Reggio Calabria, un “vigliacco” di 34 anni “scappato” negli USA risponde al gestore del Lido: “meglio riflettere prima di dare fiato alle trombe”

StrettoWeb

Reggio Calabria: la lettera di risposta al gestore del noto lido sul Lungomare

Un lettore di StrettoWeb di 34 anni, ha inviato una lettera in risposta al gestore del noto lido sul Lungomare di Reggio Calabria che nei giorni scorsi su StrettoWeb a voluto rispondere (a sua volta) a un cittadino che si lamentava per il rumore esagerato della musica prodotta dai locali del “chilometro più bello d’Italia”:

“Elogio ai vigliacchi, elogio agli eroi

La lettera del cittadino (ed imprenditore) Bellantonio tocca vari punti su cui vorrei soffermarmi con questa mia lettera (forse non richiesta, benché spedita). Poiché Bellantonio si firma, mi firmo anche io. Mi chiamo Francesco Caravelli, nato a Palmi, classe ’85, residente a Los Alamos (USA): un vigliacco. Il mio trascorso non è importante ma rappresentativo: al posto mio potrebbe esserci uno dei miei colleghi calabresi, siciliani, pugliesi […], un amico, un parente. La propria storia è certamente importante in soggettiva, ma va in secondo piano nel gran schema della cose. Per questo mi userò come fantoccio rappresentativo, ma è bene rammentare che non sono un caso unico.

Vorrei basarmi su quello che scrive l’imprenditore Bellantonio. La sua lettera è una risposta ad una precedente lettera, su una vicenda tipica la cui notizia non sorprenderà molti. La prima parte è sotto riportata:

 “Scrivo in risposta ad una lettera aperta di un privato cittadino.

Il mio nome è Domenico Bellantonio nato a Reggio Calabria il 24 febbraio del 1981 ed ivi residente.

Dopo circa 25 anni di servizio in varie strutture della mia amata città, sento di poter esprimere con certezza di condurre una vita serena, ed in particolar modo negli ultimi anni, grazie alla lungimiranza di un imprenditore Reggino che, in controtendenza a quanto accade di solito, ha saputo credere nelle persone, le quali hanno portato l’azienda a raggiungere ottimi traguardi.

Queste persone come me hanno scelto di non andare via da questa terra.

Hanno scelto di non scappare vigliaccamente.

Hanno scelto di non criticarla sterilmente ma di lottare per cambiarla.

Hanno scelto di non fuggire per poi tornare e trovarla anni luci indietro rispetto al resto del mondo.

Hanno scelto che sia questo il luogo dove crescere, vivere e non solamente tornare per morire in pace senza musica di sottofondo.”  

In teoria (ed in pratica, in quanto vigliacco che decide di scappare), non avrei alcun diritto di scrivere questa lettera. Sopratutto, sono originario di Palmi e non di Reggio, dove però problematiche simili sembrano nascere. Infatti ne sono stato tristemente testimone in vari casi alle 3 del mattino in quanto usuale utente di blasonati locali Palmesi, prima di diventare un triste individuo deciso a morire lontano da casa. Da lontano e da vicino poiché tali vigliacchi decidono (addirittura!) di tornare in vacanza quando possibile, e magari frequentare i luoghi del demonio (secondo l’uno) e magari poi andare a dormire (secondo l’altro)! Entrambe le lettere mi sembrano forzate sia da un lato che dall’altro, ed entrambi nonostante ciò corrette e nate dalla frustrazione.

Ora, comprendo tutto. Capisco sia la necessità di dormire (da un lato), sia di portare avanti un’attività (dall’altra). Capisco la necessità di dare vita ad una notte che sembra penombra, quanto capisco la necessità di dover andare a lavorare al mattino ed essere sveglio. Per questo, le lettere mi sembrano entrambe entrare in un argomento importante della vita non solo Reggina o calabrese, ma anche di altri luoghi dove a quanto pare solo i vigliacchi (non solo del Sud, ormai) decidono di andare. In quanto cittadino (qui mi sento libero di dire “del mondo”), mi prendo la libertà di fare notare ai due cittadini che nessuno di noi è eroe fino a quando gli altri non decidono che essi lo sono. Da un lato, il vittimismo del cittadino che si lamentava aveva infatti deciso di fare qualcosa riguardo alla musica alta, e dall’altra un auto-proclamato eroe (in quanto non vigliacco) decideva di rimanere ed aprire un’attività (bravo, non è sarcasmo!). Entrambi i casi mostrano pavida decisione di agire e noi tutti ci compiaciamo.

