Schurrle e il rapporto complicato con Mourinho: “persona brutale. Mi metteva una pressione estrema”

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Andre Schurrle racconta alcuni retroscena del suo rapporto complicato con Josè Mourinho: l’esterno tedesco schiacciato dalla pressione imposta dallo Special One

Andre Schurrle è uno dei più grandi talenti sprecati del calcio tedesco. Esterno rapido e tecnico, Schurrle si è tolto la soddisfazione di giocare in grandi team quali Leverkusen, Chelsea, Borussia Dortmund e vincere la Coppa del Mondo con la Germania. Eppure ad oggi, con 30 anni da compiere a novembre, Schurrle risulta già fra i ritirati. Problemi fisici, progressiva perdita di fiducia in se stesso, difficoltà nel mantenere le aspettative di una carriera che lo ha visto crollare dal tetto del mondo, raggiunto a 23 anni con tanto di assist nella finalissima contro l’Argentina.

In una recente intervista su YouTube al giornalista Joko Winterscheidt, Schurrle è tornato a parlare del suo periodo al Chelsea, coinciso con l’inizio della fase discendente della sua carriera. Il rapporto con Mourinho, allenatore dei Blues all’epoca, fu tutt’altro che semplice: “è un tipo brutale. E io continuavo a chiedermi: ‘Ma che fa? Perchè mi tratta così? Perchè si comporta così con la gente? Ma guardando indietro mi rendo conto di quello che voleva da me e delle risorse con cui lavorava. All’epoca non riuscivo a fare quello che mi chiedeva a causa dei suoi metodi sbrigativi e della pressione psicologica. In quel momento era complicato, spesso tornavo a casa dopo aver parlato con lui e pensavo che non potevo continuare così. Cosa potevo fare? La pressione che creava era estrema. Durante gli allenamenti pensavo che guardasse solo me, anche se alla fine probabilmente non era così. Nonostante tutto l’impressione era che gli piacessi e che cercasse di migliorarmi. Ma comunque mi metteva in testa che erano cose complicate da capire. Alla partita d’addio di Ballack, che c’è stata quando io ero già d’accordo con il Chelsea, l’allenatore della mia squadra era Mourinho. Mi fa: ‘se oggi non segni due gol, quando arrivi ti mando subito in prestito al Southampton’. Non sapevo se scherzasse o no. Spesso giocavo dall’inizio e mi sostituiva all’intervallo. E la partita dopo finivo in tribuna. All’epoca non capivo e la mia fiducia in me stesso è crollata. Il mio ego era ferito. Solo dopo ho cominciato a pensare a cosa gli potesse passare per la testa“.

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