Reggio Calabria, commosso ricordo dei piccoli angeli Bruno e Rebecca morti nell’inferno degli Ospedali Riuniti tra la medievale malvagità della gente

StrettoWeb

Reggio Calabria, una testimonianza commovente e drammatica dopo le morti agli Ospedali Riuniti nel reparto di Ostetricia e Ginecologia

ospedale mediciScrivo queste parole dopo aver dato l’ultimo saluto alla piccola Rebecca, l’ennesima vittima dell’Ospedale Riuniti di Reggio Calabria, un piccolo angelo innocente che non ha avuto nemmeno l’opportunità di emettere il suo primo vagito per urlare al mondo “eccomi, sono arrivata!”.

Il mio è un racconto di dolore e sofferenza, che vorrei condividere con tutti i miei concittadini, soprattutto con chi ha il coraggio di commentare “i neonati muoiono, facciamocene una ragione, punto”. Perché nel 2018 io, giovane donna, ritengo che non sia affatto così e che nessuno debba poterlo neanche lontanamente pensare: i bambini hanno il diritto di vivere, di sorridere, di piangere, di conoscere tutto ciò che il mondo può offrirgli, di poter scoprire la cattiveria che ci circonda e imparare a lottare per combatterla quotidianamente. Così come i loro genitori hanno il diritto di poter festeggiare per la loro venuta al mondo anziché dover piangere e soffrire a vederli morti ancor prima di emettere un solo respiro.

Era il 24 dicembre, pomeriggio, quando il mio telefono ha iniziato a squillare. Una voce rotta mi ha informata: “Rita, Bruno non c’è più”. In pochi secondi mi sono riaffiorati nella mente tutti quei dolci e simpatici ricordi a lui legati. Le divertenti liti tra i genitori per il nome “chiamiamolo Glauco, ha tanti bei significati, vuol dire verde azzurro e deriva dalla storia di un pescatore diventato divinità del mare”, troppi però i dissensi per un nome così bello quanto insolito. “E se poi lo prendono in giro? Chiamiamolo Bruno!”. Le carezze al pancione, le tenere prese in giro: “non gli dite così che vi sente anche da là dentro e poi quando nasce riconosce le vostre voci e vi odia”. Per non parlare dei tanti sogni dei genitori, che non vedevano l’ora di conoscerlo, di toccarlo e coccolarlo e di offrirgli tutto il loro amore. Sogni però infranti.

Mentre tutti si trovavano alle prese con gli ultimi preparativi per il cenone di vigilia di Natale, io indossavo i primi jeans trovati nell’armadio e mi recavo in ospedale. Difficile trasmettere a tutti voi le sensazioni provate osservando il dolore di amici e parenti, la rabbia, la sofferenza. Il padre del piccolo Bruno che, solo dopo qualche ora dall’accaduto, ti abbraccia e afferma: “Rita, ho finito tutte le lacrime”. La sofferenza della madre, dal carattere forte e coraggioso, talmente tanto da cercare con tutte le sue forze di trattenere quelle lacrime di dolore, impossibili da fermare. Una madre che non ha nessuna colpa, ma che inevitabilmente se ne assume fin troppe: “e se avessi fatto questa cosa, se avessi fatto quest’altra”. Un dolore col quale dovranno convivere per il resto della loro vita, con un angioletto in cielo che li aiuterà ad andare avanti. Ma è anche di quello scricciolo di angelo che devo parlare, amatissimo e ben voluto, e che nessuno ha voluto lasciare solo, in quella triste e gelida camera mortuaria. Un bimbo perfetto, con quel dolce musetto e quelle guanciotte tutte da strapazzare. Un bimbo che sarebbe stato sicuramente forte e coraggioso come la mamma e altruista e genuino come il papà, un bimbo che sarebbe stato viziato da nonni e zii e che si sarebbe fatto sicuramente una marea di pianti, ma anche tantissime risate, insieme agli ‘zii acquisiti’, quegli amici speciali che diventano una seconda famiglia, amici cazzoni, dispettosi e giocherelloni. Bruno ha avuto al suo fianco tante persone speciali che lo porteranno sempre nel cuore e che ogni sera pregano per lui. E a chi dice che i bimbi muoiono e basta, vorrei raccontare il dolore provato nel dover dire ad una mamma che ha perso suo figlio, costretta a rimanere a letto a causa del brutto intervento d’urgenza al quale è stata sottoposta e durante il quale ha anche rischiato la vita, alla quale è stato quindi impedito di poter vedere suo figlio, ‘stai tranquilla, lui sa che non potevi andare. C’eravamo noi vicino a lui, non era solo. Gli abbiamo messo anche un piccolo pesciolino da portare con sé’.