Adesso, capisco entrambi i cittadini che hanno deciso di alzare i toni, ma qui abbiamo addirittura alzato la voce fino in America (o magari Parigi, Berlino, Londra, Madrid dove magari i vigliacchi decidono di andare: ovunque tranne che in Italia o Reggio Calabria o Palmi). La parola vigliacco sfortunatamente è ben scelta, in quanto rende l’idea ma centra tutto tranne che il bersaglio voluto. Mi spiego sotto.

Le lettere dei due cittadini reggini mi hanno fatto venire in mente una vecchia lettera che decisi di scrivere ad un giornale locale palmese nel 2012, poi scomparso come tante belle idee, e mai spedita. La lettera del Bellantonio conclude con:

“Concludo precisando che la mia azienda conta oltre 60 famiglie le quali anche loro vorrebbero pagare il mutuo di una casa e che opera in uno dei pochissimi settori che creano indotto ovvero quello turistico ricettivo e che intrattiene il pubblico e agisce nel pieno rispetto delle regole pagando le tasse e i permessi necessari.

Ringrazio l’amministrazione, i corpi armati, gli organi di tutela e controllo che ci sostengono e ci esortano nella nostra difficile attività imprenditoriale.

Dico che è il momento…anzi l’abbiamo passato già un po’ a procedere giudizialmente contro chi intralcia l’operato di chi vuole lavorare

L imprenditore va tutelato è conservato e pertanto reputo sia arrivato il momento di contestare chi si finge vittima.

Mi scuso con le stesse istituzioni se siamo motivo di noia e critica da parte di pochi privati cittadini, che in maniera ottusa intralciano il loro operato e mi riferisco in particolare a coloro i quali per comodità loro erano andati via e che invece adesso sempre per comodità loro hanno deciso purtroppo di tornare.

Grazie

Domenico Bellantonio”

Concordo. L’imprenditore va tutelato, così come va tutelato il cittadino, e sarà poi chi di dovere a decidere sul da farsi sul volume della musica, certamente non il mio. Anche chi vuole dormire ne ha il diritto. Il mio suggerimento è: parlatene non via mezzo stampa. Ora, sin dai latini “Panem et circenses” indicava la necessità del popolo di essere intrattenuti a pancia piena. Lidi, bar e locali certamente rientrano nel necessario “Circenses”, ma il “Panem”? Per una vita sana servono entrambi. Bellantonio fa notare che lui stesso ha ricevuto finanziamenti per il lido, ma non tutti hanno questa fortuna: non è solo bravura, ma fortuna. La scarsità delle risorse incide sulla possibilità di finanziare le proprie attività (ne discuto nella vecchia lettera).

Quello su cui però vorrei soffermarmi non è sull’interezza dell’ardita e dura lettera di risposta del Bellantonio, ma quanto su alcuni passaggi che vorrei riprendere poiché mi toccano da lontano, così come lontani sono alcuni amici che vengono toccati altresì. Queste parole infatti non le capisco appieno:

“Queste persone come me hanno scelto di non andare via da questa terra.

Hanno scelto di non scappare vigliaccamente.

Hanno scelto di non criticarla sterilmente ma di lottare per cambiarla.

Hanno scelto di non fuggire per poi tornare e trovarla anni luci indietro rispetto al resto del mondo.

Hanno scelto che sia questo il luogo dove crescere, vivere e non solamente tornare per morire in pace senza musica di sottofondo. […]

Mi scuso con le stesse istituzioni se siamo motivo di noia e critica da parte di pochi privati cittadini, che in maniera ottusa intralciano il loro operato e mi riferisco in particolare a coloro i quali per comodità loro erano andati via e che invece adesso sempre per comodità loro hanno deciso purtroppo di tornare” 

Capisco da dove vengono queste parole, ed un po’ mi dispiace. Vorrei però rispondere a questa ipocrita novella del viandante come codardo con quella vecchia lettera scritta e mai inviata che forse potrebbe esporre il problema reale, per chi non se ne fosse accorto. La verità è ovvia a tutti, ma talvolta siamo ciechi alla realtà dei fatti, sordi alle sirene d’allarme e muti davanti al giudice.

