I Moti di Reggio, 50 anni dopo – Il diario della rivolta, 17 luglio 1970: ancora scontri con la Polizia, aumentano i feriti

StrettoWeb

I Moti di Reggio 50 anni dopo, lo speciale di StrettoWeb e il racconto del 17 luglio 1970: le proteste non si placano, anzi diventano sempre più dure. La battaglia si sposta nei rioni periferici e i fatti vengono diffusi dalla stampa a livello nazionale

Quarto giorno di protesta a Reggio Calabria, i manifestanti continuano a scontrarsi con la Polizia. Gli episodi di guerriglia intanto vengono diffusi a livello nazionale. Riviviamo su StrettoWeb quei drammatici momenti grazie alla ricostruzione del libro “Buio a Reggio” scritto da Luigi MalafarinaFranco Bruno e Santo Strati nel 1972 e pubblicato da Parallelo 38.

Viene ricoverato stamane in un reparto del nosocomio degli Ospedali Riuniti uno dei dimostranti fermati durante gli scontri di mercoledì in piazza Italia. Antonio Coppola, 17 anni, al momento del fermo presentava una contusione alla regione orbitaria sinistra e dopo essere stato medicato, era stato trattenuto in questura per accertamenti, quindi rilasciato.
Il medico di guardia riscontra, oggi, allo studente, commozione cerebrale e se ne riserva la prognosi. In serata il Coppola entra in coma e le sue condizioni, secondo il referto dei sanitari, sono molto gravi. Il dott. Alberto Sabatino, capo della Squadra Mobile, inizia le indagini per far luce sull’episodio.

È il quarto giorno di sciopero generale. Rileva Giovanni Spadolini sul Corriere della Sera:
La rivolta di Reggio, perché di questo si tratta, non nasce solo da un esasperato amore di campanile. C’è, nella tragedia di Reggio, la protesta di una città che ha un reddito “pro capite” tra i più bassi della penisola la dolorosa illusione di un antico centro glorioso che crede di trovare la sanatoria ai propri problemi di sviluppo economico nell’evasione spagnolesca di una ‘capitale regionale’, tale da competere col fasto dirimpettaio del siciliano palazzo dei Normanni.
«Ci sono eredità millenarie unite a miti recenti, le une e gli altri alimentati con tranquilla incoscienza da gruppi locali volti ad una gara spietata e cinica per il potere. Impossibile classificare la rivolta di Reggio, come già quelle di Battipaglia e di Avola, sotto una qualsiasi prospettiva politica. Fermenti di anarchismo atavico, tipici delle classi diseredate protagoniste delle ‘jacqueries’ di una volta, si uniscono con un moto insondabile di negazione e di rivolta nella piccola borghesia intellettuale e professionista del sud, umiliata in tutti i suoi ideali, tenace nella fedeltà a certe tradizioni o a certi fantasmi di grandezza».

Dopo una calma apparente, nella prima mattinata, in città iniziano nuovi disordini.
Scrive Franco Pierini su Il Giorno:
«I guerriglieri urbani della protesta per Reggio Calabria capitale mancata della Regione, non mollano. Ieri sera, finalmente, si sono sentiti citati dal telegiornale e hanno avuto la sensazione che, con le devastazioni di questi giorni, incredibili per chi non le veda, hanno ottenuto il premio dei loro sforzi. Il giusto premio di diventare un problema nazionale. Non è ancora appagamento, è appena l’assurda presa di coscienza che i più accesi incitatori della piazza avevano ragione. E allora sotto con le pietre, con gli incendi, con le barricate».

Il campo di battaglia si sposta nei rioni periferici di Sbarre e S. Caterina, perché il centro: Palazzo del Governo, Comando Gruppo dei Carabinieri, Questura, Palazzo S. Giorgio e Palazzo della Provincia sono presidiati da reparti della Celere e dei carabinieri.

Scrive Mariano Messina sul Giornale di Sicilia:
«I rivoltosi, fanno anche una discriminazione tra le stesse forze dell’ordine. Sono ben visti dalla cittadinanza i carabinieri, ma odiati i poliziotti. Tutte le volte, infatti, che a presidiare un edificio pubblico o a demolire una barricata l’incarico viene affidato ai carabinieri, i dimostranti non solo non li ostacolano ma arrivano perfino al punto di aiutarli; quando è la polizia ad assolvere questo incarico cominciano le sassaiole, le improperie, gli assalti».

