Renzi, Conte e la grande contraddizione della sinistra

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Renzi ritira i suoi Ministri dal Governo di Conte e manda il premier in crisi: adesso la sinistra fa le barricate per difendere quello che fino a poco più di un anno fa considerava il “burattino di Salvini”

Tutti contro Matteo Renzi. La scelta del ritiro dei Ministri di Italia Viva, Bonetti e Bellanova, ha mandato in crisi il Governo di Giuseppe Conte e a sinistra si sono scandalizzati: adesso lanciano ridicoli hastag sui social e si mobilitano in difesa dell’oscuro avvocato che da due anni guida l’Italia peggio di come avrebbe fatto Puffetta. Eppure dovrebbe essere un giorno di festa, di sollievo, di entusiasmo per l’inizio di nuova sfida che dovrà restituire a Palazzo Chigi la dignità delle competenze dopo quest’infausta parentesi degli scappati di casa. E invece la sinistra se la prende con Renzi, quando il problema è proprio Conte.

Anche perchè Conte era nato esattamente così come Renzi l’ha ucciso: chi oggi parla di “democrazia violata” chiedendo l’aberrazione tirannica del “vincolo di mandato” dovrebbe ricordare che proprio Giuseppe Conte non si era mai candidato ad alcuna elezione, non era mai stato votato ma era stato messo lì da due menti brillanti come quelle di Salvini e Di Maio quando avevano compiuto l’inciucio più clamoroso della storia della Repubblica. Con il “vincolo di mandato” non avremmo mai avuto Giuseppe Conte, non avremmo mai visto quelli che “maicollalega” e “maicolpiddì” fare in due anni il governo prima con la Lega e poi col Pd.

Con tutti i dubbi, le divergenze e le critiche che si possano fare a due politici di razza come Salvini e Renzi, a nessuno nella sinistra passa per il cervello che se Conte è riuscito in due anni ad inimicarsi quelli che erano i suoi due principali alleati evidentemente il problema è proprio Conte? Con Salvini avevano fatto il contratto, ma adesso persino in giuramento sotto processo si sono dimenticati dei provvedimenti che votavano insieme. Con Renzi il patto di legislatura, ma ai contenuti sulla gestione della pandemia e del Recovery Plan posti dal leader di Italia Viva il premier uscente non ha mai dato risposta. E il problema politico è diventato personale, perchè Conte ha rotto in modo durissimo prima con Salvini e poi con Renzi. Nessun premier ha mai combinato qualcosa del genere con i suoi alleati, evidentemente ci sarà un motivo: fa sempre tutto da solo, non coinvolge le altre forze politiche nelle scelte anche più difficili e delicate, ma poi pretende che tutti gli tendano la mano. La politica non funziona così, e “la democrazia non si può fermare in nome del virus” anche in Italia, come in tutti gli altri Paesi del mondo. Conte ha scoperto che non è un tiranno intoccabile come pensava di essere e adesso ha due sole possibilità: salire al Colle e rassegnare le dimissioni, o presentarsi in Parlamento e chiedere la fiducia. Tutti gli altri premier in crisi nella storia d’Italia l’hanno fatto pochi minuti dopo l’inizio della crisi. Lui è già fuori tempo massimo.

Intanto, come sempre più spesso a ccade, il più brillante nel fotografare la crisi è Carlo Calenda che ha ridicolizzato il Pd spiegando che per la sinistra Giuseppe Conte nel 2018 era il “burattino di Salvini“, nel 2019 diventava improvvisamente il “punto di riferimento dei riformisti” e nel 2020 addirittura il “padre della patria“. Adesso, invece, tornerà dal nulla da cui era arrivato rimanendo nella storia come il peggiore di sempre alla Presidenza del Consiglio.

Il parlamento, al contrario, ha una grande occasione: individuare un premier competente, autorevole sia nel rapporto con gli altri Paesi che con la popolazione, che abbia la forza di governare bene e di farsi ascoltare trasformandolo da Presidente del Consiglio a leader di una nuova forza politica moderata, liberale ed europeista che rappresenti un’alternativa tanto al sovranismo di Salvini e Meloni quanto al populismo dei cinque stelle. Immaginiamo Mario Draghi, o un profilo dello stesso livello, che gestisca con competenza e buon senso la pandemia nel Paese che oggi ha il numero più alto di morti e le più gravi perdite economiche dell’intero pianeta e soprattutto stravolga l’approccio ai soldi del Recovery Fund, stralciando gli inutili bonus assistenziali e concentrando i finanziamenti sulle grandi opere infrastrutturali (prima di tutto il Ponte sullo Stretto e l’alta velocità fino in Sicilia) e sul sostegno al lavoro, alle imprese e alle famiglie con un taglio del costo del lavoro strutturale e organico e un significativo incentivo alle nascite e all’acquisto della prima casa. Soltanto così il Paese potrà ripartire con un nuovo boom economico basato sul lavoro e su un ritrovato entusiasmo di orgoglio nazionale.

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