L’eufemiese Angelo Alati querela Salvini: “Io non sono un mafioso, sono un uomo libero e innocente. Chieda scusa”

StrettoWeb

Angelo Alati querela Salvini: “darò in beneficenza tutto ciò che mi sarà liquidato”

Angelo Alati non ci sta e passa al contrattacco. Dopo l’articolo pubblicato su StrettoWeb in merito ad un ignobile post dato in pasto al pubblico social dal leader della Lega, Matteo Salvini, l’ex presidente del Consiglio di Sant’Eufemia d’Aspromonte ha deciso di andare avanti nel vedere riconosciuti i propri diritti da presunto innocente e ha querelato Salvini. Quest’ultimo, come si legge nell’articolo pubblicato il 28 aprile (La gogna mediatica per gli innocenti: Salvini offre per l’ennesima volta il peggio di sé additando come mafioso anche chi non lo è), aveva postato sulla propria pagina Facebook un collage di foto con una serie di volti e nomi di presunti mafiosi, posti secondo Salvini ai domiciliari per via dell’emergenza Coronavirus. Ma Angelo Alati, in quella lista, non doveva proprio starci per più ragioni: la prima è che Alati non è ai domiciliari, ma è stato scarcerato dal Tribunale della Libertà, la seconda è che lo stesso non può essere definito ed etichettato come un mafioso, in quanto allo stato presunto innocente, visto che non ha subito un processo e che il Tribunale della Libertà ha ritenuto palesemente insufficienti gli indizi e le prove a suo carico.

L’avvocato Guido Contestabile, difensore di Alati, prima di querelare ha inviato a Salvini una lettera dai toni molti duri: “Mi riferisco all’infelice pubblicazione su Facebook nella quale parla di mafiosi e stragisti scarcerati a causa del coronavirus e con il concorso (ritengo, necessario) di Magistrati troppo morbidi. E nella quale si fa riferimento anche al mio assistito. Avanzo seri dubbi sul fatto che Lei conosca Angelo Alati e la sua storia processuale – ha scritto Contestabile –: un incensurato (che, in questa circostanza, è anche una persona perbene) coinvolto in un processo di mafia e scarcerato dal Tribunale della Libertà per ragioni di inconsistenza indiziaria. Non colpevole non solo fino a prova contraria e fino alla definitività del giudizio (che imprudentemente Ella non ha avuto la pazienza di attendere), ma anche innocente – allo stato – in virtù di provvedimento emesso dall’Organo di garanzia deputato al controllo delle ordinanze cautelari. Gli atti del processo sono, comunque e con il consenso del mio cliente, a Sua disposizione ove mai intendesse leggerli o – re melius perpensa – farli leggere, magari dallo stesso individuo che l’ha indirizzata verso una dichiarazione affrettata e diffamatoria”.

La richiesta di Contestabile è stata molto diretta: chieda scusa sulla sua pagina Facebook ad Angelo Alati e chiudiamo la questione. In caso contrario ho già ricevuto mandato per querelarLa. E credo di sapere che processo in più o processo in meno, per Lei non faccia una gran differenza. Ma per me, sì!“.

“Le sarà capitato, qualche volta – prosegue la missiva di Contestabile –, di imbattersi in un innocente (magari guardandosi allo specchio) e Le assicuro che è disgustoso che qualcuno si prenda il lusso di contrabbandare la sua immagine come quella di un colpevole che l’ha fatta franca. Più che il dolore delle catene, l’innocente in carcere patisce il dolore della vergogna e il senso di abbandono. Ma probabilmente ha ragione Feltri quando tra il serio e il faceto parla di meridionali come razza inferiore. E forse ha davvero ragione se solo si considera che ci siamo fatti colonizzare dalle mafie prima e dallo Stato poi, disperdendo le libertà faticosamente guadagnate dai nostri padri. E se è vero che le mafie fanno schifo (ecco, finalmente, un punto d’incontro nel nostro pensiero), è altrettanto vero che lo Stato mostra il pugno sempre più duro: l’Antimafia controlla la libertà degli individui talora con arcigna crudeltà (teorizzando anche l’idea che costoro non si possano fare difendere in aula dal loro avvocato), li punisce con interdittive talora irragionevoli che (in taluni casi) hanno portata chiaramente criminogena“.

Il problema – e qui torniamo al povero Angelo Alati e alle centinaia di persone come lui – è che la criminalizzazione dell’individuo, con l’abbattimento delle sue garanzie, porta consenso all’antistato, inocula negli individui sani il senso dell’ingiustizia e li allontana dalle Istituzioni. E, proprio nel momento in cui l’Angelo Alati di turno, riesce a venire fuori dal labirinto della custodia cautelare, di certo non si aspetta che l’Istituzione che Ella rappresenta e ancor di più ha rappresentato, lo bolli come uno stragista mafioso scarcerato a causa dell’onda lunga del coronavirus. Per cui, chieda scusa pubblicamente e chiudiamo questa vicenda sgradevole, chiede il legale di Angelo Alati.

Le scuse in questione, ovviamente, non sono mai arrivate. Anche perché, si sa, il mondo dei social è ancora troppo spesso in balìa della mancanza di leggi specifiche in merito, e dunque le scuse pubbliche, dando alla questione la stessa rilevanza che era stata data all’errore, spesso non arrivano. In parole povere: fossimo stati noi giornalisti a sbagliare, sulle pagine del nostro giornale, avremmo subìto denunce, processi e avremmo dovuto rettificare il prima possibile. Per Salvini così non è stato e così non sarà. Chi gestisce la sua pagina social si è solo limitato a cancellare il post incriminato.

Ma Angelo Alati non si è arreso, perché la sua innocenza la vuole urlare a gran voce e con tutti i mezzi a propria disposizione e dunque si è passati alla querela. L’ex presidente del consiglio del comune aspromontano si è riservato di costituirsi parte civile, “impegnandosi sin d’ora a non trattenere nulla per sé di quanto gli verrà liquidato ed anzi devolvendolo ad una organizzazione benefica. Il presunto rimborso per i danni morali subiti, dunque, non andrà a rimpinguare le tasche di Alati, ma sarà devoluto in beneficenza, ad ennesima dimostrazione del fatto che la querela non è stata mossa per avere un palcoscenico riservato, ma per pretendere giustizia e far conoscere al mondo la propria innocenza. Alla querela è stato allegato anche l’articolo di cui sopra pubblicato su StrettoWeb il 28.04.2020, in modo che venga acquisito “come prova, oltre all’immagine del post incriminato“, “ove viene riportata la gogna mediatica dubita dallo Scrivente“, come precisano i legali nel testo della querela.

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