Ponte sullo Stretto, perché non prendere esempio da Genova? Come la filiera di imprese made in Italy ha realizzato un’opera da record

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La filiera italiana, coordinata dal Gruppo Webuild insieme a Fincantieri, ha contribuito alla realizzazione del nuovo Ponte di Genova: un valore delle forniture che supera i 160 milioni di euro

Un’opera modello per il nostro Paese, che potrebbe essere presa da esempio anche per la realizzazione del tanto discusso Ponte sullo Stretto. Quasi 330 imprese medie e soprattutto piccole da tutta l’Italia, per un valore delle forniture che supera i 160 milioni di euro, quasi l’80% del valore complessivo della commessa: sono i numeri che raccontano il mondo della filiera italiana che, coordinato dal Gruppo Webuild insieme a Fincantieri, ha contribuito alla realizzazione del nuovo Ponte di Genova, e permesso di sperimentare un modello virtuoso di valorizzazione delle competenze di un settore in profonda crisi, che il Gruppo Webuild intende consolidare e far ripartire con l’operazione industriale Progetto Italia. Eccellenze che esprimono la migliore qualità che il Made in Italy ha prodotto nel mondo delle infrastrutture, e che il Gruppo punta a rendere sempre più forte e competitivo in Italia e all’estero grazie a Progetto Italia per lo sviluppo del settore nel Paese. La costruzione del viadotto dei record, giunto al termine dei lavori a un anno dal primo getto di calcestruzzo, ha permesso a centinaia di fornitori e subfornitori di lavorare ad uno dei progetti più iconici in Italia, mettendo a disposizione del cantiere servizi altamente specializzati. Dai lavori di scavi per le fondazioni, al trasporto dei maxi impalcati lunghi fino a 100 metri per le vie di Genova, alla costruzione dei sofisticati pennoni fino alla produzione e montaggio dei pannelli fotovoltaici: sono oltre quaranta i mestieri, diversi ed integrati, messi a sistema dal modello organizzativo del Gruppo Webuild. A Genova la Società ha infatti messo in pratica il fast track, un approccio al lavoro in cantiere che prevede la realizzazione delle lavorazioni in parallelo, attraverso l’allestimento di tanti cantieri, ognuno dei quali gestito in modo efficiente e integrato con gli altri. Nella sola fase di “vestizione” finale del ponte (la fase conclusiva dei lavori che prevede gli interventi finali prima dell’inaugurazione del viadotto), sono operative quaranta squadre che lavorano in contemporanea, con oltre 200 operai. Se da un lato le imprese di Genova e della Liguria sono rappresentate insieme ad altre aziende del Nord Italia, dall’altro molte aziende del Sud hanno svolto ruoli decisivi, come accaduto alla Faver di Bari, che ha realizzato i 18 pennoni alti 28 metri, progettati per illuminare in modo scenografico l’infrastruttura e destinati fin da subito a diventare uno dei simboli di quest’opera. Tra i fornitori, imprese come le Acciaierie Valbruna, un’eccellenza italiana nella produzione di acciai speciali in attività dal 1925; la Bosco Italia, che sta assemblando e montando proprio in questi giorni i pannelli fotovoltaici, essenziali per rendere il ponte autonomo dal punto di vista energetico, così come i pannelli di protezione in vetro; o ancora la Akron e la Geoinvest, specializzate nel campo della geofisica e incaricate delle indagini del sottosuolo o la Drafinsub, chiamata per la bonifica degli ordigni bellici, un’operazione necessaria prima della costruzione di qualunque genere di infrastruttura, e il Politecnico di Milano, dove sono state realizzate le prove nella galleria del vento sul plastico del ponte.

Ponte di Genova, le imprese italiane che hanno contribuito alla costruzione dell’opera dei record [VIDEO]

