Reggio Calabria: presentata a Palazzo Campanella la Relazione annuale del Garante regionale delle persone detenute

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Reggio Calabria: presentata a Palazzo Campanella la Relazione annuale del Garante regionale delle persone detenute, le parole di Agostino Siviglia

“Dare la possibilità ai detenuti di riscrivere la loro vita dentro le mura del carcere, in omaggio al principio costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato ed al suo successivo reinserimento nella società”. È questo uno dei principali obiettivi da perseguire nell’esercizio delle nostre funzioni – ha spiegato Agostino Siviglia – (Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale), presentando oggi in videoconferenza dall’Aula “Giuditta Levato” di Palazzo Campanella la sua Relazione annuale, dedicandola alla Presidente Jole Santelli, prematuramente scomparsa. Significativo il richiamo “alla testimonianza di Fabio Valenti, persona detenuta che è riuscita a ‘dare un senso all’esecuzione di una pena senza speranza’. Grazie alla creazione artigianale di un forno si è specializzato nel fare dolci, divenendo tanto bravo da scrivere un libro di ricette, dal titolo ‘Dolci (c)reati’, con la prefazione di Luca Montersino (rinomato chef pasticcere di fama internazionale)”. Particolareggiata e ricca di spunti la Relazione del Garante ha offerto uno spaccato sul “pianeta carceri” in Calabria, e più in generale nel Paese, grazie ai contributi in collegamento video del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) Bernardo Petralia e del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma. All’iniziativa – coordinata dal Responsabile dell’Ufficio Stampa del Consiglio regionale Romano Pitaro – ha portato i saluti istituzionali il Vicepresidente dell’Assemblea Nicola Irto che si è soffermato “sull’importanza di aver istituito la figura del Garante delle persone detenute, percorso complesso maturato nella scorsa legislatura e che ha richiesto la condivisione da parte di tutti i soggetti coinvolti, recuperando un ritardo segnalato dallo stesso Garante nazionale. L’avvocato Siviglia sta svolgendo responsabilmente la sua funzione dimostrandosi attento alle reali problematiche delle carceri rispetto alle quali c’è ancora tanto da fare”.

Nel corso dei lavori è intervenuto il Procuratore Capo di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri il quale ha dichiarato: “Il tema ‘carcere’ è un argomento difficile che deve essere affrontato in tutti i suoi aspetti. Il Sistema penitenziario è fondamentale nell’ambito del sistema penale ed attiene alla fase esecutiva che spesso viene dimenticata, resta lontana dall’attenzione dei media e viene alla ribalta nei momenti in cui si verificano delle situazioni particolari. Generalmente l’attenzione è rivolta alle operazioni di Polizia giudiziaria, a volte ai processi, e spesso ci si dimentica della fase dell’esecuzione. Quest’ultima è invece una fase importantissima, perché governata da principi costituzionali, che sono diretti alla definizione di percorsi di recupero, di formazione e di reintegro sociale della persona detenuta”. “La presenza dell’Amministrazione penitenziaria in Calabria è costante, l’osservatorio è continuo. La Calabria è una terra estesa, ricca di istituti – ha detto Bernardo Petralia – determinando una differenziazione anche di tipo culturale e trattamentale inevitabile tra alcuni istituti ed altri. E questo è un argomento che indubbiamente interessa sia l’opera del Garante sia l’Amministrazione penitenziaria, e me personalmente, perché l’aspetto costituzionale del trattamento è un aspetto primario, estremamente importante che va a garanzia di tutto e di tutti”. Secondo Mauro Palma: “La Calabria non presenta molte criticità: i punti di sofferenza che io rilevo è quando insistono direzioni in più istituti, come ho potuto verificare personalmente, nel caso di Rossano e Cosenza che vedono una stessa direzione. Dovremo operare tutti perché si vada il più possibile nella prospettiva che ogni Istituto abbia il proprio direttore poiché le dinamiche che si determinano in un Istituto, laddove c’è un direttore soltanto in via saltuaria, sono sempre molto complesse”.