Al rione S. Caterina la battaglia comincia molto presto e il generale dei Carabinieri, Roberto Sottiletti, comandante della VII brigata di Napoli è fatto oggetto di un attentato. Mentre il generale, in compagnia del colonnello Ippolito, comandante della legione di Catanzaro, si reca a portare aiuto al tenente colonnello Arturo Puglisi, duramente impegnato nei pressi di via Enotria, un dimostrante lancia una bottiglia molotov contro l’auto dell’alto ufficiale dell’arma. La bomba frantuma i vetri della «Giulia» e a questo gesto fa seguito la carica dei militi, nella quale, però, restano contusi lo stesso colonnello Puglisi, raggiunto a una gamba da una pietra, e sette carabinieri.

Al ponte S. Pietro i dimostranti erigono due barricate: la prima, all’inizio, con blocchi di pietra, casse, bidoni, carcasse di auto, ruspe e fili di acciaio tesi lungo la carreggiata; la seconda, a metà del ponte, è costruita con le carcasse di due autobus dell’A.M.A., che nonostante vengano rimossi innumerevoli volte, ritornano sempre al loro posto.

Commenta Francobaldo Chiocci su Il tempo:
«E rimasto, messo di traverso sul ponte di S. Pietro un Autobus sventrato… Un superfluo cartello infilato al parabrezza avvisa: «Fuori servizio». All’interno del torpedone, un gruppo di ragazzini, i «picciotti» della sommossa, i « balilla » di cui tutti vantano le imprese facendone altrettanti «ragazzi di Portoria», giocano ai fattorini. Uno abbranca il volante spezzato, un altro finge di far biglietti all’ingresso, i rimanenti assumono il ruolo di passeggeri in attesa di scambiarsi il posto con il conducente e il guardaporta, i ruoli più ambiti».

Prima delle barricate, la strada è cosparsa di olio, all’avvicinarsi delle colonne della polizia i dimostranti operano fitte sassaiole, lanciando anche bottiglie molotov e rimandando indietro gli stessi lacrimogeni che la polizia spara al loro indirizzo.

Scrive Sandro Osmani su Il Messaggero:
«L’inquietante sibilo delle sirene delle autoambulanze o degli automezzi dei vigili risuona improvviso ogni tanto da tutte le parti della città, e si alterna agli scoppi delle bottiglie molotov e delle bombe lacrimogene di cui non si fa risparmio».

Il Corso e le altre vie del centro restano bloccate per tutta la giornata. I treni, per i danni causati dall’incendio alla Stazione Lido e lungo tutta la tratta che costeggia la città, non viaggiano, e chi parte o giunge a Reggio deve cercare mezzi di fortuna sino a Villa o all’aeroporto.

Dice Arturo Gismondi su Paese Sera:
«Non ci sono pullman, i taxi si dichiarano disposti, a prezzi proibitivi, a portare i passeggeri fino ai vicini sobborghi della città, ma non si arrischiano ad entrarci. Il solito omino che si arrangia, e trova in ogni evento straordinario il modo di trarre un qualche guadagno, si offre di tentare l’avventura su una camionetta sconnessa, ma preziosa per l’occasione. Viaggiano sul trabiccolo, fra gli altri, un gruppo di accaldate turiste francesi, dirette in Sicilia e costrette a pernottare in città. Guardano dai buchi del telone e si confidano l’un l’altra concitate: ‘Mais, ici c’ést la guerre…’. È la guerra, in effetti, qualcosa che ci somiglia molto».

Ore 20,30: attacco alla sede della Camera del Lavoro. Centinaia di persone armate di bastoni e bottiglie incendiarie circondano il fabbricato di via Filippini dove è ubicata la segreteria della Cgil, costringendo i poliziotti che sono di servizio a barricarsi dentro. I primi soccorsi mandati dalla questura sono tagliati fuori dai dimostranti e occorre una colonna automontata di oltre cento uomini per rompere l’assedio e disperdere i dimostranti. Molti i contusi.
Durante gli scontri, parecchi cittadini che si trovano per caso in strada incorrono nelle cariche dei celerini. Fra questi, il dottor Consolato Labate, che, uscendo dal suo ambulatorio da una strada adiacente piazza Garibaldi, dopo una carica della polizia, si avvicina a un giovane ferito per prestargli soccorso, viene colpito con i manganelli prima di farsi riconoscere. Issato su una camionetta, più tardi, – secondo quanto racconterà poi – viene spinto in strada.
Tragico il bilancio anche quest’oggi; ventuno i feriti tra le forze dell’ordine, quarantasette persone associate alle carceri otto l’imputazione di violenza e resistenza, innumerevoli feriti tra i civili.
Locali pubblici, bar, ristoranti, negozi, uffici e banche sono sempre chiusi. La posta non viene distribuita da quattro giorni.