GENOVA: LE IMPRESE ITALIANE DIETRO IL PONTE DEI RECORD

Quasi 330 imprese medie e soprattutto piccole da tutto il Paese. Oltre quaranta mestieri diversi ed integrati in un unico grande sogno: dimostrare che l’Italia può realizzare un ponte di ottima qualità in tempi record. Sotto quei 1.067 metri di impalcato che ormai da qualche settimana hanno ridisegnato lo skyline della valle del Polcevera non ci sono solo 18 pile di calcestruzzo alte oltre 40 metri, ma anche le storie, le competenze, le abilità tecniche di centinaia di imprese che in questi mesi hanno dato il loro contributo alla nascita del nuovo Ponte di Genova. La costruzione del viadotto dei record, giunto al termine dei lavori a un anno dal primo getto di calcestruzzo, è anche merito delle centinaia di fornitori e subfornitori che hanno messo a disposizione del cantiere servizi altamente specializzati, dal trasporto dei maxi impalcati lunghi fino a 100 metri per le vie di Genova al montaggio dei pannelli fotovoltaici. Eccellenze che esprimono la migliore qualità che l’Italia ha prodotto nel mondo delle infrastrutture, e che il Gruppo Webuild intende rendere sempre più forte e competitivo in Italia e all’estero grazie a Progetto Italia, l’operazione di consolidamento e di sviluppo del settore nel Paese. Coordinate dal Gruppo Webuild, che insieme a Fincantieri ha realizzato l’opera, si sono avvicendati sotto e sopra il ponte 130 fornitori e circa 200 subfornitori, per un valore delle forniture che supera i 160 milioni di euro, quasi l’80% del valore complessivo della commessa. Imprese di eccellenza arrivate da ogni regione italiana con il loro bagaglio di competenze e il loro esercito di ingegneri, tecnici e operai altamente specializzati. Tra i fornitori, imprese come le Acciaierie Valbruna, un’eccellenza italiana nella produzione di acciai speciali in attività dal 1925; la Bosco Italia, che sta assemblando e montando proprio in questi giorni i pannelli fotovoltaici, essenziali per rendere il ponte autonomo dal punto di vista energetico, così come i pannelli di protezione in vetro; o ancora la Akron e la Geoinvest, specializzate nel campo della geofisica e incaricate delle indagini del sottosuolo. I profili delle imprese e delle istituzioni che hanno fatto il ponte raccontano una storia per molti versi sconosciuta. È questo il contributo che dà la Drafinsub, chiamata per la bonifica degli ordigni bellici, un’operazione necessaria prima della costruzione di qualunque genere di infrastruttura. E ancora del Politecnico di Milano, dove sono state realizzate le prove nella galleria del vento sul plastico del ponte. Una varietà di esperienze ed eccellenze che raccontano anche molto del mondo produttivo del paese. Accade così che, se da un lato le imprese di Genova sono altamente rappresentate (circa 50 vengono dalla Liguria), dall’altro aziende del Sud hanno svolto ruoli decisivi come accaduto alla Faver di Bari, che ha realizzato i 18 pennoni alti 28 metri, progettati per illuminare in modo scenografico l’infrastruttura e destinati fin da subito a diventare uno dei simboli di quest’opera. Dietro il record del ponte di Genova che, secondo le previsioni si avvia a una rapida conclusione dei lavori e a un’inaugurazione possibile all’inizio di agosto, ci sono quindi le capacità lavorative delle aziende che lo hanno realizzato, con una capacità che è stata messa a sistema dal modello organizzativo del Gruppo Webuild, leader nella costruzione di opere complesse in giro per il mondo. Proprio a Genova, in collaborazione con la squadra dei fornitori e subfornitori, Webuild ha messo in pratica il fast track, un sistema di approccio al lavoro in cantiere che prevede la realizzazione delle lavorazioni in parallelo, attraverso l’allestimento di tanti cantieri, ognuno dei quali gestito in modo efficiente e integrato con gli altri. Per fare un esempio di come funziona questo modello, nella cosiddetta “vestizione” del ponte (la fase conclusiva dei lavori che prevede gli interventi finali prima dell’inaugurazione del viadotto), sono operative quaranta squadre che lavorano in contemporanea, con oltre 200 operai chiamati ad agire in perfetto coordinamento. Come musicisti di un’orchestra. Un’orchestra corale, fatta di eccellenze e qualità, all’interno della quale hanno dato un contributo determinante anche le decine, anzi centinaia di fornitori, espressione del meglio che il Made in Italy ha prodotto nel mondo delle infrastrutture.