L’evento ha visto anche la partecipazione in videoconferenza di alcuni detenuti del carcere di Catanzaro-Siano diretto dalla dott.ssa Angela Paravati. “È stato un anno faticoso quello appena trascorso, violento mi verrebbe da dire” – ha sottolineato Siviglia – richiamando i tanti, troppi eventi che hanno segnato questo periodo, “primo fra tutti il Covid-19, con il futuro che è divenuto inedito, per la Regione Calabria e per il mondo intero. L’avvento della pandemia ha ribaltato ogni priorità d’intervento e la priorità dell’attività funzionale è divenuta quella di contribuire alla garanzia dell’assistenza sanitaria in carcere ed a raccomandare e monitorare l’adozione di tutte le misure precauzionali per scongiurare la diffusione del contagio. Il sistema penitenziario calabrese ha retto e sta reggendo bene all’impatto con il Coronavirus”.
Fra le iniziative promosse, ha ricordato il Garante, “quella realizzata insieme ad Area Democratica per la Giustizia di Reggio Calabria ed alla Direzione della Casa Circondariale di ‘S. Pietro’ di Reggio Calabria, che ha visto il confezionamento, da parte delle donne detenute, di mascherine destinate in via prioritaria ad uso interno dell’Amministrazione Penitenziaria di tutta la regione”. “Il contesto sociale calabrese è segnato da una subdola e penetrante presenza della criminalità organizzata che, evidentemente, si ‘scarica’ sul suo sistema penitenziario”. Secondo il Garante: “è necessario intervenire prima di tutto fuori dal carcere, per tentare di realizzare una serie multiforme e multidisciplinare di azioni integrate volte a prevenire ovvero a superare quello che appare come un ineluttabile destino criminale, ereditario o ambientale che sia. In tale ottica, per esempio, a Reggio Calabria, si è mosso il Protocollo ‘Liberi di scegliere’, con inequivocabili risultati positivi”.

“Si registra, a fronte dell’inasprimento del trattamento penitenziario a cui sono evidentemente sottoposte le persone in regime di alta sicurezza, una permanente carenza di personale giuridico-pedagogico; una esigua quantità del monte ore degli esperti ex art. 80 OP, preposti all’osservazione intramuraria e per di più gravati da altre funzioni; la sostanziale inesistenza di mediatori penali e culturali; l’assenza di personale altamente qualificato e specializzato nei percorsi trattamentali delle persone detenute per reati di criminalità organizzata (magari formato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in sinergia con le Università); l’assenza, quindi, di un ‘sapere trattamentale’ specifico, evidentemente, non generato per causa di un ‘vuoto teorico sulla rieducazione mafiosa’; rivedere la normativa sull’interdittiva antimafia che inibisce, a chi ha scontato la sua pena, la possibilità di intraprendere un’attività lavorativa legale”. Ancora il Garante: “I due terzi delle persone detenute in Calabria, come nel resto d’Italia, non sono mafiose e non hanno nulla a che fare con la criminalità organizzata e come ribadito in più occasioni, dal sociale al penale, il penitenziario finisce per diventare una discarica sociale”. Agostino Siviglia ha concluso rammentando che: “Il successo non è mai definitivo; che il fallimento non è mai fatale; e che è il coraggio di continuare che conta”.

