basket, è una passione cresciuta dentro di me giorno dopo giorno”, spiegò a ‘La Gazzetta dello Sport’. Metterci passione in ogni cosa, amare ciò che si sta facendo, aiuta a superare le avversità trovando la forza di sorridere anche nei momenti in cui mollare sarebbe la soluzione più semplice.
  • Il secondo punto è l’ossessione e la cura per i dettagli. Il confine che divide un giocatore di talento da un fenomeno. Spesso la riuscita di un grande progetto, il raggiungimento di un obiettivo, i diversi risultati ottenuti da due persone che puntano allo stesso traguardo sono determinati dalla cura dei minimi particolari. Piccolezze, ciò che diamo ‘per scontato’, aspetti che passano in secondo piano ma che, se trattati con serietà possono fare realmente la differenza.
  • Il terzo punto è definibile con la parola ‘Relentlessness‘, essere spietati come il ‘Black Mamba‘ (uno dei serpenti più letali al mondo, dal quale prende il nome la filosofia, ndr) quando si scende in campo. Mai mollare. Guardare sempre al prossimo obiettivo, alzare lo standard, misurarsi con i migliori e provare a fare meglio di loro. Essere competitivi a qualsiasi costo, ammesso che la competizione però resti sempre sana: “competere sempre, ma mai andare oltre le regole. La cosa più importante è non mollare mai, c’è chi si piega davanti alle difficoltà, invece non deve accadere. Quando mi si è rotto il tendine d’Achille pensavo che non ce l’avrei fatta a tornare. Ma solo per una notte, poi mi sono svegliato e mi sono detto: ‘no, devi reagire!’”.
  • Il quarto punto è la resilienza, la capacità di far fronte alle difficoltà e ai problemi della vita, la volontà di non abbattersi e quella di superare ogni ostacolo, per quanto enorme possa sembrare. “Ho dovuto superarne tante: spalle, ginocchia, tendine d’Achille. La differenza la fai dopo, quando ti rialzi”, disse. Gli infortuni fanno parte del gioco, così come le cadute fanno parte della vita. Kobe Bryant si è sempre rialzato ed è tornato ‘a fare la differenza’ in maniera sempre più netta. All’ultimo anno di carriera, quando a malapena riusciva a reggersi in piedi dopo le partite, fasciato e impacchettato con borse del ghiaccio per i dolori fisici, Kobe segnò 60 punti (tirando con il 44% dal campo) e stabilendo il nuovo record di punti segnati da un giocatore nell’ultima gara in carriera.
  • Il quinto e ultimo punto è forse il più difficile di tutti: superare le proprie paure. La paura è qualcosa con la quale ognuno di noi convive ogni giorno, ci cammina di fianco a volte come un’ombra, altre diventa una vera e propria eclissi quando ci abbraccia fino a farci cadere nello sconforto. L’accettazione serena delle proprie paure e la volontà di affrontarle per crescere sono il grande passo verso un importante miglioramento. “Ho avuto paura nella mia vita, ma l’ho sempre accettata come sfida, non ho mai lasciato che ne fossi preda. – ha spiegato Kobe – L’ho imparato da giovane, per la prima volta al Camp Cotigliano di Pistoia, dove c’era anchea Mario Boni. In una gara ero nervoso e giocai male, quella sera cercai di capire perché era accaduto. Questa filosofia ha radici in quella nottata”.
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