Dei gatti non mi importa affatto, ma l’uomo che ha arrostito il felino fa ribrezzo e chi lo giustifica ancora di più

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I gatti, l’animalismo sfrenato e l’ossessione del razzismo: perchè chi giustifica l’uomo che ha arrostito il felino alla stazione ferroviaria di Campiglia Marittima è imbarazzante

Non ho un bel rapporto con i gatti. Non mi sono mai piaciuti, per vari motivi che non sto qui ad illustrare. Fatto sta che se un giorno non ce ne fosse più neanche uno sulla faccia della terra, non mi farebbe ne’ caldo ne’ freddo. Non accetterò mai le devianze fondamentaliste dell’ideologia animalista che alimenta le sette di vegani, gattari et similia. Non amo i gatti, dicevo. Non mi piacciono e della loro esistenza potrei benissimo farne a meno. Lo stesso discorso vale per tanti altri quadrupedi, bipedi, volatili, rettili e chi più ne ha più ne metta. Ma non per questo vado in giro ad ammazzarli, innanzitutto perchè in Italia è proibito dell’articolo 544-ter del Codice Penale che prevede “la reclusione da 3 a 18 mesi o una multa da 5 mila a 30 mila euro” per chiunque maltratti un animale, con pena aumentata della metà se il maltrattamento provoca la morte della bestia.

Ovviamente mangio tutta la carne che voglio, anche selvaggina, in base alle mie preferenze alimentari. Ma deve essere carne prodotta nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie, quindi tracciata, controllata, legale. La acquisto in macelleria o al supermercato, e nel caso della selvaggina mi limito a quella dei periodi in cui la caccia è consentita e delle specie che rientrano non solo nei miei gusti e nelle norme venatorie, ma anche nelle tradizioni socio-culturali della mia terra. Mai mi permetterei di mangiare una bistecca in India o Nepal, la salsiccia in GiordaniaTunisia  o una pastissada negli Stati Uniti o in Israele. Perchè in quei Paesi rispettivamente le Mucche, il Maiale e il Cavallo non si mangiano, per varie motivazioni storiche e culturali, un po’ come in Italia i cani e i gatti, di cui invece si nutrono beatamente molte altre comunità di vari continenti.

Non mi permetterei mai di mangiare cibo considerato sacro, o che comunque non rientra nelle abitudini e nelle tradizioni alimentari di quei Paesi, non solo per evitare di violare le leggi ma anche per rispetto nei confronti di quella popolazione e società. Che ovviamente mi manderebbe alla gogna, giustamente e comprensibilmente, qualora mi comportassi in modo anomalo rispetto alle loro abitudini, seppur in linea con tutto ciò che posso fare nel mio Paese.

In Italia, invece, in piena pandemia di Coronavirus ci siamo scandalizzati quando il governatore del Veneto Zaia ha espresso qualche considerazione sull’igienicità degli usi alimentari cinesi, tanto che è stato costretto a chiedere scusa. Quotidianamente abbiamo orde di animalisti che fanno la guerra sia ai cacciatori che agli allevatori, combattendo le nostre tradizioni più genuine e una delle filiere più importanti della nostra economia. Ogni estate veniamo martellati dalle “pubblicità progresso” – come le chiamano – contro l’abbandono degli animali.

Beppe Bigazzi

Pochi anni fa ci siamo accaniti contro un grande Signore, giornalista e gastronomo come Beppe Bigazzi, sospeso dalla sua trasmissione, “La Prova del Cuoco” perchè aveva citato una ricetta del tempo di guerra, facendo riferimenti a proverbi e usanze antiche relative al consumo di carne di gatto nell’Italia di 90 anni fa.

Oggi, invece, ci scopriamo eccezionalmente tolleranti nei confronti di un uomo che in pieno giorno e su un pubblico marciapiede, ha arrostito un gatto di fronte una stazione ferroviaria: tutti a fare a gara a chi lo difende, “poverino aveva fame“, “nel suo Paese sarà abituato così“, e all’improvviso non conta più nulla: animalismo, veganesimo, protocolli alimentari, maltrattamento degli animali. Tutto diventa consentito, ovviamente perchè si tratta di un immigrato e allora guai a stigmatizzare un comportamento errato di un clandestino, che poi ci ritroviamo monumenti decapitati e statue abbattute.

A tanti italiani è bastato molto meno per finire sul patibolo: appena due anni fa, in provincia di Reggio Calabria, un 38enne s’è visto piombare in casa i Carabinieri perchè aveva morso una capra e aveva pubblicato il video su facebook. Le associazioni animaliste si sono mobilitate, gli hanno sequestrato tutti gli animali, “prendendoli in custodia“, e lo hanno definito senza mezzi termini “un criminale“.

Stavolta, invece, di criminale non c’è nulla perchè il micio ucciso e arrostito mette tutti d’accordo all’insegna del perbenismo del terzo millennio: tutto ciò che consideriamo fondamentale per il rispetto di valori e principi della nostra società, perde significato davanti all’immigrato. A cui tutto è consentito, a differenza degli autoctoni che devono essere attenti a rispettare norme e costumi. E guai a comportarsi in egual misura con il forestiero, altrimenti ci dicono che siamo razzisti. Ma quanto c’è di più ignobile di una comunità che calpesta se stessa? 

A me non fa ne’ caldo ne’ freddo di che nazionalità sia l’autore di qualsiasi gesto, ne’ mi importa dei gatti. Ma se il macello di un capretto o un maiale mi lascia indifferente perchè fa parte della nostra cultura, vedere un gatto arrostito mi fa un po’ di ribrezzo. E chi giustifica l’autore del folle gesto ancora di più, soprattutto perchè non lo fa per il gesto in sè ma in base al colore della pelle dello chef. Fosse stato italiano, avremmo un nuovo criminale da sbattere in galera. Ma viene dalla Costa d’Avorio, poverino. E il razzismo, così, lo stiamo facendo davvero. Contro noi stessi e la nostra identità. 

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