Presentazione della Relazione al Consiglio regionale 2020

“Desidero dedicare questa Prima Relazione Annuale sull’attività istituzionale svolta alla compianta Presidente della Regione Calabria, Jole Santelli, prematuramente scomparsa la notte del 15 ottobre 2020: a Lei rimane idealmente indirizzata. Desidero ringraziare il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ed il Garante Nazionale delle persone private della libertà personale per aver accolto il mio invito ad intervenire quest’oggi. Desidero ringraziare, infine, il Vicepresidente del Consiglio regionale che rappresenta la massima assise calabrese e tutte le istituzioni e persone che hanno voluto partecipare a questa presentazione. La presenza, la vicinanza di tutti voi, seppur a distanza, mi onora e mi conforta. E’ stato un anno faticoso quello appena trascorso, violento mi verrebbe da dire. Eppure, negli ultimi mesi del 2019 il futuro della Regione Calabria appariva più solido, quantomeno sul fronte della tutela e salvaguardia dei diritti costituzionali delle persone private della libertà personale, essendosi la Regione dotata di un’autonoma figura di garanzia, già esistente nella gran parte delle altre regioni italiane. Poi, con l’avvento del 2020, è arrivato il Covid-19 ed il futuro è divenuto inedito, per la Regione Calabria e per il mondo intero. E in una terra amara e complicata come questa, l’inedito si è trasformato presto in assenza e subito dopo in ignavia. Innanzitutto, assenza. Sono stato nominato Garante regionale delle persone detenute o private della libertà personale sul finire della scorsa legislatura, nel mentre già incombevano le legittime dispute per le successive elezioni regionali, tenutesi a gennaio 2020. Ho fatto appena in tempo, nei primi tre mesi di attività, ad effettuare le visite istituzionali, praticamente, in tutti gli istituti penitenziari della Calabria, ma anche presso il Cara-Regional Hub di Isola Capo Rizzuto (KR) e, contestualmente, a presentare le linee guida della mia attività funzionale; ad organizzare “Gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale in Calabria”, con il corale coinvolgimento di tutte le istituzioni che interagiscono con le complesse problematiche del sistema penitenziario calabrese; a recarmi all’occorrenza a Roma per le riunioni di coordinamento con il Garante nazionale ed i Garanti regionali. Poi è arrivato il 2020 e come dicevo: le elezioni regionali; i tempi di insediamento del nuovo Consiglio e della nuova Giunta; il Covid-19. L’assenza, perciò, del tempo necessario per interloquire in maniera stabile con gli organismi regionali di riferimento, costantemente, in questo ultimo anno, in procinto di avvicendarsi; poi il Covid-19 e, quindi, l’assenza di previsioni e di misure adeguate per fronteggiarne la tragica avanzata; il conseguente confinamento su tutto il territorio nazionale e l’inevitabile assenza di contatti personali, sociali, relazionali e finanche familiari, ancor più esasperati per chi si trova in carcere; quindi, l’apparente illusione estiva fino all’assenza più drammatica e destabilizzante della prematura scomparsa della Presidente Jole Santelli; la necessità dolorosa, dunque, di indire nuove elezioni, nel mentre la Regione Calabria ed i calabresi venivano e vengono calpestati nella loro stessa dignità di cittadini da Commissari ad acta alla sanità che si dimettono, si succedono, vengono nominati, ancora si dimettono, di nuovo nominati, quindi impossibilitati, infine vaneggiati, nel volgere di così pochi giorni gli uni dagli altri, che se non si trattasse di una gravissima ed esecrabile assenza di doverosa responsabilità, umana ed istituzionale, si tratterebbe di una farsa all’italiana, ironicamente e tragicamente protagonista nelle commedie di Mario Monicelli o di Dino Risi.

