Ceccato 98 – Arancino di Garibaldi

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di Enzo Cuzzola – La miocardite non passava ed i medici erano sempre più preoccupati. Preoccupazione che trasmettevano anche ai miei genitori. L’unico a non mostrare preoccupazione era zio prete. Lui era seriamente cardiopatico e sminuiva costantemente la mia patologia. Rassicurava costantemente i miei genitori. Una mattina confidò a mia madre di avere parlato con sua madre (mia nonna paterna, morta anni prima), forse in sogno o forse in uno stato di dormiveglia. La nonna aveva rassicurato zio prete che sarei vissuto a lungo, perché lassù qualcuno pregava per me. Mia madre, donna di grandissima fede, si rassicurò alquanto.

Lo raccontò al cardiologo. Era un brav’uomo e forse anche un sant’uomo, lo dimostrava il fatto che si pagava solo una visita ogni tanto, ma si arrabbiò molto. Inveì contro zio prete, peraltro, anche egli suo cliente. E ci mandò a consulto a Messina.

Zio prete a pranzo, informandosi, sull’esito della visita, ribadì che la mia non era una malattia grave. Il cardiologo era solo un medico molto scrupoloso.

 Pomeriggio, mentre stava in camera sua, mi chiese di portargli un bicchiere di acqua. Sottovoce mi porse un biglietto da 500 lire e mi suggerì una volta sulla nave, di ritorno da Messina, di farmi comprare un “arancino di garibaldi”. Pensai mi prendesse in giro, ma intanto conservai accuratamente la banconota.

La mattina seguente, compare Nino Tortorella ci accompagnò in macchina fino al porto, mio padre, mia madre ed io. Il traghetto era una nave grandissima, la Secondo Aspromonte. Si accedeva a bordo, da una porticina sul lato sinistro, nella pancia piena di treni. Si saliva attraverso tre rampe di scale sino al ponte principale, dove c’era il salone passeggeri. Sui due lati vi era il ponte delle imbarcazioni di soccorso. Era bellissima. Da mezzo allo stretto si vedevano le due sorelle bellissime, Reggio verso il sorgere del sole e Messina verso il tramonto. Fu una traversata bellissima.

La visita non andò bene. Si capiva dall’umore e dagli sguardi che si scambiavano i miei genitori. Non me ne importava: quella traversata, in un bel giorno di sole di quasi primavera, metteva allegria e voglia di vivere. Pensai che forse non sarei vissuto a lungo e quindi sarebbe valsa la pera cercare di vivere al meglio i giorni che avevo davanti, mi ricordai della banconota di zio prete. La estrassi dal taschino dei pantaloni e la consegnai a mio padre, chiedendogli di comprarmi un “arancino di garibaldi”. Mio padre intuì la provenienza e disse che quel burlone del prete non sarebbe mai cambiato.

Comprò allo spaccio del traghetto tre arancini. Erano buonissimi, qualcosa di unico per la loro bontà.

Mi spiegò poi che non erano gli “arancini di garibaldi”, ma erano prodotti dalla “provveditoria garibaldi” la società che confezionava i pasti per il personale delle navi traghetto.

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