Reggio Calabria: Michele di Bari racconta il ruolo del “prefetto in terra di ‘ndrangheta”

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Reggio Calabria: la prefazione del magistrato anti ‘ndrangheta Nicola Gratteri, il saggio indaga le ragioni per cui le mafie si innestano storicamente nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia

“Anche le buone leggi perdono d’efficacia in un Paese che difetta di etica pubblica”. È la premessa da cui parte Michele di Bari, oggi capo dipartimento per le Liberta’ civili e l’Immigrazione al ministero dell’Interno, per introdurre al pubblico dei lettori le sue riflessioni sulle esperienze maturate da prefetto della provincia di Vibo Valentia prima (2012-13) e di Reggio Calabria poi (2016-19), raccolte nel volume ‘Prefetto in terra di ‘ndrangheta. Dove la criminalita’ contende allo Stato territorio e consenso’. Un contributo culturale sul fenomeno della ‘ndrangheta nella regione Calabria: una terra che come si evince dalla pubblicazione di Bari ha amato fin dal primo giorno. Emerge quindi un orizzonte su cui si situa uno sconfinato atto di amore verso una comunità e una terra meravigliosa che produce un’immagine positiva per gli sforzi e per l’impegno che profonde. Edito da ‘Citta’ del Sole’ con prefazione del magistrato anti ‘ndrangheta Nicola Gratteri, il saggio indaga in sette capitoli le ragioni di ordine economico, sociale e culturale per cui le mafie e la ‘ndrangheta calabrese in particolare, si innestano storicamente nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia. Quel Sud sempre piu’ accreditato come “palla al piede”, non “come possibile, ulteriore motore di sviluppo” del nostro Paese, e che, a fotografarlo oggi, per di Bari emergerebbero tre scogli: “Le difficolta’ economiche, il tessuto sociale, l’evoluzione demografica”. Troppo spesso considerata erroneamente come il prodotto di una societa’ arretrata, la criminalita’ mafiosa “e’ ostacolo allo sviluppo del Mezzogiorno” e per l’autore va considerata anzitutto come “sistema di codici culturali” – fortemente radicato al suo territorio da cui trae forza e potere – e “fenomeno sociale”, in evoluzione col suo contesto storico di riferimento.

Non stupisce, allora, che nel tempo le mafie si siano affacciate e rivolte con sempre maggiore pervasivita’ e spavalderia al “villaggio globale”, coprendo il mercato illegale del traffico di droga fuori dai confini nazionali e riversandone i proventi nell’economia legale, inquinandola, attraverso una grandissima capacita’ di adattamento alle nuove leve di un’economia sempre piu’ finanziarizzata. A partire dal legame della ‘ndrangheta col sacro, che trova nel santuario della Madonna di Polsi il suo antico legame, l’ex prefetto traccia poi le principali tappe che hanno portato il mondo cattolico dalla “Chiesa del silenzio” del cardinal Ernesto Ruffini, alla Chiesa dell’impegno di don Puglisi e don Ciotti, a quella della scomunica ai mafiosi di San Giovanni Paolo II e di papa Francesco. La criminalità’ mafiosa, come fenomeno che vive e si nutre di contesti, si inserisce tra lavoro precario, disoccupazione e immigrazione nella sua pericolosa veste di intermediazione. Forse per questo Di Bari dedica particolare attenzione ai giovani “in trappola”, insoddisfatti, precari, in fuga dal Sud e dall’Italia in cerca di una migliore qualita’ della vita, bloccati in un futuro incerto nel passaggio dall’adolescenza all’eta’ adulta, dalla scuola al lavoro. Ma anche alla scuola, vero “terreno dove si gioca la partita” dei giovani come “risorse della societa’” da sottrarre al giogo mafioso attraverso un reale e stabile investimento, e alle sfide migratorie.

Il saggio, corredato da un’appendice di articoli scritti da di Bari su varie testate locali e nazionali, si propone di offrire uno spaccato del fenomeno mafioso raccontato da “un osservatorio privilegiato” che “incrocia tensioni sociali, economiche, politiche”. Ma puo’ fungere anche da specchio di come la figura del prefetto si sia storicamente evoluta, diventandone testimonianza paradigmatica. Da snodo cruciale dello Stato centralista nelle province in epoca liberale – definito da Gaetano Salvemini ‘prefettocrazia’ – a istituto da “fascistizzare” durante il Ventennio per consolidare il regime garantendo la continuita’ col vecchio Stato liberale, il prefetto di eta’ repubblicana, figura simbolo della presenza dello Stato sul territorio e punto di riferimento dei cittadini su diritti e legalita’, trova nella riflessione di di Bari una sua possibile sintesi, delineata da Gratteri in prefazione: “Un servitore dello Stato che accetta e fa proprie le complesse sfide, essenziali per la vita democratica e la tutela delle liberta’”, dalla “promozione della legalita’”, alla “cura della sicurezza e dell’incolumita’ dei cittadini”, dalla “vigilanza sul corretto funzionamento delle autonomie locali” alla “gestione di fenomeni complessi e delicati” fino alla “lotta alla criminalita’ organizzata”. “Custode dell’etica pubblica”, per di Bari al Sud il prefetto per deve essere consapevole del suo ruolo e della sua funzione, in una battaglia contro le mafie che e’ “culturale e politica, prima ancora che repressiva”.

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