Un detto recita che ‘sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico’. E sembra proprio di parlare di diavolerie: nemmeno due mesi dopo dalla morte del piccolo Bruno, la storia si ripete. Questa volta, il 14 febbraio, mentre la gente comune pensa ai regali da scambiarsi per San Valentino, la piccola Rebecca è volata in cielo ancor prima di aprire gli occhi. Questa volta tutto è iniziato con un messaggino carico d’entusiasmo e di gioia: “Rita, zia sta partorendo”, poco dopo un audio Whatsapp “Rita, sto salendo in ospedale, non so cosa è successo, la bimba è morta!”. Gelo, ghiaccio: questa volta nessuna lacrima è riuscita a rigare il mio volto, forse perché ormai il cuore si è come pietrificato ed è sempre pronto al peggio, come prevenuto, pronto a risvegliarsi e a battere di gioia solo dopo una bella notizia, quasi incredulo che qualcosa di bello possa accadere. La storia si ripete, le persone sono diverse, ma il dolore è identico. Lacrime e sofferenza, ancora una volta. Invece di mangiare confetti rosa e festeggiare per la nascita di Rebecca, ci si ritrova tutti uniti nel dolore, indaffarati tra denunce e procedure da seguire. Il padre è una roccia e ha cercato di rimanere sempre forte e non crollare mai soprattutto al fianco di sua moglie, consapevole che per lei, che ha portato in grembo la piccola figlia per 9 mesi, il dolore è ancora più forte. La madre ha lo sguardo perso nel vuoto e un dolore nel cuore inspiegabile. La piccola Rebecca è tornata tra le braccia dei suoi amati dopo 8 giorni, perché è stata sottoposta ad autopsia: anche lei, come Bruno, è un tenerissimo angioletto, col naso del papà e quel vestito bianco principesco voluto dalla madre. Un incontro, quello tra madre e figlia, al quale tutti i medici avrebbero dovuto assistere. Un incontro durante il quale la mamma spiegava alla sua “Principessa” che non è stata colpa sua, ma di scusarla ugualmente, che ha provato a proteggerla. Una madre che ha voluto cantare la ninna nanna alla sua dolce figlia per accompagnarla nel suo sonno. Una mamma che adesso deve trovare la forza per lottare ogni giorno per rendere giustizia alla sua principessa. Oggi, l’ultimo saluto alla piccola Rebecca. Una chiesa colma di dolore e di persone che ormai non riescono più a sperare e sognare (ammesso che partorire un bambino debba essere considerato un “sogno”, ma in questa città ormai…)

Il mio racconto non è un messaggio di pietà, né un gesto di egoismo per mettere in evidenza il brutto periodo vissuto, anche perché io, seppur col cuore a pezzi, ho continuato a vivere la mia vita, seppur col pensiero fisso a queste due coppie di genitori. Il loro dolore non è minimamente immaginabile. La mia decisione di scrivere questa lettera scaturisce dall’incredibile cattiveria che ci circonda, dagli incredibili commenti letti sui social network sotto gli articoli di StrettoWeb. Probabilmente solo chi vive esperienze del genere riesce a capire cosa si prova, ma questo vorrebbe dire augurare il male a qualcuno, e non è mia abitudine farlo nemmeno con i peggiori nemici, figuriamoci con sconosciuti leoni da tastiera. A volte anche dando retta ad una 28enne qualsiasi che ha sempre sognato una famiglia numerosa e che adesso ha una fottutissima paura anche della normalità, si può provare a mettersi solo per qualche secondo nei panni degli altri e, seppur non riuscendo a provare lo stesso dolore, capire che effettivamente è accaduta una cosa grave. Molto grave.

Durante l’ultimo saluto a Rebecca, oggi, il prete ha affermato che “Reggio è una città malvagia e siamo noi a volerla così”. Non posso far altro che dire che ha pienamente ragione! Io però sono una sognatrice nata, sono una di quelle persone che, nonostante tutto il male che le circonda, crede sempre nelle favole a lieto fine. Chissà, magari un giorno i nostri figli potranno vivere in un posto meno malvagio? Chissà. Il problema reale è che prima di tutto bisogna vedere se riusciremo a metterli al mondo…

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