E, come se non bastasse, continua a piovere sul bagnato: l’attività giudiziaria, giustamente, prosegue – bisogna avere fiducia – e l’assenza, parafrasando Carmelo Bene, diviene più forte presenza. Così lo scenario nel quale, come Garante regionale, ho dovuto esercitare le mie funzioni istituzionali, inesorabilmente, è scivolato verso un’ignavia generalizzata, un rimpallo di competenze e responsabilità, consumatosi sulla pelle dei cittadini calabresi, tanto fuori quanto dentro il carcere. Ciononostante, il sistema penitenziario calabrese ha saputo reggere all’impatto con la pandemia. In effetti, per tutto il tempo della perdurante emergenza sanitaria, non si sono verificati episodi di rivolta o di protesta negli istituti penitenziari della Calabria: la popolazione detenuta, i familiari dei carcerati, la polizia penitenziaria, gli educatori, gli infermieri, i medici e i dirigenti penitenziari hanno, tutti, mostrato un alto senso di responsabilità, pur fra mille difficoltà e preoccupazioni. A questo microcosmo di umanità va il mio più sentito ringraziamento, umano ed istituzionale. Eppure, l’avvento del Covid-19 ha inciso profondamente sull’esecuzione della pena: innanzitutto, sono stati sospesi i colloqui delle persone detenute con i propri familiari e, per fortuna, si è potuto fare ricorso ai contatti telefonici o via skype o alle videochiamate, grazie agli smartphone ed ai tablet resi disponibili dall’Amministrazione Penitenziaria; inoltre, sono state sospese tutte le attività trattamentali; inibiti gli ingressi ai tanti volontari che prestano servizio nelle carceri; interrotto il lavoro all’esterno delle persone detenute; interrotta la scuola e le attività laboratoriali, senza possibilità di assicurare la didattica a distanza, tranne sparute eccezioni. Insomma, il carcere è stato ulteriormente confinato in disparte, chiuso ed escluso, ancora una volta di più, dal resto della società. Ma la Calabria è terra abituata all’esclusione, forse per questo le sue carceri, luoghi di esclusione per antonomasia, almeno fino ad ora non hanno registrato alcun caso di contagio, né fra la popolazione detenuta, né fra gli agenti di polizia penitenziaria o fra il personale a vario titolo operante in carcere. Solo di recente, si sono registrati due casi di persone positive al Covid-19, entrambe provenienti dalla libertà e, perciò, tempestivamente isolate senza alcuna possibilità di contagiare altri ristretti.

Peraltro, la drammatica emergenza sanitaria relativa al Covid-19 è stata l’occasione per risolvere, almeno per ora, la inveterata problematica della copertura infermieristica H24 presso il carcere di “Reggio Calabria-Arghillà”: per vero, dopo ben sette anni, a seguito dei costanti e reiterati interventi che, quale Garante regionale, ho perorato sia presso il competente Dipartimento regionale alla salute sia presso la competente ASP di Reggio Calabria, sono stati assunti a tempo determinato 6 infermieri e, per la prima volta dalla sua inaugurazione del 2013, l’istituto penitenziario di Reggio Calabria-Arghillà assicura la copertura infermieristica H24. Inoltre, a seguito delle specifiche raccomandazioni formulate agli organi regionali competenti e grazie alle sollecitazioni in tal senso avanzate dal Provveditore regionale del DAP e dal referente regionale per la sanità penitenziaria, è stato riavviato ed è pienamente operativo l’Osservatorio regionale permanente per la Sanità Penitenziaria. E ancora, dopo essermi recato in visita istituzionale presso la Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) di Santa Sofia d’Epiro (CS) e presso il cantiere della Rems di Girifalco (CZ), ho formulato apposita raccomandazione a chi di competenza, integralmente riportata all’interno della Relazione Annuale, evidenziando la necessità di agire presto e bene, al fine di scongiurare colpevoli disfunzioni.

