I Moti di Reggio, 50 anni dopo – Il diario della rivolta, 20 luglio 1970: Sbarre e Santa Caterina bloccati dalle barricate, proteste anche a Villa San Giovanni

StrettoWeb

I Moti di Reggio 50 anni dopo e lo speciale di StrettoWeb, il racconto del 20 luglio 1970: situazione ancora molto tesa in città, continuano le proteste e i negozi tornano a chiudere. Caos a Villa San Giovanni

Strade ancora bloccate e proteste in strada dei manifestanti, soprattutto nei quartieri di Sbarre e Santa Caterina. La protesta poi si sposta a Villa San Giovanni, dove l’intento è quello di bloccare il traffico sullo Stretto. Grazie alla ricostruzione del libro “Buio a Reggio” scritto da Luigi MalafarinaFranco Bruno e Santo Strati nel 1972 e pubblicato da Parallelo 38, riviviamo su StrettoWeb gli eventi quei drammatici giorni vissuti a Reggio Calabria:

Nota Orazio Mazzoni su Tempo:

«Vi è come un senso di inebriato stupore a fare da cornice a questa rivolta di Reggio, come se nessuno avesse mai creduto, come se nessuno ancor oggi creda che la città possa aver nutrito nel suo seno tanta forza, tanta audacia, tanta disperazione, anche se messa al servizio di tanta irrazionalità.
«In via Pio XI cinque ragazzi sui dieci anni stanno sbarrando la strada con un pilone di cemento armato che deve pesare parecchi quintali; più in giù un gruppo di donne fabbrica bottiglie Molotov con una precisione e con un sincronismo che non possono essere spiegati solo con l’adusata fatica nell’annuale preparazione delle bottiglie di pomodoro; agli angoli dei blocchi squadrati che costituiscono il reticolo del centro cittadino si intersecano pattuglie in motoretta che con un andirivieni minuzioso, metodico, coordinato, rendono impossibile ogni “sorpresa”, controllano i passanti, sorvegliano le barricate.
«Fosse stata l’Emilia o la Toscana, fosse stata una regione che ha nel sangue la tradizione delle lotte operaie si sarebbe pur compresa questa propensione alla guerriglia, questa capacità di mettere in piedi in due giorni un esercito pronto a sfidare le manganellate della Celere ed ad attaccare il fuoco addirittura alla Questura. Ma qui, nella punta dello “stivale”, il raduno dei mafiosi sull’Aspromonte o lo scoppio di qualche bomba rudimentale che intimoriva chi aveva osato rifiutare il tributo alla mafia, ancora non erano riusciti a infrangere l’immagine di una Calabria profumata di bergamotto e di mare, pronta a lasciarsi scorrere sulla pelle con la stessa sopportazione i terremoti e le prepotenze dei mafiosi, la indifferenza dello Stato e l’ingordigia dei politicanti, i disastri delle alluvioni, la miseria contadina, le tempeste contro le barche dei pescatori».

leri sera, il prof. Arcuri della clinica oculistica degli Ospedali Riuniti ha sciolto la prognosi sul giovane Antonio Coppola, le cui condizioni sono ancora migliorate. Invece, la guardia di PS, Giuseppe Annè, del reparto mobile di Taranto, rimasto contuso nei disordini dei giorni scorsi, deve venire ricoverato, per l’aggravarsi delle sue condizioni, all’Ospedale Piemonte di Messina, dove gli vengono riscontrate gravi contusioni all’emitorace sinistro e allo addome.

Anche oggi le strade continuano a essere bloccate. Il rione S. Caterina vive una vita a sé, i cittadini protestano e per i problemi della città e per quelli irrisolti del rione. Anche a Sbarre, barricate. Un camion che trasporta bibite viene fermato e buona parte delle bottiglie è utilizzata dai dimostranti per fare molotov.
Dopo mezzogiorno la protesta si sposta a Villa. Oltre trecento dimostranti, giunti con automobili e autocarri, invadono le vie della cittadina e bloccano l’accesso alla statale tirrenica.

