Terapie intensive cardio convertite in Covid: “tra poco i morti d’infarto supereranno quelli di Coronavirus”

StrettoWeb

Il depotenziamento delle cardiologie degli ospedali spokes, la desertificazione dei reparti e le trasformazioni delle terapie intensive cardiologiche in reparti Covid: questo mette a rischio la salute dei pazienti cardiopatici

Malati di cuore gravi e infartuati potrebbero rischiare, in caso di bisogno, di non trovare posto nelle terapie intensive cardiologiche, che in questa situazione di emergenza sono stati convertiti in molti casi per aumentare il numero delle terapie intensive Covid. Lo aveva spiegato il Dott. Enzo Amodeo qualche giorno fa in un’intervista rilasciata ai microfoni di StrettoWeb, adesso la denuncia arriva anche dalla Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi (Foce). “Denunciamo la gravissima situazione che si sta determinando negli ospedali a danno dei pazienti cardiologici. Dalla Lombardia alla Sicilia vengono ridotti i posti letto cardiologici per fare posto ai pazienti Covid, addirittura vengono chiuse intere unità di terapia intensiva cardiologica e convertite in terapie intensive Covid. Il rischio concreto è di avere nelle prossime settimane più morti per infarto che per Coronavirus”, è l’allarme della Foce.

L’infarto, spiegano gli specialisti, è “tempo-dipendente e va garantita l’operatività delle strutture”. Ciò vuol dire, chiariscono il vicepresidente Foce Ciro Indolfi e il segretario Francesco Romeo, che la “tempestività dell’intervento fa la differenza fra la vita e la morte. Non possiamo permettere il depotenziamento dei centri”.

“Durante la prima ondata della pandemia, uno studio della Società Italiana di Cardiologia (SIC), condotto in 54 ospedali italiani, ha valutato la mortalità dei pazienti acuti ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva Coronarica, confrontandola con quella dello stesso periodo dello scorso anno – afferma Indolfi, anche presidente SIC –. A marzo 2020, si è registrata una mortalità tre volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019, passando al 13,7% dal 4,1 %. Un aumento dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente. La tempestività dell’intervento può fare la differenza fra la vita e la morte. Ogni 10 minuti di ritardo nella diagnosi e nel trattamento di un infarto miocardico grave, infatti, la mortalità aumenta del 3% e un intervento successivo ai 90 minuti dall’esordio dei sintomi può addirittura quadruplicare la mortalità. Non possiamo permettere – rileva – il depotenziamento delle cardiologie ed è necessario riorganizzare negli ospedali percorsi ad hoc per i pazienti cardiopatici acuti che dal territorio si ricoverano in urgenza”. 

“Mi risulta che, anche nel Lazio, si stiano penalizzando le strutture cardiologiche e si stiano chiudendo anche alcuni dei centri che eseguono elevati numeri di angioplastiche primarie – spiega Romeo, anche presidente della Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus – . Più in generale, il numero di ricoveri per patologie cardiovascolari è crollato. Invece, va preservata la rete dell’emergenza cardiologica. Chiediamo a tutti di segnalarci situazioni di disagio per i pazienti”.

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