Infine, mi preme segnalare la bella iniziativa promossa insieme ad Area Democratica per la Giustizia di Reggio Calabria ed alla Direzione della Casa Circondariale di “S. Pietro” di Reggio Calabria, relativa al confezionamento, da parte delle donne detenute, delle mascherine in tessuto non tessuto, destinate in via prioritaria ad uso interno dell’Amministrazione Penitenziaria di tutta la Regione Calabria, con possibilità di esternalizzare la donazione gratuita delle mascherine anche alla società esterna al carcere. L’iniziativa è stata replicata anche presso la sezione femminile dell’istituto penitenziario di Castrovillari. Per quel che concerne, invece, le misure normative di carattere eccezionale varate dal Governo e dal Parlamento, mi pare possano essere definite tiepide. In sostanza, si è intervenuti con il cosiddetto “Cura Italia” (convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), che ha introdotto all’art. 123 la possibilità di concedere la detenzione domiciliare a chi avesse una pena non superiore a 18 mesi, anche se residuo di maggior pena, presso il domicilio, mediante l’applicazione del braccialetto elettronico ovvero senza, in caso di pena residua inferiore a 6 mesi ed all’art. 124 le licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà. A seguito delle misure normative “emergenziali”, comunque, si è registrato un alleggerimento del sovraffollamento carcerario, ed in effetti al 29 febbraio 2020, le persone detenute negli istituti penitenziari italiani erano 61.230, a fronte di una capienza regolamentare di circa 50.000 posti, di cui solo 47.000 effettivamente disponibili, mentre al 29 maggio 2020 le persone detenute presenti nelle carceri italiane erano 52.622, con una riduzione, quindi, di circa 8.600 persone detenute. Al 31 ottobre 2020, però, siamo già tornati a 54.868 presenze. Per quel che concerne la Calabria, invece, si è passati da una popolazione detenuta che al 29 febbraio 2020 registrava 2.779 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 2.735, alle 2.573 persone detenute alla data del 31 ottobre 2020 (meno, quindi, 206 persone detenute), a fronte di una capienza regolamentare, nel frattempo, scesa a 2.712 (in specie, per creare ulteriori spazi per l’isolamento delle persone detenute in quarantena al rientro e/o al primo ingresso in carcere). In definitiva, il sistema penitenziario calabrese ha retto e sta reggendo bene all’impatto con il Coronavirus e si torna a parlare di carcere solo quando si verifica un qualche episodio di esasperazione all’interno degli istituti penitenziari o un tentativo di suicidio o, ancor più, quando si concede la detenzione domiciliare o il differimento della pena o qualche minimo beneficio penitenziario o gli arresti domiciliari a persone condannate o imputate per reati connessi alla criminalità organizzata. Certo, non mi sfugge che il contesto sociale calabrese è segnato da una subdola e penetrante presenza della criminalità organizzata che, evidentemente, si “scarica” sul suo sistema penitenziario. Eppure, ancor di più, a queste latitudini, risulta cruciale rendere concretamente esigibile il dettato costituzionale in ordine alla funzione rieducativa della pena, specie, in contesti di criminalità organizzata.

Chi è nato e vissuto in terra di Calabria, di certo, ha sempre avvertito tanto la presenza “egemonizzante” della ‘ndrangheta quanto la risposta altrettanto “egemonizzante” della giustizia penale. È come se si fronteggiassero due Leviatani che non lasciano spazio a sufficienza per investire su ulteriori strumenti del “sapere”, altrettanto, utili per fronteggiare un simile conflitto. Il sapere sociologico, innanzitutto, ma anche quello della formazione e della ricerca. Strumenti indispensabili, a mio avviso, da innestare, proprio, in quei contesti criminali ed ambientali nei quali l’eredità mafiosa o l’abbacinamento criminale paiono non avere forme alternative di contrasto e superamento, al netto della sacrosanta repressione penale. In altre parole, è necessario intervenire prima di tutto fuori dal carcere, per tentare di realizzare una serie multiforme e multidisciplinare di azioni integrate volte a prevenire ovvero a superare quello che appare come un ineluttabile destino criminale, ereditario o ambientale che sia. In tale ottica, per esempio, a Reggio Calabria, si è mosso il Protocollo “Liberi di scegliere”, con inequivocabili risultati positivi, come ampiamente analizzati all’interno della Relazione Annuale. Dentro il carcere, invece, le persone detenute per reati connessi alla criminalità organizzata o terroristica eversiva, si trovano ristrette in appositi circuiti penitenziari qualificati come Alta Sicurezza, a loro volta suddivisi in: Alta Sicurezza 1 (AS1) in cui sono collocati i “detenuti ed internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis ord. penit.”; l’Alta Sicurezza 2 (AS2), in cui sono custoditi “soggetti imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza”; infine, Alta Sicurezza 3 (AS3), in cui si trovano i detenuti che hanno rivestito un ruolo di vertice nelle organizzazioni criminali dedite allo spaccio di stupefacenti (ex art. 4-bis co. 1). Orbene, in Calabria, i dati aggiornati al 25 novembre 2020, ci dicono che sono detenute 881 persone nei circuiti di Alta Sicurezza, di cui 25 in AS1 (a Catanzaro-Siano), 17 in AS2 (a Rossano) e 839 in AS3 (dislocate in diversi istituti penitenziari), a fronte di una popolazione che, aggiornata al 25 novembre 2020, registra un totale di 2.529 persone detenute. Dunque, poco più di un terzo della totalità delle persone detenute. Peraltro, proprio sulla totalità delle persone detenute, appare opportuno segnalare che 944 sono imputate, 1.583 condannate, 2 internate prosciolte.

