Il racconto dell'”odissea” giudiziaria di un penalista reggino rinchiuso nel carcere di Bologna con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa

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Il racconto dell'”odissea” giudiziaria di un avvocato reggino ristretto nel carcere di Bologna con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, all’avvocato vengono mossi due episodi entrambi aggravati per presunta agevolazione della ‘ndrangheta

“Si intende trattare pubblicamente l’odissea giudiziaria dell’avv. Carlo Maria Romeo, avvocato penalista reggino, ristretto in stato di custodia cautelare in carcere a Bologna da quasi un anno e mezzo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa secondo un rito che ormai presenta connotati di una sconosciuta specialità”. E’ quanto racconta l’avv. Oreste G. M. Romeo.”A lui vengono mossi due addebiti -prosegue- un episodio della primavera 2011, l’altro dei primi mesi del 2016, entrambi aggravati per presunta agevolazione della ‘ndrangheta ed, altresì, utilizzati dalla Procura di Torino per contestare anche il concorso esterno in associazione mafiosa, un delitto di creazione giurisprudenziale che rende visibile a chiunque la risalente ed inconcepibile vocazione legislativa di una frangia della Magistratura. Il primo riguarda una evanescente estorsione tentata ed aggravata che si sarebbe verificata nella primavera del 2011: il professionista viene mandato in carcere perché ritenuto spalleggiatore di una richiesta illecita di danaro che un suo cliente avrebbe rivolto alla persona offesa dal reato. Su queste basi, che in pochi mesi la stessa Procura torinese riterrà prive di fondamento, prende avvio un iter giudiziario costellato di inquietanti ed allarmanti stranezze. A partire dall’iscrizione del penalista nel registro degli indagati, che avviene in data 27 ottobre 2016, cioè cinque anni e mezzo dopo i presunti fatti, a causa delle dichiarazioni che la presunta vittima del tentativo di estorsione aveva rilasciato, in un diverso procedimento, il 9 aprile 2013 ai Carabinieri di Leinì che stavano indagando su tutt’altra vicenda della quale sarebbero poi stati individuati ed anche puniti i responsabili. Ed ancor più strano ed inquietante è che il 15 aprile 2013, dopo i Carabinieri di Leinì, sia stato il PM di Torino a decidere di interrogare anch’egli la stessa presunta vittima della tentata estorsione, senza però procedere ad alcuna iscrizione dell’avv. Romeo nel registro degli indagati, non essendo emerso nulla di penalmente rilevante nelle dichiarazioni acquisite presso la asserita persona offesa. Ed è noto che se un PM ravvisa elementi meritevoli di iscrizione al registro degli indagati deve attivarsi in tal senso, altrimenti commette un reato”.

“Dunque -prosegue- da metà aprile 2013 fino al 27 ottobre 2016 l’episodio poi contestato all’avv. Carlo Maria Romeo non ha costituito reato. Ma quello stesso episodio, ex abrupto, diventa reato dopo tre anni e mezzo. Perché? Nell’estate del 2016, un singolare collaboratore di giustizia (che ha ammesso reiteratamente agli inquirenti di avere raccontato tante palle da non ricordare più cosa fosse vero e cosa invece non lo fosse, che pretendeva in cambio della collaborazione € 120.000 o 2/3 Kg di cocaina dopo avere annunciato al telefono che la prima testa a cadere sarebbe stata quella dell’avv. Romeo), aveva accusato il penalista di avere fatto da intermediario in una cessione di cocaina tra altri due suoi clienti. E tale circostanza è stata l’occasione del ripescaggio della vicenda della primavera del 2011 del presunto tentativo di estorsione, al chiaro fine di muovere al penalista anche l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. E non finisce qui! All’atto della formale chiusura delle indagini, in data 29 agosto 2019, la Procura di Torino modifica l’imputazione e contesta all’avv. Romeo  una condotta ben diversa, quella cioè del mandante: il professionista, cioè, avrebbe agito per recuperare un legittimo credito di un suo presunto cliente, un piemontese totalmente estraneo a contesti di criminalità organizzata rimasto vittima di una truffa perpetrata ai suoi danni proprio dalla persona offesa e dai soci di questa, ed aveva pure presentato una querela ai primi ad agosto del 2011! E, come tristemente accade, l’origine calabrese fa il resto, essendo scattata in automatico per il brillante penalista la contestazione della aggravante speciale di avere favorito “la ndrangheta”, non, in ipotesi, il piemontese avulso per tutta una vita da dinamiche di crimine organizzato! Eppure, agli atti del processo resta che l’avv. Romeo è stato arrestato il 23 gennaio 2019 sulla base di una frettolosa e superficiale ipotesi che poi è stata ritenuta infondata dalla stessa Procura della Repubblica di Torino; e resta pure nei fatti che i suoi presunti concorrenti nel reato già da molto tempo ne rispondono a piede libero”.

