Reggio Calabria, il grande bluff della raccolta differenziata: commercianti ingannati rischiano di pagare due volte e la Main Street della città è diventata il “Corso del Mastello” [FOTO]

StrettoWeb

Oltre al danno, la beffa. La raccolta differenziata imposta senza alcuna logica dal Comune di Reggio Calabria continua a determinare un’emergenza rifiuti senza precedenti in città: sporcizia e degrado imperano dal centro storico alle periferie, mentre i cittadini sono costretti a pagare la TARI più alta d’Italia per un servizio inesistente. Da anni su StrettoWeb ci battiamo contro questo metodo balordo di differenziata voluto da Falcomatà: vorremmo, invece, una città pulita, decorosa, ecologica e rispettosa dell’ambiente con una raccolta differenziata moderna ed efficiente, come accade in molte altre città italiane ed europee. Nessuno, infatti, può sognare di mettere in discussione la raccolta differenziata in se’, ma il problema è il metodo. C’è modo e modo di differenziare, e nel caso di Reggio Calabria i punti chiave sono 2:

  1. Il sistema “porta a porta” non può funzionare – Nessuna città delle dimensioni e dalla conformazione simile a Reggio Calabria pratica la raccolta differenziata porta a porta. Non può funzionare in zone ad alta densità abitativa con condomini in cui si concentrano numerosi appartamenti (dove infatti non può esistere il “porta a porta“, a meno che non si voglia immaginare che l’operatore salga in ogni piano e la spazzatura rimanga negli androni dei palazzi (!!!), bensì si dovrebbe parlare di “portone a portone“). Non può funzionare per le famiglie numerose, per gli appartamenti di piccola metratura, per determinate categorie che non possono obbligarsi a buttare i rifiuti imposti dal Comune nei giorni imposti dal Comune, per determinate attività che producono particolari quantità di rifiuti speciali (ad esempio gli asili, i veterinari, le attività commerciali, gli alberghi…). Servono i cassonetti differenziati sparsi in giro per la città, con l’apertura elettronica e automatica e un codice a barre identificativo (potrebbe anche essere il codice fiscale) che certifichi la differenziazione del rifiuto, lasciando libertà di giorno e orario ai cittadini.
  2. La totale assenza di un incentivo economico – In qualsiasi posto del mondo la raccolta differenziata funziona solo ed esclusivamente grazie all’incentivo economico che viene riconosciuto ai cittadini che la praticano, a differenza di coloro che decidono di non praticarla (non è, infatti, un obbligo ma una scelta). Proprio l’idea della differenziata nasce dal concetto di chiedere al cittadino il sacrificio di differenziare, in cambio di uno sconto sulla tassa dei rifiuti proporzionale alla quantità di rifiuto differenziato. E si lascia appunto la libertà di scelta: se vuoi differenziare, pagherai di meno. Se non differenzi, paghi di più. Uno sconto assolutamente sostenibile per le casse di qualsiasi ente, perchè il rifiuto differenziato ha un valore per il Comune che lo rivende a peso d’oro. A Reggio Calabria, invece, da anni il Comune intasca i soldi dei rifiuti differenziati dai cittadini, ma continua a vessarli con le tasse ai massimi consentiti dalla legge senza applicare alcuno sconto per quei “fessi” (evidentemente li considerano tali!) che differenziano senza alcuna convenienza. Se invece ci fosse uno sconto della TARI proporzionale alla quantità di rifiuti differenziati, ci sarebbe una vera e propria corsa a differenziare da parte di tutti senza bisogno di evocare quella barbara repressione che più volte il Sindaco Falcomatà ha auspicato contro le difficoltà e le sofferenze della propria gente, non solo dei suoi concittadini ma anche di coloro che quattro anni fa l’avevano votato dandogli grande fiducia e senza mai poter immaginare di vederlo ritorcersi contro in modo così violento e accanito. Basti pensare alle percentuali di raccolta differenziata delle città “virtuose”, dove appunto differenziare non è un obbligo ma una scelta e a fronte di coloro che preferiscono differenziare per pagare di meno, ci sono altri che decidono consapevolmente di non differenziare pur pagando di più. A Firenze, ad esempio, la raccolta differenziata è praticata dal 50% dei cittadini. A Bologna dal 46%, a Torino dal 42%, a Trieste dal 40%, a Genova dal 34%. Percentuale un po’ più alta ad Ancona, che tocca il 54%, e a Venezia e Milano, che arrivano al 57%. Sono città in cui la raccolta differenziata funziona bene, esiste da decenni, con forti sconti a chi la pratica, eppure il 40-45% dei cittadini (a Milano, Venezia e Ancona), o addirittura il 55-60% dei cittadini (a Bologna, Torino e Trieste) decide consapevolmente di non farla e pagare di più: una libertà costituzionale che soltanto a Reggio Calabria l’Amministrazione Comunale ritiene di poter prevaricare!