Orbene, a fronte di tali condizioni di contesto e dell’inasprimento del trattamento penitenziario a cui sono evidentemente sottoposte le persone detenute in regime di alta sicurezza, si registra su tutto il territorio nazionale, come su quello regionale, una permanente carenza di personale giuridico-pedagogico; una esigua quantità del monte ore degli esperti ex art. 80 OP, preposti all’osservazione intramuraria e per di più gravati da altre funzioni; la sostanziale inesistenza di mediatori penali e culturali; l’assenza di personale altamente qualificato e specializzato nei percorsi trattamentali delle persone detenute per reati di criminalità organizzata (magari formato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in sinergia con le Università); l’assenza, quindi, di un “sapere trattamentale” specifico, evidentemente, non generato per causa di un “vuoto teorico sulla rieducazione mafiosa”; l’assenza, infine, di un’adeguata ricerca sul tema della funzione rieducativa della pena in contesti di criminalità organizzata, che evidentemente, a tutt’oggi, rimane sostanzialmente inesplorato.
Eppure, nell’esercizio della mia attività funzionale, ho potuto constatare che molte persone detenute per reati di criminalità organizzata, magari ergastolani ostativi con alle spalle diversi anni al 41 bis OP, ora inserite nei circuiti di Alta Sicurezza 1, hanno tentato e tentano di dare un senso all’esecuzione della loro pena, nell’ottica del rifiuto di “quell’ergastolo senza speranza”, da ultimo, cristallizzato nelle recenti determinazione della Corte Edu. In tal senso, sono illuminanti proprio le parole di un ergastolano ostativo, oggi detenuto presso il circuito AS1 del carcere di Catanzaro-Siano: “Sono entrato in carcere il 20 maggio 1995. Quante cose cambiano quando si passa attraverso certi cancelli …cambiano prospettive sogni … gusti e pensieri. Io ad esempio in un tempo che non so dire se sia stato poco o tanto, ho imparato il senso del non senso riscrivendo la mia vita …”. Si chiama Fabio Valenti questa persona detenuta da 25 anni in carcere, di cui poco meno di 15 anni in regime di 41 bis OP, e lo nomino, non solo, perché sono stato autorizzato a farlo, ma soprattutto, perché le persone, anche se detenute, hanno nomi e cognomi, conservano la propria identità e vanno sottratte da una odiosa ed inaccettabile anonimia. E poi (lo nomino) perché questa persona, specie negli anni del 41 bis, si è inventata un forno sovrapponendo due pentole e si è specializzato nel fare dolci: è diventato molto bravo tant’è che ha scritto un libro di ricette, dal titolo “Dolci (c)reati”, con la prefazione di Luca Montersino, rinomato chef pasticcere di fama internazionale. Ed anch’io ho scritto una nota introduttiva al suo libro, iniziando poi uno scambio epistolare, con lui come con altre persone detenute, che mi restituisce sempre un senso autentico di speranza. Fabio Valenti, in effetti, nutrendo questa sana passione per la preparazione dei dolci, ha riscritto la sua vita in carcere, come dice lui stesso, dando un senso all’esecuzione di una pena senza speranza. In questa ottica è necessario, a mio avviso, immettere, strutturalmente, nel sistema penitenziario professionisti altamente qualificati e specializzati nella rieducazione penale dei mafiosi. Rivedere la normativa sull’interdittiva antimafia che inibisce, a chi ha scontato la sua pena, la possibilità di intraprendere un’attività lavorativa legale.

