Reggio Calabria: i Mauro del Caffè assolti dopo 15 anni di accuse. E intanto sul business della torrefazione è piombata la ‘ndrangheta

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La storica famiglia ha perso il controllo dell’azienda, a causa di un processo durato 15 anni. Nel frattempo le indagini della magistratura hanno scoperto che sul business della torrefazione è piombata la ‘ndrangheta

La storia dell’azienda Caffè Mauro rovinata ingiustamente. Si è concluso con un nulla di fatto il processo “immediato”, durato la bellezza di 15 anni, nei confronti del proprietario della storica ditta che si è fatto 40 giorni tra carcere e arresti domiciliari a 70 anni da innocente (oggi ne ha 83). Tutto iniziò nel lontano 2003, quando sulla famiglia Mauro piomba l’accusa di associazione a delinquere, esercizio abusivo del credito e usura. Cambiali in bianco al posto della fornitura di caffè con tassi di restituzione altissimi. Le indagini le porta avanti il pm Stefano Rocco Fava il 26 dicembre di quell’anno, come riporta Il Giornale, oggi finito nel tritacarne mediatico per le sue relazioni pericolose nella rete di contatti scoperte grazie ai trojan installati nel telefonino dell’ex leader dell’Anm Luca Palamara, poi la palla passa ad altri colleghi. Tutto nasce dal sospetto che lo storico marchio di caffè, sponsor tecnico della Juventus e della Reggina agli inizi degli anni Duemila, come succede per altri prodotti come gelati e birre, al di là della semplice fornitura del caffè, il marchio sulle tazzine e le macchinette del caffè in comodato d’uso ricatti a strozzo i bar attraverso prestiti usurai.

Adesso è chiaro che la Procura, si mosse su presupposti inesistenti, eppure era chiaro fin da subito, dai racconti delle presunte vittime che le cose erano andate diversamente da come le raccontava la Procura. “Per la legge, la Commissione europea e l’Associazione nazionale torrefattori era tutto ok”, ha sottolineato al Giornale Fabio Schembri, uno dei legali della famiglia Mauro. Ai titolari dell’azienda non serviva all’epoca una finanziaria, la Mauro poteva erogarli direttamente, come facevano altre aziende in altre città. L’accusa si basa su una bizzarra perizia di parte, per cui sarà chiesta una liquidazione astronomica di 518mila euro (poi liquidata con 60mila euro per il pressing della difesa), secondo cui l’interesse sui prestiti fosse del 69.000.000%. A ribaltarla ci pensa il perito del tribunale, secondo cui gli interessi sono intorno all’8-10% e talvolta oscillano tra 0 e 0,5%: in linea, se non vantaggiosi, rispetto a quelli di qualsiasi banca a tempo.

Per essere dichiarati innocenti però sono serviti 15 anni. Nel 2013 in primo grado, dopo 8 anni e 9 mesi, il verdetto era già chiaro: assolti. La Procura però decise di insistere e fece ricorso ad un passo dalla prescrizione. I Mauro escono dalla società senza prendere un euro per non mandarla in malora. Ma il calvario giudiziario dura altri sei anni, fino al verdetto definitivo del 2019 che li dichiarò innocenti. Nei giorni scorsi intanto, grazie all’inchiesta Malefix che ha riportato in carcere l’ex killer di ‘ndrangheta Luigi Molinetti, a piede libero dal 2007, sulle cui tracce c’era da tempo Klaus Davi, si è scoperto il boss aveva in mano un brand di caffè comprato dal clan di camorra degli Zagaria, che imponeva a una trentina di bar ed esercizi commerciali del Reggino. Come spiega il Giornale, nell’articolo a firma di Felice Manti e Edoardo Montolli, la ‘ndrangheta cerca sempre di inserirsi all’interno del giro di almeno un bar o ristorante, sono lavanderie perfette che le cosche usano per riciclare i proventi del narcotraffico attraverso un elaborato meccanismo di “invasione fiscale” e fatture false, in particolare per la fornitura di caffè. E’ facile pensare dunque che l’indebolimento di un competitor forte come la Mauro nel 2003 non abbia fatto altro che aumentare il giro dell’illegalità.

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