Faccio presente che non tutti siamo nati imprenditori, ed avviare un’attività è sì coraggioso, ma come coraggioso mi sembra talvolta anche lasciare l’alcova natía per andare altrove (chissà dove, poi). In Moby Dick c’è un notevole passaggio (parla Achab) che vorrei qui riportare:

“Ci sono navi che lasciano il porto e da quel momento sono perdute, per sempre. […] C’è chi muore con la marea calante, chi con l’acqua bassa e chi al culmine dell’onda.”

E dunque in risposta a Bellantonio vorrei suggerire che (così come probabilmente pensava Melville) non è importante dove si muore, ma come: nel caso di Achab, a caccia della balena bianca! Alcuni vanno via per codardia, altri per necessità, alcuni a caccia della propria ossessione che non è possibile trovare vicino casa: gli esempi sono molteplici, l’esempio calabrese certamente non è unico.  Dal mio punto vista, dopo 23 traslochi totali (non è un numero campato in aria), senza contare le visite brevi oltre il mese, fra 5 nazioni diverse e tre continenti, me ne sarei stato comodamente a casa. Infatti, 23 è il numero di volte che ho dovuto impacchettare le mie cose (che con l’età sono andate oltre una o due valigie), per andare in un posto nuovo. Alla fine questa vita all’estero tanto bella alla fine non lo è: queste comodità di cui parla Bellantonio non sono poi così gratuite. Ma questa esperienza personale, certamente non nella media, la riporto solo per fare notare che andare via non è necessariamente una vacanza. Ah, quante volte penso: un bel posticino in Calabria!

Riguardo alla (mia) lettera che ho su menzionato e che riporto sotto, bisogna però contestualizzare. All’epoca il ministro dell’Università era Profumo, ed in parte si focalizzava su come fare tornare chi parte. Eppure, la lettera è ancora attuale, seppur con dei numeri che mostrano una situazione peggiore di quella di sette anni fa. Chi parte non solo va via per cercare fortuna, ma anche un posto dove poter vivere tranquillo, avere la sua vita indipendente, con una perdita enorme: i propri cari e la propria terra, in molti casi da soli e con poche risorse. La solita solfa che stanca anche me, ma tristemente vera. Ma non è forse questo partire anche coraggioso? Lascio a voi decidere.

Qui sotto trovate la lettera in elogio ai vigliacchi, ma anche agli eroi (imprenditori) che Bellantonio elogia: ha ragione. Riporto la lettera non per creare polemica, ma per uno spunto di riflessione: invito tutti a riflettere prima di dare il fiato alle trombe. Nel mondo servono sia gli eroi sia i vigliacchi, questi ultimi per certificare gli eroi”.

Il titolo della lettera era:

Nemo propheta in patria (sua) 

25/10/2012

È notizia recente che il ministro Profumo ha intenzione di bandire 100 posti da professore per le Università del Sud, con un budget approssimativo di 5 milioni di Euro. Si potrebbe pensare che questo sia un segnale positivo, di apertura nei confronti del Meridione. In effetti, è da idee come questa che dovrebbe ripartire l’economia della Calabria (è mai partita?), al momento basata sul terziario e quindi carente. La logica: l’istruzione di alto livello stimola le idee, che attraggono fondi europei o privati, per cambiare una situazione quantomai drammatica.  Senza poi contare sprechi, mazzette, o altri spiacevoli fenomeni non solo meridionali, ma italiani. Ma prendiamo il caso ottimista in cui i soldi sono usati al meglio e per una giusta causa o idea-business. D’altronde la nostra è una terra bellissima, che come ci piace ricordare, è stata colonizzata dai greci, e conosciuta comeMagna Grecia. Terra bagnata dal mare sui trequarti, sole, tempo mite. È in Calabria che Pitagora è venuto a fondare una sua scuola (dopo essere venuto a capo del suo celebre Teorema) Così come in Grecia i più grandi filosofi, due millenni orsono. E poi? Ci siamo seduti, sia noi, sia i greci.