FONDAMENTA SRL: QUEI GIGANTI NASCOSTI CHE SORREGGONO IL PONTE

Sotto le 18 pile che sorreggono il nuovo Ponte di Genova ci sono decine di giganti in cemento armato, ognuno dei quali raggiunge l’altezza di 50 metri e il diametro di 1,5 metri, che spariscono dalla superficie affondando nel sottosuolo. Nell’insieme circa 7mila metri lineari di cemento armato che danno vita alle fondamenta del nuovo Ponte, realizzate in gran parte dalla Fondamenta srl, una società di Milano di medie dimensioni specializzata proprio nei lavori nel sottosuolo e in particolare nella realizzazione dei grandi pali che sorreggono le infrastrutture. Una delle società della filiera che ha dato il suo contributo fondamentale a questa impresa, una delle 330 imprese di piccole e medie dimensioni che hanno contribuito alla realizzazione del Ponte di Genova, eccellenze che esprimono la migliore qualità che il Made in Italy ha prodotto nel mondo delle infrastrutture, e che il Gruppo Webuild intende rendere sempre più forte e competitivo in Italia e all’estero grazie a Progetto Italia, l’operazione di consolidamento e di sviluppo del settore nel Paese. «A Genova – racconta Paolo Muneretto, ingegnere, socio e consigliere d’amministrazione della Fondamenta srl – siamo stati incaricati di portare a termine 14 interventi di fondazione, 9 sul lato di Ponente, 4 sul lato di Levante e uno sulla spalla di Ponente». Realizzare le fondamenta di un’opera come il nuovo Ponte di Genova è un lavoro di grande complessità tecnica e organizzativa, che inizia dall’utilizzo delle macchine perforatrici. «Si tratta di macchine estremamente innovative e di grande potenza – spiega Muneretto – che superano le 100 tonnellate di peso, si muovono con cingoli e hanno un braccio verticale che si alza per oltre 30 metri e sul quale viene posizionata l’asta di perforazione che entra nel terreno». Al termine della perforazione viene incastrata ai bordi del buco profondo 50 metri una gabbia dentro la quale viene colato il calcestruzzo che darà poi vita al palo di fondazione. La parte superiore del palo, quella che fuoriesce dal terreno, viene poi annegata all’interno del grande plinto di fondazione della pila. «Tutti i carichi del ponte – commenta l’ingegnere Muneretto – dal peso stesso del ponte a quello delle automobili che lo attraversano, vengono scaricati prima sulle pile, da lì sul grande plinto di fondazione che a sua volta li trasferisce nei pali interrati. Ogni pila poggia su un numero variabile di pali di fondazione, che vanno da 9 a 15, e questo dipende naturalmente dal peso che la pila stessa è chiamata a sostenere. Ad esempio, le pile che sorreggono le due campate centrali lunghe 100 metri poggiano su un numero maggiore di pali di fondazione». Alla complessità tecnica nella realizzazione di questi pali si è aggiunta quella legata ai tempi strettissimi imposti dal Gruppo Webuild che insieme a Fincantieri ha realizzato l’opera. «Lavorare a Genova non è stato facile – ammette oggi Muneretto – perché i ritmi di lavoro sono stati elevatissimi e i nostri tecnici impegnati sette giorni su sette, 24 ore su 24. Questo ha richiesto un grande impegno che però abbiamo affrontato con soddisfazione e orgoglio, sentendo nel profondo una spinta morale rispetto a quello che stavamo facendo». I lavori di Fondamenta in cantiere sono iniziati nell’aprile del 2019 e terminati nel novembre dello stesso anno, sette mesi nel corso dei quali la società ha portato a termine il suo incarico, forte di un’esperienza maturata proprio sul terreno delle grandi opere. «Fondamenta – racconta Muneretto – è una società operativa in Italia dal 1993 e oggi impegnata su grandi opere come ad esempio le linee metropolitane di Milano, a partire dalla M4 (altra opera realizzata dal Gruppo Webuild), dove siano incaricati delle opere speciali del sottosuolo, come ad esempio il consolidamento del terreno propedeutico per avviare gli scavi in galleria. Oltre a questo, la società è in questi mesi impegnata nel grandioso progetto di ampliamento dell’area urbana di Montecarlo, dove realizzerà 1.000 pali alti 64 metri che si conficcheranno nelle profondità marine per diventare le fondamenta degli edifici costruiti sull’isola artificiale rubata al mare». Un lavoro complesso, per il quale è necessaria una tecnica assoluta, che a Genova ha trovato la sua massima espressione, coniugando l’abilità dei professionisti del settore con l’esigenza morale di restituire nel minor tempo possibile il ponte alla sua città.

