Reggio Calabria, il presidente dell’Associazione don Milani sul femminicidio

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“Il termine femminicidio è stato utilizzato per la prima volta dalla criminologa Diana Russel nel 1992, nel libro scritto con Jill Radford intitolato Femminicidio: The Politics of woman killing. La criminologa identificò una categoria vera e propria: una violenza esterna da parte del partner verso la donna “perché donna”. La violenza sulle donne è un fenomeno presente in tutti i Paesi e diffuso in tutte le classi sociali. La violenza nega alle donne i diritti fondamentali: la vita, la libertà, la dignità della persona e l’integrità morale. In Italia, il termine femminicidio è entrato in uso per indicare qualsiasi forma di violenza estrema contro le donne, la maggior parte inflitta in ambito familiare. Le statistiche riportano che ogni sessanta ore un uomo uccide una donna e in otto casi su dieci si tratta di un conoscente o di un famigliare stretto della vittima. Le cause principali che stanno alla base del femminicidio sono la gelosia e la vendetta. Ciò che arma la mano di una persona violenta è un irrazionale desiderio di possesso della donna, spesso vista come un oggetto per il proprio divertimento, divertimento che deve essere raggiunto a tutti i costi. Dunque, di solito, il “carnefice” è un uomo vicino alla sua vittima: un marito, un fidanzato che sosteneva di amare e invece ha nascosto la sua violenza e il suo possesso in un finto amore. Violenza, o fisica, o sessuale o psicologica che sia,in ogni caso avrà sempre lo stesso effetto: segnare a vita le vittime, nell’eventualità in cui esse sopravvivano. Questo il discorso di un’anonima sopravvissuta a questo tipo di violenza: “Perché non hai detto qualcosa”, mi hanno chiesto, preoccupati e confusi. “Avremmo potuto aiutarti. Avremmo potuto fare qualcosa!” Ci credo. Se avessero saputo quanto orribile la mia vita era diventata, non ho dubbi che avrebbero fatto del loro meglio per aiutarmi. Ma tutto questo è successo più di vent’anni fa. Oggi sono guarita, emotivamente sana, ne sono definitivamente uscita, e col senno di poi è facile vedere con chiarezza che i miei amici e la famiglia mi avrebbero aiutato. Ma allora non era così. Perché quando sei nel bel mezzo delle cose, nel bel mezzo di un inferno del quale sei convinta di essere responsabile, non puoi vedere nulla in modo chiaro. La paura e la vergogna ti consumano: sono costantemente al tuo fianco. E quando guardi la tua famiglia e gli amici, li immagini mentre ti giudicano e ti deridono. Perché conosci le loro opinioni sulle donne coinvolte in relazioni violente”, è quanto scrive l’avv Filippo Pollifroni, presidente dell’Associazione di Volontariato Don Milani. “È chiaro – prosegue- come sia stato difficile per la donna in questione riprendersi dalle molte violenze subite, senza motivo, ma sentendosi in colpa comunque. Tutte queste storie di violenze subite da donne innocenti hanno scosso gli animi delle persone che governano gli Stati, infatti, il primo agosto 2014 è entrata ufficialmente in vigore la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, meglio nota come “Convenzione di Istanbul”, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011.La Convenzione ha l’obiettivo di: proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi; predisporre un quadro globale di politiche e di misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; sostenere e assistere le organizzazioni e le autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l’eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica..L’articolo 66 della Convenzione prevede l’istituzione di un Gruppo di esperti indipendenti che ha il compito di monitorarne l’attuazione da parte degli Stati membri. Il Gruppo si chiama GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence).Il GREVIO ha il compito di vigilare e valutare, attraverso rapporti periodici forniti dagli Stati, le misure adottate dalle parti contraenti ai fini dell’applicazione della Convenzione.Il regolamento procedurale del GREVIO stabilisce che «ciascuno Stato assicura che la procedura di selezione nazionale che porta alla nomina dei candidati per il GREVIO sia trasparente e aperta alla concorrenza, al fine di portare alla nomina dei candidati più qualificati» che devono essere, per ciascuno Stato parte non più di tre. Solo uno dei candidati, ove selezionato dal Consiglio d’Europa, potrà far parte del suddetto Gruppo di esperti. L’incarico- aggiunge-  è a titolo gratuito, dura quattro anni ed è rinnovabile una sola volta. Un ruolo importante in questo fenomeno, è quello giocato dai mass media, i quali con i loro potentissimi mezzi riescono a diffondere idee e immagini in tutto il mondo in tempo zero. Spesso però il risultato è che creano idee sbagliate nelle mente della gente comune, un esempio è dato da questo documento anonimo su un blog:” Le donne sono “conniventi”, “istigano”, sono “ambivalenti” e via con le interpretazioni che fanno perdere di vista la realtà e quella disparità con gli uomini che si regge su una stratificata struttura di potere economico e sociale. Lottiamo ancora oggi contro queste opinioni e a volte inciampiamo ancora nella spiegazione del problema come rapporto vittima-carnefice. Fin dal momento in cui nascono, uomini e donne sono soggetti a differenti destini, indotti con le buone o con le cattive ad aderire alla costruzione sociale del genere nella logica del mantenimento di prestabiliti rapporti gerarchici. Non si può distogliere l’attenzione dal sistema che mantiene in essere le relazioni di dominio e potere, e poi mettere sullo stesso piano chi agisce violenze (o trova vantaggio dalle discriminazioni) con chi tali violenze o discriminazioni subisce.Grazie alle testimonianze delle donne abbiamo scoperto da un bel pezzo la connivenza tra famiglia, società, istituzioni e violenza. Se volgiamo uno sguardo sul piano di realtà è vero che la Convenzione di Istanbul è legge, eppure ancora oggi ci sono casi di rimozione della violenza che avviene non solo nelle donne, nella società e nelle famiglie ma nelle sentenze o nei provvedimenti dei tribunali, nelle relazioni degli assistenti sociali, nella narrazione che viene fatta della violenza contro le donne.Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una pericolosa tendenza che ha distorto i percorsi volti a restituire forza alle vittime per volgerli contro di esse; per creare nuove forme di tutela e di controllo e senza che si agisse adeguatamente per bloccare i comportamenti violenti. La reazione contro la libertà delle donne è forte perché la posta in gioco è alta.Le donne debbono fare la loro parte ed essere coscienti della loro adesione ad una cultura che le subordina e le vittimizza. La violenza sulle donne, quindi, non sono altro che la conseguenza di una società patriarcale e maschilista, incapace di concepire la donna come essere autonomo, pensante e libero. È proprio questa libertà che spaventa gli uomini che preferiscono la donna loro succube. Il femminicidio va combattuto perché la vita è un dono prezioso e nessuno ha il diritto di decidere di poterle porre fine o meno. Non si può’ sottacere che il femminicidio rinnega la libertà’ della donna, che è una conquista sociale prioritaria e per questo va combattuto”, conclude.

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