Reggio Calabria, dal carcere di Arghillà alla morte in un lampo: la drammatica storia di Arturo Fedele

StrettoWeb

Reggio Calabria, la drammatica storia della morte di Arturo Fedele raccontata dai familiari

La storia che vi raccontiamo è triste e delicata, perchè pone l’accento su un tema molto importante e storicamente discusso, controverso e condizionato dalle personali sensibilità. Ma ormai è  stato anche giuridicamente e internazionalmente riconosciuto come anche i carcerati non possano vedersi negati alcuni diritti fondamentali.

La drammatica storia di Arturo Fedele, reggino arrestato a ottobre 2015, è stata raccontata a StrettoWeb direttamente dai familiari. “Arturo si trovava ristretto presso il carcere di Arghillà da 2 anni più o meno. A Gennaio 2017 ha iniziato a lamentare dei disturbi neurologici e disturbi di deambulazione, ma i medici del carcere ogni qual volta lui marcava visita gli dicevano di tornarsene in cella che non aveva nulla e secondo loro lo faceva apposta, intanto passavano i giorni e ad un certo punto si è allettato arrivando al punto da non farcela più a vestirsi e lavarsi da solo e doveva venire ai colloqui accompagnato da un compagno di cella nonostante le varie richieste da parte sua da parte della famiglia e anche da parte dei compagni di detenzione di essere portato in ospedale per una tac, il personale penitenziario si ostinava a pensare che fosse tutta una finzione. Fino ad arrivare al 28 Febbraio: la mattina si alza dal letto per andare in bagno e cade in preda di una crisi epilettica a quel punto finalmente si decidono a trasportarlo presso gli ospedali riuniti di Reggio Calabria dove fanno gli accertamenti e da lì si evince che in testa aveva una marea di metastasi provenienti da un tumore maligno al polmone. Così rimane in Ospedale ricoverato per un mese, il 30 marzo il primario lo dimette e viene riportato in carcere allettato e con poche speranza di sopravvivenza, finalmente il 4 aprile il giudice si convince a concedere gli arresti domiciliari, torna a casa e si spegne il 7 Aprile, 3 giorni dopo essere tornato a casa. Ci chiediamo, come familiari, quanti altri detenuti si trovano nella sua situazione? Perché non bisogna credere ad un detenuto che lamenta disturbi così gravi? Siamo tutti essere umani e le cure non si negano a nessuno!“. Una riflessione assolutamente condivisibile: e se la drammatica storia di Arturo servisse a scuotere qualche coscienza? E’ quello che i familiari dell’uomo reggino, e tutti i cittadini di buon senso, non possono che augurarsi.

Condividi