“Il secondo episodio contestato al penalista reggino – aggiunge- è riferito da un collaboratore di giustizia, al quale sono stati definitivamente negati in ogni grado di giudizio i benefici previsti per i pentiti: l’avv. Romeo sarebbe stato intermediario di una cessione di 500 grammi di cocaina tra due suoi clienti, Bruno Trunfio e Bruno Nirta. Anche qui la Procura di Torino ha mosso al professionista la contestazione dell’aggravante speciale di avere agevolato la locale di Chivasso (in persona di Bruno Trunfio) e quella di Aosta (in persona di Bruno Nirta), ed ha utilizzato la presunta cessione di cocaina quale base per contestare anche il concorso esterno in associazione mafiosa. Anche qui le stranezze non si fanno attendere: la Procura sabauda ha archiviato la posizione di Trunfio Bruno dopo averlo indagato nel procedimento per associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.), sicchè è una palese e poco dotta contraddizione in termini la contestazione all’avv. Carlo Maria Romeo della presunta agevolazione della locale di Chivasso. E, sotto il profilo della presunta agevolazione della locale di Aosta, di cui Bruno Nirta, indennizzato per ingiusta detenzione nei primi anni 90 per un suo coinvolgimento in contesti mafiosi rivelatosi privo di fondamento, sarebbe addirittura ritenuto capo o addirittura una sorta di superconsulente, si coglie la pervicace prevenzione degli Inquirenti. I 500 grammi di cocaina oggetto della presunta cessione erano stati custoditi per conto di Nirta Bruno dal collaboratore di giustizia Panarinfo Daniel e da un sodale di costui, tale Lucarini, l’uno e l’altro già giudicati per tale fatto con sentenza irrevocabile in assenza di contestazione dell’aggravante di avere agevolato la locale di Aosta nella quale si assume una partecipazione apicale di quel NIRTA Bruno per conto del quale i due detenevano lo stupefacente! Ma la disciplina speciale riservata all’avv. Carlo Maria Romeo la si evince anche dal fatto che gli imputati di concorso esterno in associazione mafiosa sono ai domiciliari già da un anno, mentre la posizione del professionista sin qui è stata valutata alla stregua non di un partecipe pieno ad associazione mafiosa, ma addirittura di capo”.

Anzi -rimarca- la specialità del trattamento sembra proprio risiedere nella constatazione che più di qualche capomafia ha lasciato il carcere per il serio ed incombente pericolo l’emergenza Covid, mentre l’avv. Carlo Maria Romeo attende in vinculis la sentenza che tra qualche giorno definirà il giudizio abbreviato per il quale ha optato a difesa della propria innocenza. Il professionista ha denunciato per calunnia il pentito Panarinfo e ne ha chiesto pure per ben due volte l’audizione in contraddittorio inoltrando richiesta di incidente probatorio: il GIP non lo ha consentito sulla scorta della (singolare) motivazione che il termine di durata delle indagini fosse già scaduto il 24 febbraio 2018, cioè undici mesi prima degli arresti! E, dunque, il rito speciale applicato in terra sabauda per gli sventurati venuti al mondo nella nobile terra di Calabria lo si coglie anche lì dove si consideri che ti è precluso il confronto immediato con la causa della tua Libertà mentre nulla si dice se il tuo Accusatore ascolta testimoni anche a distanza di un anno dalla scadenza del termine di durata delle indagini. Una vicenda a dir poco inquietante: già lo scorso anno, precisamente ad agosto, la Procura torinese aveva mandato con sollecita urgenza gli atti al TdL per l’appello proposto dall’ex consigliere valdostano Sorbara, accusato nella stessa indagine di concorso esterno, che si era visto rigettare il 22 luglio 2019 dal GIP l’istanza di attenuazione della misura carceraria nonostante il parere favorevole del PM alla ammissione ai domiciliari”.

“E Sorbara – sottolinea- il 24 agosto 2019 ottenne i domiciliari e lasciò il carcere grazie al collegio feriale del TdL torinese. Ben diverso il trattamento dell’avv. Romeo: impugna nell’identico termine processuale lo stesso provvedimento di Sorbara, peraltro rinunciando espressamente alla sospensione dei termini feriali, ma gli atti per il penalista la Procura li manda alla cancelleria del TdL solo un mese e mezzo dopo. E la Procura, che aveva dato parere contrario alla concessione al penalista degli arresti domiciliari, in quei giorni aveva il fascicolo in evidenza perché il 14 agosto 2019 richiede numerosissime archiviazioni per altrettanti soggetti nominati da un collaboratore di giustizia falso come una moneta da 3 €uro ed il 29 agosto successivo chiude formalmente le indagini! E, dunque, ricorrendo all’espediente dell’ingiustificabile ritardo di invio degli atti al TdL, la Procura chiaramente sottrae l’avv. Romeo al suo Giudice naturale precostituito per legge (art. 25 della “più bella del mondo” che da qualche tempo certe toghe hanno smesso di ostentare). E sulla posizione del penalista si pronunciano lo stesso Collegio (identica composizione, seppure per soli 2/3) e la stessa giudice relatrice che già ne avevano disatteso l’istanza di Riesame l’11 febbraio 2019, emettendo un verdetto chiaramente condizionato dal PM”.

“Infatti –evidenza- la “selezione operata pro domo sua”, che è altra cosa rispetto al Popolo Italiano, ha fatto si che la Procura torinese rendesse accessibili ai Difensori tutte le intercettazioni e tutti gli atti processuali che ne smentivano gli assunti accusatori, solo a distanza di mesi e mesi dagli arresti. Un espediente grazie al quale blindare in maniera artificiosa e preordinata, il titolo coercitivo, rendendo, in concreto e per molti mesi, impossibile l’esercizio del diritto, sacro ed inviolabile, alla difesa ormai ipocritamente scolpito nell’art. 24 Cost. Queste amare con stazioni sono dovute ad un Fratello da sempre adorato, alla Memoria di un Padre che almeno non ha assistito a questo scempio, alla Signora Madre, alle sorelle, ai figli ed ai nipoti, a tutta la Famiglia, e ad un mare di Amici e conoscenti che hanno coltivato e coltiveranno sempre una sola certezza, quella dell’ingiustizia sin qui riservata ad una persona perbene”, conclude.

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