Rileva Elio Fata su Il Mattino:
«Queste giornate di Reggio non bisogna metterle nel cassetto, se finalmente cesseranno, non sono le stesse di quelle di Pescara. Qui c’è un dolore antico da sanare, ci sono piaghe sanguinanti da guarire, c’è la miseria di questa gente, i paesini senza storia e senza vita, arroccati sull’Aspromonte, le borgate povere della città…
Pulita la contestazione dai risentimenti politici, bisogna ricondurre il discorso serenamente, nel suo alveo più logico, bisogna ricercare, cioè, bene le cause di questa violenta protesta che è, sì, rivolta contro altre zone della Calabria, ma che è soprattutto una protesta calabrese, meridionale, una protesta istintiva senza ragionamenti filigranati sulle formule politiche, spesso senza alcuna ideologia, ma è una protesta autentica, che… deve essere raccolta, esaminata e le ansie che essa esprime, le antiche aspirazioni che vi germogliano dentro, vanno soddisfatte».

I funerali del ferroviere Bruno Labate che dovevano in un primo tempo svolgersi oggi alle 18, in seguito all’autopsia eseguita stamane nell’obitorio del cimitero di Condera, sono stati rinviati su disposizioni dell’Autorità Giudiziaria a domattina alle 10.

Scrive Gazzetta del Sud:
«Ciò ha provocato in città momenti di apprensione. Le voci in simili frangenti corrono in maniera incontrollata. C’era chi sosteneva che era stata ritirata l’autorizzazione da parte delle Autorità; c’ere di contro chi sosteneva che i funerali avevano avuto luogo ma in forma strettamente privata per timore di nuovi incidenti. Poi si è saputa la verità. La salma dell’infelice ferroviere, nella tarda mattinata, non appena ultimata l’autopsia era stata trasportata nella Chiesa del S. S. Salvatore, in via Tremulini, a poca distanza dalla casa dove abitano la moglie, Ada Nicolò, e il figlioletto Antonio di appena nove anni».

Sulle cause della morte, il dottor Bellinvia dice che esse «sono da attribuire alle fratture multiple delle costole. Il cadavere non presenta lesioni esterne che abbiano pouto provocare il decesso. La morte è stata causata da una compressione del torace con impedimento del mantice respiratorio».

Il Sindaco, in mattinata, convoca una conferenza stampa, nella quale fra l’altro ricorda che la prima proposta per Reggio capoluogo della Calabria presentata al Governo risale al 1948. Questo progetto non ebbe fortuna neanche nel febbraio del ’50, quando venne ripreso per essere avviato a soluzione. Da tre anni senza soluzione di continuità il problema è stato ripreso dagli amministratori reggini che si sono resi promotori di una serie di incontri con gli amministratori di Catanzaro, i quali, hanno sempre disertato o quantomeno sabotato queste riunioni.
«In gennaio – dichiara sempre Battaglia – l’amministrazione comunale di Reggio ha presentato un documento al vice-presidente del Consiglio De Martino, documento che, malgrado l’appoggio di Preti e Pieraccini, è rimasto lettera morta».
Battaglia parla anche del suo comizio in piazza Duomo, dell’invito alla popolazione di sostenere il diritto della città ma senza ricorrere alla violenza, del corteo che subito dopo ha raggiunto la Prefettura. Purtroppo, l’improvvisa crisi di Governo – questi i concetti di Battaglia – ha bloccato la situazione, quando tutto lasciava ritenere locutoria prima della decisione in sede parlamentare.
Il Sindaco aggiunge infine: «il 14 luglio c’è stata l’occupazione della Stazione di Villa S. Giovanni. In mezz’ora la polizia ha operato brutalmente lo sgombero, mentre in una circostanza analoga, nel gennaio scorso, I’occupazione dello scalo di S. Eufemia Lametia con il blocco ferroviario fu permessa per dodici ore. Due pesi e due misure, come si vede. Nella sera del 14 sono cominciate le cariche e i pestaggi della polizia contro i dimostranti inermi. Gli animi i sono inaspriti. Abbiamo chiesto a Roma di fare qualcosa e per tutta risposta ci hanno inviato il vice-capo della polizia e reparti della Celere. Abbiamo assistito e subito cariche brutali e selvagge, c’è stata una vera caccia all’uomo. Sono rimasti feriti anche dei ragazzi. Poi c’è stato anche il morto».

Commenta Franco Pierini su Il Giorno: «… ed è soprattutto vero che una parte della classe dirigente di Reggio Calabria, compresa la parte che fa capo al Sindaco Battaglia, ha preso decisioni di tipo pseudo-rivoluzionarie, come l’incitamento alle ‘ultime conseguenze’ che vanno benissimo a yolte nel Terzo Mondo, al di là del mare, ma non trovano sbocchi logici in una società che in un modo o nell’altro deve adattarsi ai sistemi delle società sviluppate. Una Reggio Calabria con l’aspetto devastato da “battaglia di Algeri’ a chi giova?».

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