È superfluo ricordare che stiamo attraversando (noi come gli altri) la più grande crisi dal ’29 (forse anche peggio). Ma tornando ai propositi del nostro Ministro, un rapido calcolo mostra l’arcano, anche mal celato: i 5 milioni di Euro equivalgono ad una cifra di 50.000 per ogni cattedra, poco più di uno stipendio annuale. Questa cifra equivale all’incirca a poco più di 4000 Euro al mese, una cifra ben più alta della media pro-capite calabrese: ah! questi professori! Magari anche illustri calabresi, che alla Madre Terra tornano solo per le vacanze, le meritate vacanze (lasciamo perdere il fatto che tornare in Calabria non è neppure così semplice). Non aspettiamo però, che per essere illustri, questi calabresi debbano passare ad altra vita. Se l’idea è però quella di portare ricercatori dall’estero o dal Nord Italia al Sud, il problema rimane. Come diceva Pertini: “ho viaggiato per il mondo ma solo in Italia mi sento a casa”. E noi potremmo ribadire: “abbiamo viaggiato per il mondo, ma solo in Calabria ci sentiamo a casa”. Ma è proprio vero? Agli autori di questa lettera piacciono le analisi e le critiche costruttive. Probabilmente scadremo nella banalità, ma vogliamo farlo, poiché vogliamo magari sfondare una porta aperta. Però vorremmo farlo dal punto di vista di chi magari un pensierino di tornare ce l’ha. A entrambi è stato più volte detto: “figghiu, no tornari peccà!”. E come non condividere?

La realtà è che, forse, il nostro non voler tornare non è solo frutto delle esperienze acquisite negli anni di studio e sacrifici, nei nostri giri intorno al mondo o nei momenti in cui ci sembrava di avere la certezza di non farcela e invece ci siamo riusciti lo stesso. Probabilmente non voler tornare vuol dire anche non sentirsi mai completamente a nostro agio. Soprattutto se le parole che sentiamo più spesso sono: “non tornare” oppure “vai più lontano perché qui non c’è posto per qualcuno come te”.

Di chi è la colpa? Dove sono le radici di questa profonda incapacità di emergere nel e del Sud, della Calabria? E’ forse nella ‘Ndrangheta? Nella politica? Dove finiscono i soldi, solo in autostrade?

Si potrebbe pensare: gli anni sono passati ma siamo ancora (tutti) dei Don Totonno Riccobaldi: siamo ancora ricchi come maiali ed abbiamo la testa come quella di un brillante. O forse no? Di recente, l’OCSE ha pubblicato il suo rapporto per l’anno 2012. Potrebbe sembrare che il problema, ad esempio, sia la carenza di istruzione nelle regioni del Sud.

Eppure l’immagine sopra, presa da Wikipedia, è chiara: la Calabria ha lo stesso livello di scolarizzazione del Piemonte e della Lombardia. Dunque la campagna anti-Borbonica dei Savoia di centocinquanta anni fa ha funzionato: la scolarizzazione a livello superiore è aumentata (non parliamo di quella universitaria). L’immagine del Sud dipinta da Verga e da Repaci si sono ribaltate: siamo poveri come lemuri ed abbiamo la testa di un delfino.

È chiaro che il sistema scolastico italiano è abbastanza paritario: quasi chiunque ha la possibilità di andare a scuola, almeno fino alla scuola secondaria superiore, magari con qualche sforzo. Questo non succede altrove, certamente non negli Stati Uniti. Una barriera sostanziale in Italia, però, sta nell’università. Contrariamente a quello che accade all’estero, l’Italia, seppur abbia un sistema di agevolazioni basate sul reddito, non ha borse di studio che garantiscono la sopravvivenza universitaria senza l’aiuto dei genitori. Oltretutto, l’opinione diffusa è che le Università del Sud non sono sufficientemente competitive per il salto di qualità.

Gli autori di quest’articolo hanno avuto la fortuna di avere il supporto di genitori che, con grande sacrificio, ha permesso di studiare ed arrivare al dottorato di ricerca. Guardando indietro, però, cosa ci avrebbe agevolato?

Il tessuto sociale, chiaramente, no: noi eravamo chiumbiniper i nostri coetanei. A distanza di anni, le opinioni sono cambiate, ma quando eravamo già partiti ed ottenuto risultati. Serve il doppio dello sforzo, in questi casi: prima nello studio, poi nel non lasciarsi andare alle esternazioni (di insicurezza) degli altri. Potremmo dire di non aver mai dato molto peso a quest’ultimo aspetto, ma per qualcun altro non potrebbe essere altrettanto facile. Cambiare questa mentalità deve essere il punto di partenza per Palmi, per la Calabria, per il Sud: rendeteci orgogliosi di essere Calabresi. Per Palmi, il punto di partenza potrebbe essere un punto di ritrovo comune dove fare cambiare queste opinioni, con accesso ad internet, libertà di discutere, condividere, ma che non sia un bar: una biblioteca aperta un numero sufficiente di ore, sia al mattino, che al pomeriggio.

