Partorire ai tempi della pandemia: la barbarie del distanziamento imposto a mamma e papà

StrettoWeb

Mi chiamo Enrica Valle, sono Psicologa Psicoterapeuta, specializzata nel lavoro con le coppie e le famiglie. Ma sono anche una compagna e, tra non molto, una futura madre.

Nel corso di questi lunghi mesi ho avuto modo di notare come la pandemia abbia sconvolto l’ordine delle cose e le priorità! Dal Lockdown in poi, infatti, partorire, il più delle volte, significa escludere i padri e lasciare sole le mamme.

Si è confuso il distanziamento sociale (termine tra l’altro improprio) e le procedure anti contagio (giustamente adottate!) con i rapporti umani. Il distanziamento fisico va tutelato e raccomandato, esattamente come vanno preservate le relazioni.

E cosa c’è di più relazionale del momento in cui nasce un figlio, dal punto di vista del padre, della coppia e della madre?!

Nel corso di questi mesi ho sentito diverse testimonianze a riguardo, tutte diverse. Chi è stato più fortunato ha potuto assistere la propria compagnia/moglie, la quale però ha dovuto trascorrere i primi giorni, successivi al parto, da sola.

Non intendo affatto sminuire il lavoro che gli operatori svolgono in supporto alla madre durante tutto il percorso nascita, ma sottolineare l’importanza di un momento che entrambi i genitori si porteranno nel cuore tutta la vita e che segna anche la nascita della genitorialità.

Non è neanche questione di sentimentalismo, ma di tutelare e sostenere la paternità che nella società di oggi si va ancora cercando, parlando di crisi di identità e di ruolo. Si parla di assenza di un alfabeto emotivo da parte di un maschile che ha perso i riferimenti educativi risultati ormai desueti. Eppure li escludiamo a viversi il momento, ad entrare in relazione e continuiamo a trattarli come un qualcosa di superfluo o come sfondo.

Mi ha colpito nei racconti la rassegnazione, mista ad “accettazione”, da parte dei genitori che si sono ritrovati a vivere la nascita da separati. Le regole vanno rispettate ma le relazioni e l’importanza dell’affettività e dei legami andrebbero preservati e sostenuti.

È vero la maternità, in un momento del genere, prende la scena su tutto. E allora le donne hanno il diritto di essere sostenute da un compagno o da una persona di riferimento per loro. Vanno sostenute nello stordimento generale della nascita, tra stanchezza, emozioni, paure e timori.

La pandemia ha senza dubbio disciplinato le visite, forse troppo caotiche, spesso senza ritegno e rispetto. Ma perché escludere il padre??

Che ne è di quel padre emotivamente nei giorni trascorsi da solo, lontano dalla compagna e dal loro figlio o dalla loro figlia?

E della compagna? Dei suoi timori, del bisogno di conforto, sostegno, vicinanza?

A inizio pandemia l’Istituto Superiore di Sanità ha riorganizzato la rete assistenziale del percorso nascita, adattandola alla normativa anti contagio.

Riprendendo quanto espresso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “si richiama al diritto di tutte le donne a vivere un’esperienza positiva del parto, indipendentemente dall’infezione COVID-19. Le indicazioni sono tratte dai documenti di indirizzo OMS relativamente all’assistenza intrapartum e raccomandano la presenza di una persona a scelta della donna durante il travaglio e il parto, quale elemento essenziale per il benessere delle donne. ” […]

“Le Agenzie internazionali (quali ad esempio: Il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG), in collaborazione con il Royal College of Midwives UK, il Royal College of Paediatrics and Child Health, il Royal College of Anaesthetists, e l’Obstetric Anaesthetists’ Association),  hanno espresso generale consenso sul fatto che una persona a scelta della donna debba essere presente, se lo desidera, nel rispetto di una serie di condizioni organizzative.”

Nonostante ciò la presenza del padre o di un accompagnatore, è demandata alle singole strutture sanitarie (fonte).

“Si partorisce lo stesso”, “Ci si attrezza con i telefoni per accorciare le distanze”. Vero. Ma mi chiedo se il termine “distanziamento sociale” non abbia generato ancora più confusione e portato a dimenticare il diritto all’affettività e alla relazione.

Mi chiedo se non sia possibile attuare, unitamente al rispetto delle norme anti contagio, dei percorsi che possano includere finalmente il padre e farlo sentire parte e partecipe (quando la società di oggi è la prima a lamentarne la sua assenza nella vita familiare).

E la mamma non più e sempre “Wonder Woman”, ma accolta emotivamente nella sua fragilità e nel suo bisogno di avere una figura accanto. Prevenendo quell’idea, alcune volte presagio di sindromi post parto, in cui la madre debba essere sempre felice, raggiante ed efficiente.

La prevenzione parte (o forse inizia?) da qui. Accettare i protocolli, le norme di sicurezza sono misure indispensabili anche e soprattutto nell’ottica di tutela della madre e del nascituro. Ma non tenere conto delle emozioni che scorrono dietro, rassegnarsi, accettare passivamente non fa altro che rimandare il messaggio che le emozioni: ciò che si vive, si sente, si prova possono e devono essere messe in secondo piano e che tutto ciò non produca degli effetti prima o poi. Dimenticando, infine, che quando parliamo di tutela della salute parliamo anche e soprattutto di benessere psicologico e mentale.

Enrica Valle

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