Voglio provare a spiegare a tutti che in Calabria si può vivere, e addirittura si può scegliere di vivere e di lavorare, senza scendere a compromessi
Basta. Noi calabresi, noi che in questa regione ci viviamo, siamo stufi di sentirci dire che “In Calabria non c’è nulla”, “E’ una regione che non offre futuro e prospettive”, “Come fate a stare qui? Non funziona niente”. Quest’ultima constatazione, in particolare, come tante altre analoghe, vi assicuro che ha l’effetto di una pugnalata, anche perché spesso arrivano da altri calabresi, quelli che sono emigrati, quelli che per un motivo o per un altro hanno scelto o sono stati costretti ad andarsene.
Qualche giorno fa, sulle pagine di StrettoWeb, abbiamo pubblicato una lettera ricevuta da un nostro lettore, un reggino costretto a trasferirsi fuori per poter lavorare e che, ogni volta che torna, soffre nel vedere i disservizi e le criticità di un territorio abbandonato a sé stesso.
Ma lo sono davvero? O possiamo esprimere un punto di vista diverso? Noi vogliamo provarci, anzi io voglio provarci. Voglio provare a spiegare a tutti che qui si può vivere, e addirittura si può scegliere di vivere, senza scendere a compromessi, senza essere ‘Qualcuno’, senza senso di rassegnazione e con tanta voglia di fare, lavorare e crescere. Quella che segue è la mia storia, non una storia speciale, ma una storia che vale la pena conoscere, proprio per capire che la Calabria, se vogliamo, può essere vissuta pienamente.
Ho fatto il percorso inverso a quello consueto: ho lasciato i miei genitori al nord e sono tornata al sud, in Calabria, con la mia nuova famiglia. I primi due anni, con il bimbo piccolo, non sono stati semplici: senza un lavoro che mi facesse sentire realizzata e con una famiglia a cui pensare ero convinta che, stando qui, non ce l’avrei mai fatta. Lavorare mi sembrava una meta irraggiungibile. Mi chiedevo chi potesse assumere, in Calabria, una perfetta sconosciuta, una che non conosce i Tizio e i Caio di cui dicono ci sia bisogno per trovare lavoro a queste latitudini?
Da quel settembre 2015, fatta eccezione per una pausa di qualche mese dovuta alla nascita del mio secondo bimbo, la mia collaborazione è proseguita in un crescendo di esperienze, di professionalità e di soddisfazioni che, passatemi il paragone, io ho vissuto come una sorta di miracolo. Ho trovato, in questa redazione, una realtà che non mi aspettavo, viste le descrizioni e recensioni negative che chi abita qui da sempre mi faceva delle aziende e del mondo del lavoro in Calabria: “No Monia, qui puoi dimenticarti di lavorare, a meno che non conosci questo o quello”. Eppure la dinamicità, la voglia di lavorare e la voglia di crescere che ho trovato nei miei colleghi, e non solo, mi portano oggi a sostenere con fermezza che ho fatto bene a tornare, ho fatto bene a provarci, perché lo devo alla mia terra, lo devo a me stessa, lo devo a questa regione che ha solo bisogno di essere ‘spronata’ e criticata in maniera costruttiva e non di essere sempre derisa sottovalutata e relegata a parcheggio per tutti quelli che aspettano di essere chiamati a lavorare in un posto più o meno sperduto del Nord. La cultura del lavoro, lo spirito di sacrificio, il rispetto per sé stessi, la voglia di mettersi in gioco: basta tutto questo per potercela fare, anche qua. Come ha fatto il mio direttore dieci anni fa, mettendo le fondamenta a un progetto editoriale nato nel cuore del Sud, tra Reggio e Messina, e diventato vincente a livello nazionale; come ha fatto il mio editore che ha puntato tutto su quel progetto senza alcuna esitazione; come fanno i miei colleghi che ogni giorno lottano contro i pregiudizi di troppi lettori moderni che sempre più si auto considerano esperti in comunicazione e informazione.
Le realtà negative in Calabria ci sono, negarlo sarebbe intellettualmente disonesto, ma credo ci siano in ogni realtà del mondo e in ogni caso non devono diventare un alibi per giustificare i propri fallimenti: con l’impegno e la voglia di farcela è possibile vivere, bene, anche qui.
Andare via è una scelta da rispettare, soprattutto se a partire sono giovani ambiziosi che vogliono raggiungere determinati traguardi professionali di livello internazionale che qui non potrebbero mai riscontrare. Sono le figure che emigrano con entusiasmo e spirito positivo da qualsiasi città di provincia di qualsiasi Paese del mondo, e che spesso e volentieri rimangono più legati e affezionati alla loro terra. Sono quelli che vanno via senza scuse e alibi, consapevoli che la realizzazione dei loro sogni passa per le tre o quattro grandi megalopoli mondiali e che si sarebbero voluti spostare da qualsiasi posto in cui sarebbero nati.
Dunque, questa è la mia storia. Nulla di speciale, agli occhi degli altri, ma tante soddisfazioni dal mio punto di vista. E soprattutto tanto orgoglio che non posso e non voglio tenere nascosto: tutti sbandierano quanto ci sia di negativo in questa terra e io invece voglio sottolineare tutto ciò che vedo di positivo, perché è su quello che dobbiamo puntare se vogliamo fare davvero qualcosa per la Calabria e per noi stessi.