Donald Trump, il femminismo e quegli imbarazzanti cortei di chi non accetta la democrazia
Finalmente hanno smesso, almeno così pare. L’ondata di manifestazioni (e violenze) anti-Trump sembra essersi conclusa, con un bilancio di centinaia di arrestati negli USA e milioni di donne in piazza in tutto il mondo. Donne in piazza contro il “mostro cattivo“, che in realtà è l’unico vero femminista di tutta questa storia. Sicuramente il più femminista di tutti rispetto ai leader delle manifestazioni, a partire da Madonna che ad ottobre in piena campagna elettorale durante uno spettacolo al Madison Square Garden di New York, urlò testualmente “Se votate per Hillary vi farò un pompino e vi assicuro che sono brava“. Una frase che avrebbe dovuto far inorridire tutte le paladine dei diritti delle donne.
Trump, in realtà, si è già dimostrato nella sua lunga e valorosa vita (ha già compiuto 70 anni) un uomo di successo che ama circondarsi di donne nella vita privata e anche nel lavoro, affidando loro importanti ruoli decisionali, riconoscendo i pregi e le qualità tipiche del gentil sesso in modo particolare sul decisionismo, sulla operatività e sul pragmatismo.
In realtà quello del femminismo è soltanto un alibi di coloro che non ritengono di dover accettare la democrazia e decidono di manifestare contro il nuovo Presidente democraticamente eletto degli Stati Uniti d’America prima ancora che abbia iniziato a governare. Quella supponenza tipicamente arrogante che porta i radical-chic a celebrare la “grande festa di civiltà e democrazia” quando un’elezione si conclude con la vittoria del loro candidato preferito, mentre la stessa elezione nello stesso Paese con gli stessi elettori diventa un “imbroglio” quando vince il politico avverso, al punto addirittura da mettere in discussione la democrazia!!!
Piuttosto bisognerebbe interrogarsi come mai gli stessi identici elettori che per due volte consecutive negli scorsi 8 anni hanno eletto Barack Obama, adesso hanno preferito Trump alla Clinton. Gli Stati Uniti d’America sono un grande Paese e una grandissima democrazia: ogni elezione è una festa di civiltà e democrazia, a prescindere da chi la vince. E se Trump è riuscito in pochi mesi a vincere non una, ma due volte, in entrambi i casi sovvertendo ogni pronostico (dapprima nelle primarie del partito repubblicano, successivamente le presidenziali in cui era contrapposto alla Clinton), evidentemente un motivo c’è. E’ lui che ha saputo comprendere e intercettare meglio le esigenze degli americani.
Stucchevole tornare indietro nelle settimane della campagna elettorale e ascoltare le dichiarazioni di Hillary e dei democratici: convintissimi di avere la vittoria garantita, già in grande anticipo predicavano il fatto che “chiunque dovrà accettare l’esito delle urne” e che “la democrazia del nostro Paese non potrà essere messa in discussione“, temendo da parte di Trump una coda al veleno in caso di sconfitta. E adesso proprio loro stanno dimostrando una clamorosa, imbarazzante e retrograda immaturità: tanto erano convinti di vincere, quanto adesso non accettano nè la sconfitta nè la popolarità del neo-Presidente che ancora non ha fatto niente ma ha già risollevato Wall Street grazie agli annunci economici che piacciono al mercato, con un programma di sviluppo infrastrutturale importante e precise proposte per rilanciare l’economia americana. A proposito, non può lasciarci indifferenti l’interessantissima offerta presentata ieri a Marchionne, Fields e Barra, rispettivamente CEO di Fiat Chrysler, Ford e General Motors. In grande sintesi, Trump ha presentato una proposta che i big non potranno rifiutare: “vi taglio regolamentazioni e corporate tax, almeno del 75%. Ma voi dovete produrre negli Stati Uniti e assumere negli Stati Uniti, altrimenti avrete severe penali cioè dovrete pagare tariffe fino al 35% per importare le vostre auto prodotte all’estero nel nostro Paese“. Ed è chiaro che tutti torneranno a produrre negli USA, il mercato ripartirà e con il taglio delle tasse già annunciato per il ceto medio, l’economia americana si potrà risollevare dopo il periodo di crisi più pesante degli ultimi 70 anni.
Ecco perchè sono imbarazzanti quei cortei zeppi d’ipocrisia. Le femministe che scendono in piazza contro Trump (non si capisce perchè) sono le stesse che a fronte delle barbarie talebane del mondo islamico, dove le donne sono costrette a usare il burqa e le leggi di alcune comunità prevedono la lapidazione per adulterio si affrettano a predicare l’accettazione delle diverse culture e l’esigenza del multiculturalismo. Scendessero in piazza contro quelle palesi violazioni dei diritti umani, anziché coprirsi di ridicolo smentendo se stesse per andare contro a Donald Trump, vero femminista del 2017.
E, per favore, non paragonatelo a Grillo: anche lui parla alla pancia della gente, ma a prescindere dal vissuto del comico genovese decisamente lontano rispetto alla carriera di successo di uno come Trump, Grillo è privo di contenuti. Più che parlare alla pancia della gente, sbraita alla pancia della gente in base a come tira il vento. Oggi a favore dei migranti e domani contro, oggi a favore della Brexit e domani per l’Unione Europea, oggi a favore della sua stessa Virginia Raggi e domani contro.