Scrive Alfonso Madeo sul Corriere della Sera:
«L’impressione è quella di star seduti su un barile di dinamite. La tattica dei “commandos” è cambiata. Alla guerriglia urbana, alle barricate cittadine, alle scaramucce e agli assalti in città, ora, sembra di capire che si preferisce puntare sulla strozzatura di Villa San Giovanni per provocare la progressiva paralisi di Messina e, alle sue spalle, il disagio dei traffici commerciali spezzati. È a Villa che in questo momento si vanno concentrando tutti gli sforzi della protesta più esasperata».

I negozi vengono fatti chiudere, poi i dimostranti si dirigono alla stazione e al porto, dove convincono il personale di servizio a bloccare i trasporti ferroviari e marittimi fino alle 17,30. Anche la statale 18, all’altezza di Favazzina viene bloccata con due camions targati CZ posti di traverso sulla carreggiata.

Dice Fianco Pierini su Il Giorno:
«Ho visto una barricata, verso l’imbocco dell’autostrada, che sembra un monumento. Un grande mucchio di auto vecchie e nuove, sacrificate all’ideale di Reggio capitale, una composizione impressionante sullo sfondo del mare dello Stretto, azzurro cupo, increspato dal vento. Intorno alla barricata bruciano vecchi copertoni, il fumo dà alla visione un sapore acre e un tono decadente, come fosse arrivato Salvator Dalì…».

Una bomba carta, confezionata con polvere nera compressa, esplode sulla linea ferrata a 400 metri dalla stazione di Cannitello. Lievi danni ai binari e a una traversina. Un treno transita tre minuti dopo l’esplosione.
Interrotte le comunicazioni telefoniche con il nord. Il servizio manuale interurbano viene fatto sospendere da un gruppo di dimostranti che convince operai, dipendenti, operatori e funzionari della SIP a interrompere il lavoro e ad aderire allo sciopero.

Così Franco Cipriani sul Giornale di Sicilia:
«Reggio Calabria è drammaticamente sola! Avverte alla gola il morso dell’esasperante incomprensione della maggioranza dell’opinione pubblica del Paese. Si dispera perché gli italiani, deviati come sono dalle insane orchestrazioni di certi organi di stampa, i cui inviati speciali travisano financo la verità di quanto accade offrendo prova di come veramente sia precipitata in basso la funzione della lealtà informativa, non comprendono che, nella sostanza, la sommossa non ha per substrato il miraggio del “pennacchio” (come qualcuno va cianciando stupidamente), bensì la decisa volontà di spezzare, finalmente, lo strapotere di due province – cosiddette “consorelle” – eternamente impegnate da una non certamente pulita intesa, diretta a beneficiare di ogni risorsa a dispetto della terza “consorella”: la derelitta, la povera, l’abbandonata, disgraziata provincia reggina.
«Nessuno dei colleghi inviati speciali ha scritto queste cose. Se qualcuno lo ha fatto, non è stato nel modo dovuto e nella chiarezza che questo strapotere medioevale è stato oltretutto usato contro una provincia che nei secoli è stata la sola a soffrire invasioni, pestilenze, terremoti, alluvioni e financo massicci bombardamenti aerei, nonché la anemia prodotta dalla emigrazione dei suoi uomini alla ricerca di un qualsiasi lavoro capace di assicurare un tozzo di pane, lontano dalle mogli, dai figli, dai cari paesi natii.
«In questi giorni è di moda, come un tempo lo furono il “yo-yo” e la cartina del “feroce Saladino”, sputar sentenze contro Reggio, oltre a calunnie, offese, ingiurie. Ingiurie che, secondo il Manzoni, hanno un grande vantaggio sui ragionamenti: quello di essere ammesse senza prova da una moltitudine di lettori.
«E’ sufficiente puntare gli occhi sulla carta stampata; quotidiani, settimanali, rotocalchi, ecc. sui quali si leggono vere e proprie baggianate; cose strane e spesso cattive oltre che inverosimili, utili soltanto a far sensazione, e, quindi… “cassetta”!
Suscita profonda pena osservare la prolificazione delle “Lettere al Direttore” giunte nelle redazioni da parte di arteriosclerotici, fessacchiotti, incolti, neuropatici e via dicendo. Tutta gente che non ha compreso e non comprende nulla delle umane vicende, presa com’è dal prurito di un insulso quanto irragionevole e ridicolo esibizionismo. Gente adusa a trinciar giudizi pomposi, giudizi attraverso i quali trabocca sempre immensa ignoranza.
«La tragedia più triste per i reggini è oggi la completa inazione, l’assenteismo degli uomini politici, sia a Roma che a Reggio. Una popolazione che è abbandonata a sé stessa, al suo furore, senza che nessuno faccia udire una parola di pace, di conciliazione, di comprensione. Nei conflitti familiari c’è sempre qualcuno che fa da paciere e talvolta sono il vicino di casa o la persona amica influente o il buon Parroco.
«Quanto bene farebbe il Capo dello Stato se – au dessus de la mêlée – si ergesse a supremo giudice nel tentativo di ristabilire qui, con la sua alta autorità, e secondo giustizia, l’equilibrio distrutto dal- l’egoismo politico della partitocrazia».