Inoltre, come si tentò di fare nel corso degli Stati Generali, è necessario proporre l’adozione ed il consolidamento dei servizi di giustizia riparativa, soprattutto, in contesti di criminalità organizzata. Del resto, a Reggio Calabria, nella qualità di Garante comunale, avevo profuso ogni sforzo per consentire l’istituzione del primo Ufficio per la Giustizia Riparativa, il Mandela’s Office, all’interno di un bene confiscato alla criminalità organizzata, in collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità-Centro per la Giustizia Minorile della Regione Calabria. L’Ufficio è stato aperto, ma stenta a decollare e va certamente sostenuto da parte della Regione Calabria, in collaborazione con il Comune e la Città Metropolitana di Reggio Calabria, al fine di implementarne il consolidamento e rafforzarne la qualità del servizio. È, poi, necessario sensibilizzare le Università per l’avvio e l’approfondimento di appositi percorsi di analisi, di ricerca e di studio in tema di funzione rieducativa della pena per i mafiosi. Infine, risulta indispensabile “collazionare” un nuovo “sapere trattamentale” e colmare l’attuale “vuoto teorico” sulla rieducazione mafiosa, formando adeguatamente figure professionali, tanto inedite quanto cruciali in questo complesso ambito di riferimento. Ma i due terzi delle persone detenute in Calabria, come nel resto d’Italia, non sono mafiose e non hanno nulla a che fare con la criminalità organizzata. Sono giovani, molto spesso, anziani, altre volte, donne, magari con i figli detenuti innocenti (sono 53 al 31 ottobre 2020 e per fortuna per ora non ci sono bambini), stranieri (sono 483 alla stessa data), tossicodipendenti, autori di reati in gran parte contro il patrimonio o, anche, purtroppo, di reati di particolare riprovazione sociale, oppure persone con gravi problemi psichiatrici, che in carcere di certo non dovrebbero stare. Insomma, come ho avuto modo di ribadire in più occasioni, dal sociale al penale, il penitenziario finisce per diventare una discarica sociale. Nel mentre le reti di protezione e accompagnamento sociale stentano sempre di più, in particolare alle nostre latitudini, a riuscire a garantire i propri servizi di assistenza, falcidiati da tagli orizzontali che considerano gli individui come categorie e non come persone. Quando questo tempo sospeso sarà trascorso, bisognerà ricordarsi una volta di più di tutte queste marginalità sociali ed esistenziali, senza escludere nessuno.

Nel concludere la Relazione Annuale non ho potuto fare a meno di evidenziare che il futuro è inedito, tanto fuori quanto dentro le mura di un carcere, ragion per cui si imporranno risposte altrettanto inedite, capaci di assicurare tempestività d’azione ed efficacia a lungo termine.
L’avvento del Covid-19, per vero, ha stravolto tutte le priorità, eppure permane la mia determinazione a perseguire e realizzare gli obiettivi prefissati all’inizio del mandato istituzionale, incentrati su tre primarie direttrici di intervento:
 la tutela e la salvaguardia dei diritti costituzionali delle persone a qualunque titolo private della libertà personale;
 il rispetto della effettività della funzione rieducativa delle pene, anche e non marginalmente nell’inesplorato contesto della criminalità organizzata;
 l’implementazione ed il consolidamento di positivi modelli e percorsi di reinserimento nella società, imperniati sui nuovi servizi di giustizia riparativa. Quest’ora buia passerà! E sarà necessario non farsi trovare impreparati. Del resto, se c’è una cosa che questo tempo che ci è toccato di vivere ci sta insegnando è che sono gli eventi a dettare le agende del modo e le vite dei singoli. Sono gli eventi a mettere alla prova la scienza e la coscienza di ciascuno. Sono gli eventi a determinare il successo o il fallimento delle nostre scelte. Sono gli eventi, come questa sciagurata pandemia, a rammentarci che “il successo non è mai definitivo; che il fallimento non è mai fatale; e che è il coraggio di continuare che conta”. Andiamo avanti, perciò, nonostante tutto, coraggiosamente”.

Agostino Siviglia

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