L’IMPRESA DELLA FAVER: DALLE PALE EOLICHE AI PENNONI DEL NUOVO PONTE DI GENOVA

Quei 18 pennoni alti 28 metri che svetteranno sul nuovo Ponte di Genova come alberi della nave nata da uno schizzo di Renzo Piano portano la firma di un’azienda altamente specializzata di Bari. E proprio da Bari, dai magazzini della Faver Spa, parte il viaggio attraverso l’Italia dei camion in direzione Genova, valle del Polcevera. Il contributo di una piccola impresa italiana con grande competenza ad un progetto diventato simbolo nazionale di rinascita ed efficienza, una delle oltre 330 imprese di piccole e medie dimensioni che stanno contribuendo a questa impresa collettiva e che stanno dimostrando come la collaborazione integrata della filiera con gruppi piu grandi possa permettere di rendere il settore piu forte e competitivo in Italia e all’estero, come Progetto Italia sta cercando di fare. «Nove pennoni sono già completi e pronti per partire – racconta oggi Maurizio Ruggieri, uno dei direttori tecnici e socio dell’azienda fondata da suo padre – mentre gli altri nove sono nella fase finale che prevede la verniciatura e la zincatura». A guardarla da Bari, la progettazione e costruzione dei pennoni del ponte è stata un’impresa nell’impresa. “Tutto è iniziato con un disegno – spiega Ruggieri – e da lì, insieme al project manager del ponte abbiamo lavorato al progetto e alla sua realizzazione”. L’idea iniziale era quella di realizzare i pennoni con una sezione ottogonale, una soluzione impossibile proprio per le caratteristiche di queste strutture. Ogni pennone parte con un diametro di 50 centimetri che si restringe fino a 7 centimetri sulla sommità. «A vederli realizzati – spiega Ruggiero – l’impressione è quella di avere di fronte degli spilli affusolati, con due punti luce. Il primo a 14 metri, dove saranno posizionate delle lampate progettate ad hoc dalla società Guzzini. Il secondo in testa, a 24 metri, dove sarà posizionato il segnalamento per gli aerei». Una volta chiarite forma e caratteristiche dei pennoni, i tecnici della Faver si sono concentrati sulle modalità della loro costruzione. Alla fine si è scelto di assemblare una dopo l’altra 13 sezioni di tubi e ogni sezione è stata lavorata meccanicamente con un tornio affinché raggiungesse il giusto grado di conicità. Una volta assemblati, i coni hanno dato forma al pennone che è stato poi lavorato molando a zero tutte le saldature, in modo che apparisse come un pezzo unico, dalla base alla testa. “Per realizzarli – racconta ancora il direttore tecnico della Faver – ci sono voluti quattro mesi di lavoro, con ritmi elevatissimi necessari per assicurare la consegna nei tempi richiesti. Questo ci ha obbligato a lavorare anche durante le settimane del lockdown, grazie a un’autorizzazione della Prefettura che ci ha permesso di continuare l’attività in sicurezza per le nostre persone». La Faver è arrivata alla costruzione dei pennoni per il nuovo Ponte di Genova grazie a un’esperienza maturata in anni e anni di lavoro in questo settore. L’azienda, nata nel 1980 e nella quale lavorano oggi 100 persone, è specializzata proprio nella progettazione, costruzione e gestione di torri eoliche, acquedotti e tubi. «Ogni giorno siamo incaricati del controllo di 500 chilometri di acquedotto che attraversa Puglia, Basilicata e Campania. Ma a questa attività si accompagna quella delle costruzioni meccaniche, come le pale eoliche e, naturalmente, i pennoni del ponte». Un’esperienza più che trentennale che ha portato l’azienda di Bari a partecipare a un’impresa nazionale, alle spalle del Gruppo Webuild, che ha realizzato l’opera insieme a Fincantieri. Un’impresa corale nella quale anche le aziende fornitrici di piccole e medie dimensioni hanno dato un contributo determinante alla costruzione dell’opera in tempi da record, mettendo al servizio del cantiere le loro competenze, insieme ad una buona dose di passione. «Lavorare per il ponte – ammette oggi Maurizio Ruggieri – non mi ha fatto dormire la notte. Avevamo la scure dei tempi da rispettare e naturalmente gli elevatissimi livelli qualitativi richiesti in fase di progettazione. Come sempre accade nei grandi lavori, durante la produzione dei pennoni non sono mancati imprevisti, difficoltà, arresti e ripartenze. Ma anche tutto questo fa parte del nostro lavoro. Abbiamo accolto questa sfida con coraggio e partecipazione, e adesso, pensare che i pennoni del nuovo Ponte di Genova vengono dai nostri cantieri ci riempie di orgoglio”.

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