Reggio Calabria, De Benedetto sui Bronzi di Riace: “avevano elmi e scudi, ed erano più di due”

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StrettoWeb

I bronzi di Riace“Sono più che dubbi quelli che emergono dall’inchiesta “Facce di Bronzo” del professore vibonese Giuseppe Braghò. Come si apprende dai contenuti resi recentemente disponibili dallo stesso autore sulla pagina Facebook “Giuseppe Braghò – Bronzi di Riace: il vero e il falso” all’indirizzo https://www.facebook.com/riacefaccedibronzo/, esistono numerose prove fra documenti, foto e testimonianze che portano decisamente a pensare che i personaggi direttamente coinvolti nel recupero dei Bronzi (e beneficiari della ricompensa) abbiano visto, sui fondali delle acque di Riace, cose oggi non esposte al Museo di Reggio Calabria. Tra le evidenze più importanti al momento disponibili sulla pagina si segnala la denuncia originale redatta da Stefano Mariottini in cui lo scopritore denunciava “un gruppo di statue” e non solo due, di cui una “a braccia aperte e gamba sopravanzante” con l’altra che “presenta sul braccio sinistro uno scudo”. Altro documento importante è la relazione tecnica dell’emerito archeologo Pietro Giovanni Guzzo che parla di uno dei due Bronzi come “anch’esso barbato e con elmo”. Le statue oggi esposte a Reggio Calabria non hanno scudi o elmi, e nessuna delle due ha la postura descritta. L’inchiesta porta avanti anche alcune prove fotografiche pubblicate sulla stessa pagina. Mentre nella denuncia ufficiale Mariottini descriveva i Bronzi “…dal modellato pulito, privo di incrostazioni evidenti…”, la foto della statua detta “il Giovane” appena recuperata più che “…privo di incrostazioni evidenti…” ha l’apparenza di un monolite. Altra prova regina è la foto del reggiscudo del Bronzo detto “il Vecchio” in cui si vede che le incrostazioni sono “saltate” soltanto in corrispondenza dei fori superiori di tenuta, il che porta a pensare, come unica spiegazione plausibile, che lo scudo sia stato avulso con violenza in epoca moderna. Il professor Giuseppe Braghò evidenzia che, in base al D.L.gs 22.01.04, n. 42, “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, artt. 90-93, lo Stato ha l’obbligo di riconoscere un premio economico solo per rinvenimenti del tutto fortuiti. Tuttavia, risulta difficile pensare che il sub romano Stefano Mariottini abbia ritrovato casualmente i Bronzi di Riace. Il giorno della denuncia, ad accompagnare Stefano Mariottini al Museo fu suo zio acquisito, il professor Alcherio Gazzera (di Monasterace), balzato alle cronache per un sequestro di ingente material archeologico trafugato, come descritto in un articolo d’epoca della Gazzetta del Sud disponibile sempre sulla pagina. A supportare l’ipotesi dei trafugamenti sono anche le primissime cronache dell’epoca. Sulla pagina si ritrova infatti il primo articolo in assoluto riguardante il ritrovamento dei Bronzi di Riace, pubblicato da “Il Giornale di Calabria” il 20 agosto del ’72. Nell’immediatezza della scoperta, si parlava già di “tre statue” e di “tentativi di rimuovere” le stesse per mezzo di una barca da parte dei “turisti romani”, identificabili in Stefano Mariottini e due suoi cugini, Bruno Gazzera e Sandro Lo Moro. La speranza è che la Calabria non venga più depredata delle sue bellezze e dei suoi tesori, e che i Bronzi vengano ricomposti nella loro integrità a beneficio della Nostra Terra e della collettività tutta”. E quanto scrive il Prof. Vincenzo De Benedetto.

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