Analisi sul ruolo dell’attività venatoria in Calabria ai tempi del Coronavirus

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La funzione della caccia nella salvaguardia del territorio: analisi sul ruolo dell’attività venatoria in Calabria ai tempi del Coronavirus

“È ormai noto come la Caccia sia stata di fatto immotivatamente sospesa nelle regioni classificate Zona Rossa non ostante il rischio di contagio sia praticamente assente o comunque notevolmente più remoto rispetto alle tante altre attività che è consentito praticare all’aperto, in particolare tra gli sport amatoriali e dilettantistici“. E’ quanto scrive in una nota Demetrio Larocca, Coordinatore per la caccia di selezione ATC-RC1. “Si tenga conto – prosegue- che l’attività venatoria si svolge nella maggior parte dei casi da soli o, a limite, con un numero limitato di persone tale da poter mantenere un distanziamento molto superiore a quello indicato da tutti i protocolli sanitari, stando infatti in spazi ampi e di aperta campagna, in aree rurali e boschi lontano quindi da ambienti densamente frequentati. Non esistono tutt’oggi ragioni Mediche o Scientifiche per impedirne lo svolgimento. Provvedimento questo che se da un lato ha fatto palesemente emergere le pretestuose e malcelate strumentalizzazioni politiche dettate unicamente da motivi ideologici che nessuna utilità hanno per contrastare la pandemia in atto, dall’altro non sta facendo altro che affossare interi settori del sistema economico e produttivo, in particolare quello Agricolo già pesantemente colpito dalla profonda crisi in atto, ignorando imprudentemente quali siano le conseguenze della sospensione della caccia e degli effetti del mancato prelievo a carico soprattutto delle specie opportuniste e invasive. Nella fattispecie si fa riferimento all’emergenza causata dall’esponenziale incremento demografico del Cinghiale, ormai capillarmente diffuso sull’intero territorio nazionale, la cui popolazione, stando ai dati ISPRA appena diffusi, negli ultimi dieci anni è raddoppiata raggiungendo quota un milione di esemplari con un trend di crescita in forte aumento non solo essendo una specie ad elevato potenziale riproduttivo ma soprattutto grazie a condizioni particolarmente favorevoli alla loro proliferazione in particolare a causa dei mutamenti ambientali causati dall’abbandono delle campagne, la creazione di innumerevoli aree protette di fatto interdette alla caccia (Parchi, Zps, Sic, Riserve), l’erraticità, l’abbondanza di risorse trofiche spontanee disponibili, i cambiamenti climatici in atto ed all’estrema adattabilità tipica della specie anche ad ambienti particolarmente antropizzati.

Questi oltre a cagionare ingentissimi e sempre maggiori danni alle colture agricole ed alla zootecnia – sottolinea– rappresentano tra l’altro un concreto pericolo per la pubblica incolumità a causa dello scorazzare ormai indisturbati in centri abitati, strade e linee ferroviarie causando sempre più spesso gravissimi incidenti il più delle volte fatali. Non va inoltre assolutamente sottovaluto che laddove la popolazione di questi ungulati raggiunge densità troppo elevate aumenta esponenzialmente il rischio di diffusione di Patologie Zoonotiche, Peste Suina Africana e Tubercolosi per citare le più importanti, con conseguenze facilmente immaginabili oltre che per la zootecnia ed i relativi comparti economico produttivi anche per la salute pubblica, delle quali la caccia è attualmente l’unico sistema efficace di contrasto. È a tal proposito fondamentale ribadire come la stessa ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) con nota del Direttore Dott. Pietro Genovesi, pubblicata pochi giorni fa, ha indicato come il prelievo venatorio sia l’unica soluzione efficace al contenimento ed alla gestione del Cinghiale riconoscendo la fondamentale importanza del ruolo che la caccia svolge. In particolare le due tipologie di caccia più diffuse a carico di questa specie sono la Caccia in Braccata e la Caccia di Selezione. La Caccia in Braccata garantisce appunto la costanza di un azione di prelievo incisiva e massiccia, svolgendo il fondamentale ruolo di mantenere entro livelli congrui l’incremento demografico della specie, essendo la forma di caccia più diffusa e capillarmente praticata su gran parte del territorio dalla maggior parte dei cacciatori che si dedicano a insidiare questa specie, grazie alla quale si riescono ad ottenere circa l’ 85% dei prelievi totali, riconoscendo questa come indispensabile per la corretta gestione della specie nel periodo di apertura della Caccia; va considerata inoltre l’importante funzione a livello sociale che essa tutt’oggi svolge soprattutto nei contesti rurali. La Caccia di Selezione nasce invece dell’esigenza di intervenire per ridurre l’impatto che la specie esercita in zone e luoghi dove l’elevata densità o l’inopportuna presenza causa ingenti danni alle produzioni agricole, alla zootecnia, alla viabilità e più in generale dove diventano conflittuali le interazioni con le normali attività antropiche e produttive. Questa, si effettua prevalentemente nel periodo di chiusura della caccia, perlopiù in zone non vocate alla caccia in braccata, dopo aver redatto dei Piani di Controllo che hanno la funzione di individuare il numero di capi da prelevare in funzione della stima della densità di popolazione e dei danni rilevati. Viene praticata da Cacciatori appositamente formati, ed è una forma di caccia altamente specialistica diventata strutturale nella gestione di questo ungulato in modo particolare nelle aree non vocate e nei periodi di maggiore produttività agricola.

