Ceccato 98 – Tutti per uno

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ceccato 98di Enzo Cuzzola – Gli usi, i costumi e le tradizioni del paese, non permettevano a nessuno di annoiarsi, nemmeno a noi bambini nel periodo estivo. Appena svegli esclamavano, per il disappunto dei nostri genitori, “chi fazzu!?!?”, non vi era nemmeno il tempo della immancabile risposta, “lliscitu u mustazzu”, che qualcuno degli amici giungeva con una proposta di gioco, che ci avrebbe tenuti occupati l’intera giornata. Il campo di gioco, come sappiamo, era vastissimo, delimitato dai confini del paese (che comprendeva i tre villaggi, fusi insieme, di Cannavò, Riparo e Riparo Vecchio), ragion per cui spesso non rientravamo neanche per pranzo. I nostri genitori si preoccupavano solo a sera, se col buio, non ci facevamo vedere per cena, altrimenti sapevano che da qualche parte avremmo trovato da mangiare, sapevano che nulla poteva accaderci, dato l’occhio vigile, discreto ma vigile, di ogni compaesano.

Quel giorno, come quelli seguenti sino al 24 di giugno, malgrado il caldo asfissiante, l’avremmo dedicato alla raccolta, in un lungo ed in largo per il paese, di tutto ciò di infiammabile che era stato dismesso da qualcuno. Legname vario, vecchi mobili, copertoni per ruote di ogni genere di mezzo, ecc. Tutta quella roba, spesso alquanto pesante, andava trasportata, a volte trascinata, anche per chilometri, sino al punto di raccolta. I punti di raccolta erano tre. Il primo tra i due ponti, quello nuovo provinciale e quello vecchio comunale, dopo la scuola elementare, sarebbe stato usato dai Cannavosciani, il secondo alla confluenza tra l’Asparella ed il Calopinace, sarebbe stato utilizzato da noi Riparoti, il terzo, quello posto alla Confluenza tra il Prumo ed il Calopinace, sarebbe stato utilizzato dai Prumoti e da quelli di Riparo Vecchio.

Si preparava il combustibile per la “mbamparizza di San Giovanni”. Non c’era nulla di infiammabile che potesse sfuggire alla nostra attenzione ed alla nostra raccolta. Avremmo vagato giornate intere, sino allo sfinimento, in cerca del maggior numero di oggetti. Più sarebbero state le cose da ardere, più alte sarebbero state le fiamme. Più alte, quindi più visibili da lontano. Dovevamo vincere.

Per vincere bisognava, non solo raccogliere più roba, ma, anche evitare che, nottetempo, la stessa prendesse la strada verso altro punto di raccolta. Per questo i ragazzi più grandi, i giovanotti per intenderci avrebbero, a turno, trascorso le notti, in compagnia dei ripartitori. Anche questi ultimi, ovviamente, facevano il tifo per l’una o l’altra fazione, in funzione dei loro natali, quindi contribuivano alla causa, raccattando nei giardini rami spezzati e quant’altro.

Avremmo vinto, lo sapevamo, perché il nostro motto era “tutti per uno, uno per tutti”.

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