Ma forse è solo questione di tempo. L’evoluzione delle idee e della mentalità è un processo lento. Capirete però che duemila anni sono anche dei tempi un po’ troppo lunghi.

Guardiamo l’esempio della Cina e dell’India: i loro studenti vengono pagati dai loro governi per andare a formarsi all’estero e ritornare in patria. Anche il governo messicano fa la stessa cosa, costringendo i neo-dottorati a periodi forzati in patria di circa 5 anni. Nota positiva: recentemente qualcosa di simile si è visto da noi. L’assessorato alla cultura della regione ha stanziato 2.6 milioni di euro per ricercatori calabresi intenzionati a periodi di scambio all’estero.

In un certo senso il resto d’Italia investe in noi: perché tutti i call-center italiani sono a Catanzaro? Per il prezzo basso della manodopera: 5 euro all’ora. Per il resto d’Italia noi siamo come la Cina per la Apple, che produce l’iPhone a basso costo dall’altra parte del mondo.

Quindi è a questo che il tutto si riduce: un enorme circolo vizioso. “Cervelli” che scappano, la voglia di tornare e l’impossibilità di farlo perché non si vuole realmente investire su di loro, e non solo in termini economici. Ed infine chi rimane intrappolato e costretto a chinarsi supino al resto d’Italia perché carente di mezzi. I nostri giovani sono intrappolati nel sistema: vogliamo chiamarla pederastiaper lasciare impressa quest’immagine nelle menti del lettore e per far capire che è un problema generazionale: una pederastia generazionale.

Dal punto di vista degli investimenti, invece, facciamo notare che l’Università di Cosenza sforna ottimi ingegneri informatici: perché non investire in Start-Up su Internet, che hanno bassi costi di partenza e potenzialità, ma in loco? Tassi agevolati, fondi, supporto morale e legale. Investire nel Sud non significa solo sistemare le strade e tenere le bollette della luce in regola: significa dare l’opportunità e la voglia a giovani imprenditori di rimanere nella loro terra. Quanti di noi hanno le idee, le capacità, ma non i mezzi? Perché gli investimenti nella Calabria devono arrivare dall’Unione Europea, sotto forma di premi per territori disagiati, e non dalla Regione per incentivo allo sviluppo?  Come si sa bene, il problema dell’Italia è che sforna ottimi studenti, con un costo altissimo, e poi li manda all’estero. Questa è una perdita in termini di risorse future, ma di denaro oggi. In piccolo, la Calabria fa la stessa cosa. Forma prima degli studenti in loco, che poi vanno a studiare al Nord, e poi non tornano. Per l’Italia si parla di 60.000 giovani ogni anno (n.b. 4.000 miliardi di euro), mentre per la Calabria sono circa 1200 giovani under-30 (dati presi da http://fugadeitalenti.wordpress.com/centro-studi-fdt/) che vanno all’estero.

Al Sud (ed altrettanto in Calabria) si investe poco sopratutto per la paura di trovare qualcuno alla tua porta: che sia l’esattore delle tasse o che sia qualcuno che voglia dare protezione. Investire viene da vestis,veste: coprire di ornamenti. Gli investitori devono essere sedotti, invitati al matrimonio: che è la versione femminile di patrimonio.

Un modello nord-americano per attrarre cervelli è quello dei privilegi. Privilegi di cui si parla tanto al giorno d’oggi, se questi riguardano i politici. Eppure in alcuni casi questi funzionano dal punto di vista scientifico. Se vogliamo attrarre investitori, dobbiamo prima di tutto cambiare l’opinione degli altri. A Catania vi è un centro di eccellenza basato sul modello Scuola Normale Superiore, la Scuola Superiore, che attrae ricercatori da tutto il mondo. Eppure il centro è basato sui privilegi, come la Normale.  Ma è davvero controproducente?

E noi? Ci rimane il senso di colpa, quella voce nella testa: “se fossi rimasto magari avrei potuto cambiare qualcosa”. Ma come in qualsiasi love story che si rispetti, chi capisce di più è la persona che guarda l’affaireda lontano. Intanto continuiamo a seguire le nostre abitudini a queste latitudini, ed i nostri sogni, fintanto che ci verrà permesso di farlo.

Buon Lavoro a Tutti.
ps. Faccio notare a Bellantonio che “anni luci” dovrebbe essere scritto “anni luce”.
Pps. I dati di fuga dei talenti sono stati aggiornati rispetto alla vecchia lettera.

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