Anche a Reggio Calabria, quindi, la raccolta differenziata può funzionare se viene organizzata per bene: con cassonetti pubblici differenziati che lasciano ai cittadini la libertà di depositare i rifiuti differenziati in qualsiasi giorno e in qualsiasi orario, elettronici come prevedono le ultime tecnologie che riescono anche a quantificare il peso dei rifiuti registrandolo automaticamente in una banca dati legata al codice fiscale con cui si è aperto il cassonetto, e agevolando la raccolta praticando uno sconto proporzionale al peso dei rifiuti differenziati. Elementare, Watson.

Intanto, però, Reggio Calabria vive il suo Medioevo e da quando, pochi mesi fa, la raccolta differenziata è arrivata anche nel centro storico, s’è creato un altro problema ancora più grave e dalle conseguenze molteplici: innanzitutto l’immagine. Il degrado e la sporcizia della “vetrina” della città, delle sue strade principali dove saltuariamente capita anche qualche sventurato turista voglioso di ammirare i Bronzi di Riace, il Castello Aragonese, le Mura Greche, le Terme Romane e tutte le bellezze straordinarie dell’arte, della cultura e dell’architettura del centro storico reggino, ha raggiunto livelli inaccettabili. Il Corso Garibaldi è diventato il “Corso del Mastello“: ogni sera abbiamo cumuli di spazzatura dietro ogni portone di abitazioni o negozi, uno spettacolo indecoroso per la strada principale della città. Si moltiplicano i topi e le blatte che gironzolano intorno ai rifiuti attratti da sacchi e mastelli maleodoranti, allontanando cittadini e visitatori da quello che doveva essere il gioiello della città negli ultimi anni stuprato prima da una “ripavimentazione” imbarazzante, e adesso sporcato dalla “raccolta differenziata” che sta provocando un vero e proprio disastro igienico e sanitario. A proposito, proprio sul corso sono spariti persino i cassonetti dei rifiuti pedonali con un ulteriore aggravio di sporcizia, degrado e disagi per i cittadini che non sanno più dove gettare neanche i bisogni dei loro animali. Se li lasciano a terra, ci sarà un Falcomatà ad accusarli di inciviltà su facebook. L’alternativa è mangiarsi la cacca del proprio cane o mettersela in tasca per poi buttarla chissà dove e chissà quando (perchè non farla andare in decomposizione nei jeans? Magari ci fertilizza le cosce…).

Ma c’è di più. I commercianti rischiano di pagare due volte, vittime di una sorta d’inganno che – sulla fiducia nei confronti delle Istituzioni – li coglie impreparati. I negozi, infatti, producono imballaggi terziari che non sono assimilabili ai rifiuti urbani e per legge non possono essere smaltiti nei mastelli del Comune. Si tratta di rifiuti speciali che devono essere smaltiti a cura del produttore secondo le normative vigenti. Un regolamento chiaro che viene riportato, per iscritto, anche nel materiale informativo distribuito dal Comune (vedi parte nel riquadro in rosso nell’immagine in basso). Invece gli operatori Avr ritirano anche questi rifiuti, senza rilasciare alcun formulario di identificazione (perchè non è una raccolta che gli compete): così l’azienda è sanzionabile da parte delle autorità competenti (Guardia di Finanza, NOE, Corpo Forestale) con multe comprese tra 500 e 3 mila euro, oltre che ricevere una denuncia per smaltimento illecito di rifiuti. Inoltre senza i formulari di identificazione del rifiuto, i commercianti titolari di attività non potranno avere alcuna riduzione della TARI (come da regolamento comunale), con un ulteriore aggravio rispetto al costo che l’azienda avrebbe affidandosi alle ditte autorizzate. Ma il Comune, così, guadagna due volte di più, con i rifiuti speciali “strappati” alle ditte autorizzate, e con la TARI più alta che pagheranno i commercianti!

Insomma, altro che “tutela dell’ambiente”: qui non si rispettano neanche le normative vigenti, sulla pelle dei cittadini e dei negozianti che adesso rischiano di pagare due volte.

Condividi