Il referendum sul divorzio: un precedente storico in cui l’Italia votò per la modernizzazione

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Andiamo alla scoperta di un referendum non costituzionale votato in passato, che però alzò un simile polverone e mobilitò così come oggi l’intero mondo politico

In questi giorni non si sente parlare d’altro che del referendum costituzionale. Il 4 dicembre 2016 è ormai vicino, e gli italiani sono difatti chiamati a decidere se approvare o meno le modifiche costituzionali in discussione. Quest’oggi però non vogliamo parlare di questo referendum costituzionale, ma di un altro simile ed illustre precedente storico cui questo referendum può essere molto facilmente accostato, a causa del tremendo polverone che ha alzato con esso: il referendum del 12 e 13 maggio 1974 sull’abolizione del divorzio. Ma come, potreste dire: si votava per abolire il divorzio? Era già in vigore? Ebbene sì. Ma vediamoci più chiaro. Nel 1970 il parlamento italiano aveva infatti approvato la cosiddetta “legge Fortuna-Baslini” che, tra i tanti aspetti che toccava, segnava l’atto di nascita del divorzio nella nostra nazione. Si può tuttavia con facilità comprendere come una nazione quale l’Italia, dove le schiere dei cattolici sono tante e forti (e dove si guarda sempre con timore ai cambiamenti, anche se in realtà potrebbero rivelarsi forieri di miglioramenti), si oppose a questa proposta, a suo avviso nociva o addirittura distruttiva per la nostra nazione. Fatto sta che si andò a votare, ed allora (proprio come adesso), la nazione si divise: ai tempi però non esistevano PD e Movimento 5 Stelle, PDL e Lega Nord: eravamo infatti nella cosiddetta “prima repubblica”, e da un lato i sostenitori del no contavano il Partito Comunista Italiano (PCI), il Partito Liberale Italiano (PLI) ed il Partito Socialista Italiano (PSI), più progressisti; dall’altro tra i sostenitori del sì si annoveravano invece la Democrazia Cristiana (DC) ed il Movimento Sociale Italiano – Destra nazionale (MSI-DN), ovviamente più conservatori. Per comprendere tuttavia ancora meglio la reale vicenda di quel referendum, occorre fare un ulteriore breve excursus storico: la democrazia cristiana difatti era fortissima in quegli anni (l’intero iter di questa vicenda politica si svolse sotto due governi democristiani, il “Rumor III” ed il “Rumor V”), e questo stesso partito sperava di sfruttare questo referendum al fine di rafforzare il proprio potere e sedere pertanto più comodamente sugli scranni dei palazzi del potere: ma le cose non andarono per loro così come si auspicava. Mentre infatti lo stesso primo ministro di allora, Mariano Rumor (insieme a molti altri esponenti della DC e del fronte del Sì) si mantenne molto cauto ed oculato, colui il quale reggeva all’epoca le sorti della DC, Amintore Fanfani, intraprese una vera e propria battaglia campale a favore del Sì, indirizzata tra l’altro contro l’allora emergente Enrico Berlinguer, membro del PCI. Tuttavia i dati del referendum furono una vera e propria disfatta per la DC, poiché non solo si raggiunse il quorum (andò a votare l’87,72 % degli aventi diritto), ma anche va ricordato come il No abbia stravinto, attestandosi al 59,26 % e vincendo in ben 13 regioni su 20. Le ripercussioni politiche per Fanfani e per la DC furono considerevoli, ma le ripercussioni socio-culturali furono ben più vaste e profonde: immaginate infatti che società avremmo oggi, a più di 40 anni di distanza, senza divorzio? Si temeva che questo “monstrum” potesse infrangere l’istituto del matrimonio e gli stessi pilastri su cui si reggeva la società italiana; si temeva il peggio, in tutto e per tutto… E invece? Questo cambiamento si è solo rivelato foriero di modernizzazione, di innovazione, e di novità. E purtroppo (o per fortuna) la storia si ripete, e l’Italia non riesce talora a comprendere cosa effettivamente sia regresso e cosa progresso.

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