Alle 22 circa, quando i dimostranti hanno ormai lasciato Villa e dintorni, i carabinieri provvedono a sbloccare la statale 18 dai massi e dai due camions e i ferrovieri controllano la strada ferrata. Poco dopo, gli oltre tremila passeggeri fermi a Gioia Tauro possono riprendere il viaggio verso la Sicilia. Presieduto dall’ing. Rocco Zoccali sorge oggi un nuovo «Comitato per il risanamento di Reggio». Ad esso aderiscono numerose imprese edilizie che si impegnano a far rimuovere dai loro operai tutto quanto è per le strade e intorno ai loro cantieri.

Nel pomeriggio, l’arcivescovo metropolita, Giovanni Ferro, si reca a far visita ai feriti ricoverati agli Ospedali Riuniti. L’arcivescovo ha anche un incontro col Prefetto De Rossi, ed esamina poi la situazione della città con i suoi diretti collaboratori.

In un manifesto fatto affiggere sui muri dal Comitato di agitazione, presieduto dall’avv. Francesco Gangemi, si legge: «… in relazione agli incontri che sono stati programmati a Roma, mentre riaffermiamo che non esistono soluzioni alternative al riconoscimento del diritto della città, si delibera che le manifestazioni di protesta proseguiranno secondo le seguenti modalità: domani e dopodomani sciopero generale degli uffici pubblici, degli enti le cali e parastatali e delle aziende di credito; negli stessi giorni i negozi resteranno aperti dalle 8 alle 11 e saranno assicurati i servizi di pubblica necessità per l’erogazione dell’acqua e dell’energia elettrica e per la raccolta dei rifiuti. Il Comitato si riserva, in relazione all’esito degli incontri romani, di adottare le ulteriori decisioni per la difesa dei diritti della città».

Nota Silvano Tosi su Il Resto del Carlino:
«Nessuna autorità politica, amministrativa o religiosa – visto che anche la curia vescovile interviene nella disputa – ha osservato che soltanto un referendum popolare indetto nella regione calabra rappresenta la maniera democratica di sortire da uno stato di cose, a sottofondo vagamente vandeano, che la Repubblica, una e indivisibile. non può tollerare.
«La decisione definitiva spetta ovviamente alla Regione – la intromissione delle Camere significherebbe indebita usurpazione della sfera di limitata ma sovrana autonomia rimessa alla Regione – , che sarebbe opportuno la deliberasse, anziché espressamente nel proprio statuto, mediante un provvedimento amministrativo regionale. E giacché è previsto dalla Costituzione il referendum abrogativo su provvedimenti amministrativi della Regione, il “provvedimento”, elaborato consultando le forze politiche, economiche e sindacali, viene posto a referendum abrogativo popolare nell’ambito del territorio regionale. Se la maggioranza dei voti validamente espressi dirà di all’abrogazione, vorrà dire che il capoluogo prescelto incontra l’adesione popolare; se invece il voto sarà favorevole all’abrogazione, non resterà che inchinarsi, accettando per capoluogo l’altra città che ne contende il privilegio.
«Il sistema, come ogni procedura autenticamente democratica, è un po’ macchinoso, ma meno scomodo e più razionale – riteniamo – della guerriglia…».

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