Si capisce bene, quindi –evidenza– come queste prese di posizione vanificano gli sforzi fin ora fatti per ristabilire un ottimale equilibrio ambientale anche in funzione del sistema produttivo agricolo, grazie soprattutto al prezioso ed indispensabile contributo apportato dai Cacciatori, e rischiando di compromettere irrimediabilmente la situazione correndo il concreto e reale rischio di causare un esplosione demografica tale da rendere la situazione anche nel breve periodo non più sostenibile, con danni incalcolabili per l’ambiente, la biodiversità e l’indotto agricolo, stimando che la mancanza di un prelievo ingente e diffuso, per come già specificato dall’ISPRA, porterebbe in breve tempo la specie a triplicarsi numericamente. In questo scenario va considerato l’attuale stato di sofferenza del comparto Agroalimentare che, seppur non essendosi mai fermato da Marzo ad oggi, ha dovuto confrontarsi non solo con la crisi generata dalla pandemia in corso che ha fatto registrare una contrazione della domanda interna e un drastico calo dei consumi, ma anche con gli effetti determinati dai cambiamenti climatici e dalla siccità e, soprattutto, gli ingentissimi danni alle produzioni agricole causati dai Cinghiali, basti pensare ai danni cagionati alla produzione Cerealicola, Olivicola, al comparto Vitivinicolo e delle colture cosiddette di pregio. Va a tal proposito segnalato il preoccupante intensificarsi dei danni che le Aziende Agricole già riscontrano da quando è stata imposta forzosamente dal dpcm la sospensione della normale attività di caccia tenendo presente che questo provvedimento si somma alla sospensione dell’attività venatoria a seguito dell’Ordinanza Cautelare del Tar Calabria che già dallo scorso 24 settembre aveva interessato vaste zone del territorio Regionale impedendo di fatto lo svolgimento di qualsiasi forma di caccia. Va ribadito inoltre che sebbene la questione relativa alla corretta gestione del Cinghiale rappresenti un nodo di cruciale importanza, questa è pur sempre una costola dell’Attività Venatoria nel suo complesso la quale è composta da molte altre forme di Caccia, tutte assolutamente di pari importanza, soprattutto a fronte del ruolo che la Caccia ed i Cacciatori attualmente svolgono.

Si tengano presente – rimarca– i miglioramenti ambientali che molte forme di caccia anche indirettamente generano, il ruolo che la Caccia ha nella conservazione del patrimonio Agro Silvo Forestale e degli ecosistemi ad esso correlati, alla tutela degli ambienti rurali, alla salvaguardia della Biodiversità, al prezioso contributo apportato in molti ambiti della Ricerca Scentifica sul patrimonio Ambientale e Faunistico, di cui le principali Associazioni Venatorie finanziano, all’indispensabile collaborazione per la raccolta di importanti dati fondamentali per il monitoraggio Ambientale, Faunistico e Sanitario oltre al considerevole contributo prestato alla prevenzione degli incendi boschivi. È indispensabile pertanto sottolineare che ciascun cacciatore ha il medesimo diritto di esercitare la propria passione, quale che essa sia, poiché non esistono cacce di serie A e cacce di serie B, cacciatori utili e cacciatori inutili, la caccia è e deve essere un’attività con eguale dignità e intenti. Si auspica specialmente che i fatti di cui oggi ci stiamo occupando siano d’aiuto a comprendere l’indispensabile necessità che il mondo venatorio ha di non cedere a divisioni di alcun genere e siano questi lo spunto per trovare quella compattezza tra cacciatori, i veri protagonisti di queste vicende, che si spera verrà raggiunta anche nel frammentato panorama dell’associazionismo venatorio di rappresentanza, soprattutto alla luce della complessità degli scenari futuri che si prospettano, e promuovere una visione sostenibile della Caccia e dell’importante ruolo che essa ha, ridimensionando la visione distorta che i media con il loro incessante propagandare notizie faziose e pretestuose contribuiscono a diffondere in nome di un ideologizzato pseudo ambientalismo preconfezionato e da salotto. In ultimo, a conferma di quanto già detto, è doveroso ricordare come la pandemia se da un lato ha fatto emergere le fragilità di un mondo venatorio in forte difficoltà dall’altro ha messo in luce ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, la grandissima solidarietà dei Cacciatori Italiani che da Nord a Sud si sono mobilitati attivamente in questo difficilissimo momento, apportando un enorme contributo in termini economici riuscendo a donare diversi milioni di euro per sostenere le strutture sanitarie. Perciò a fronte di tutto ciò ed alla luce del rischio estremamente contenuto di contagio determinato proprio dalle modalità di svolgimento di queste attività, si auspica verranno riconsiderate le posizioni fin’ora mantenute e si annoveri la Caccia, in ogni sua forma, tra quelle attività che possono essere svolte, pur sempre nel pieno rispetto delle norme di sicurezza relative al contenimento della diffusione della pandemia”, conclude.

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