Omicidio Lea Garofalo, il killer si pente dieci anni dopo: “non ho giustificazioni”

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Il killer di Lea Garofalo si pente dopo dieci anni dall’omicidio: “non ho giustificazioni, mi chiedo come ho potuto oltraggiare un corpo”

Si pente dieci anni dopo dall’efferato omicidio di Lea Garofalo, Vito Cosco, condannato all’ergastolo per il crimine contro la calabrese: “non ho  giustificazioni – scrive l’uomo- per quello che ho fatto: se esiste un aldilà ho bisogno che la vittima continui a disprezzarmi per non aver fatto nulla per fermare quella follia. La verità è che io sono morto poco meno di dieci anni fa, insieme alla vittima, ma ancora non lo sapevo. Adesso lo so e sono pronto ad accettare qualunque cosa il destino mi riservi”. “Ho un fratello più piccolo di me che commise un grave delitto – prosegue Vito Cosco – e, a cose già fatte, coinvolse anche me. Mi chiedo come ho potuto oltraggiare un corpo ormai senza vita. Forse è ancora presto per chiedere perdono”. Per i giudici, Vito Cosco, motiva la Cassazione nel confermare la condanna all’ergastolo, “lungi dall’avere avuto un ruolo marginale, rappresenta l’alter ego del fratello Carlo col quale ha condiviso le scelte, partecipando alle riunioni organizzative”. “Si può vivere una vita intera e giungere alla fine senza quasi avere rimpianti – scrive ancora Vito Cosco – oppure, come nel mio caso, la fine del nostro ciclo vitale arriva a tutta velocità come una locomotiva impazzita che travolge tutto. I miei valori sono cambiati, vorrei che ci fosse un grosso pulsante rosso da poter pigiare e, all’improvviso, il mondo che va all’indietro fino a quel maledetto momento – conclude – quando avrei potuto capire, rifiutarmi e, forse, comprendere quello che stava accadendo e fermarlo”.

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