Messinesi “buddaci” e reggini “sciacquatrippa”: altro che calcio, lo sfottò tra le città dello Stretto ce lo spiega… Giufà!

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Perché i messinesi chiamano i reggini “sciacquatrippa”? La risposta ce la spiega… Giufà!

Si peggiu i Giufà“. Sarà capitato più o meno a tutti di aver sentito pronunciare almeno una volta questa espressione, utilizzata in riferimento a vicende buffe o imbarazzanti e prive di logica, in cui qualcuno si è messo in ridicolo.  Questa tipica espressione, d’uso in Sicilia ma anche al di là dello Stretto, rimanda alle strampalate vicende di Giufà, un personaggio che nelle sue avventure incarna l’esempio tipico dello stolto, del credulone, che finisce sempre nei guai,  guai da cui però magicamente ne riesce sempre illeso. Le prime tracce di Giufà in letteratura risalgono agli arabi del IX secolo, ma è grazie l’etnologo Giuseppe Pitré che gli aneddoti su questo simpatico personaggio ebbero una più ampia diffusione in Sicilia. Il personaggio di Giufà è ben noto anche nella tradizione popolare di Reggio Calabria. “Sciacquatrippa“, l’appellativo con cui i messinesi indicano i cittadini reggini, in risposta all’epiteto “buddaci” , deriva infatti  dal racconto di “Giufà  e la trippa”.  Si racconta che in occasione del Natale la mamma di Giufà decise di cucinare un buon piatto di trippa, dunque chiese  al figlio di recarsi dal macellaio per acquistare “un bel pezzo di carne”. Per non sprecare l’acqua a disposizione in casa, la mamma chiese al ragazzo di sciacquare la trippa nell’acqua di mare durante il tragitto. Così il giovanotto eseguì gli ordini della madre. Ma giunto in spiaggia e avendo sciacquato più volte il pezzo di “ventri“, Giufà non era del tutto convinto di aver perfettamente pulito ogni pare delle interiora.

Guardandosi intorno notò all’orizzonte un peschereccio che giungeva verso la riva. I marinai sicuramente lo avrebbero aiutato a capire se la trippa fosse pulita o meno- pensò il ragazzo. Perciò Giufà si mise a chiamarli dalla riva, alzando più volte le braccia per attirare l’attenzione. Quest’ultimi, vedendo il ragazzo gesticolare e chiedere aiuto, mandarono una scialuppa in soccorso. Quando uno dei marinai lo raggiunse sulla spiaggia, Giufà tirò fuori il suo sacchetto con la trippa e gli chiese: “Vi pari lavata sta ventri?” Al che tutto l’equipaggio infuriato abbandonò in fretta e furia il ragazzo riprendendo la navigazione. Così Giufà, un po’ perplesso, decise di fare rientro a casa. Ma nella strada del ritorno si  ricordò che di lì a poco il prete avrebbe celebrato la messa di Natale e sicuramente anche sua madre vi avrebbe partecipato. Giufà penso allora  di chiedere un parere alla mamma: certamente sua madre avrebbe potuto dargli le risposte che cercava! Così Giufà fece irruzione nella chiesetta, proprio nell’esatto momento in cui il prete era impegnato a tenere un’ omelia sui peccati di gola:

– “La gola è uno dei peggiori vizi, per “la ventri” si robba e si mmazza“- diceva il sacerdote. Sentendo queste parole, impaurito Giufà lanciò in area il suo sacchetto con la trippa e disse al prete: “Non la voglio più, tienitela“- e si allontanò a gambe levate dalla chiesa, tra le risate dei compaesani che assistevano all’ennesima scena comica di Giufà.

I messinesi, riprendendo l’episodio di “Giufà e la trippa” si fanno beffa dei reggini, golosi di questo piatto che è tipico della tradizione locale. I reggini, dal canto loro, si rivolgono ai messinesi chiamandoli “buddaci”. L’appellativo è utilizzato con riferimento al pesce Sciarrano, esemplare che si aggira per i fondali con la bocca aperta e capace di mangiare di tutto. Il buddace non è certamente un pesce pregiato, al più è utilizzabile per la preparazione di sughi. Il messinese, come appunto il “buddace”, sarebbe un “uomo di bocca”, un credulone pronto a parlare a sproposito con la speranza fare bella mostra di sé, ma che in realtà è “tutto fumo e niente arrosto”.

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