Melito Porto Salvo: appena 400 persone alla fiaccolata, si tace e acconsente alla violenza

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Si sono presentati appena in 400 alla fiaccolata di solidarietà per la ragazza vittima di abusi a Melito Porto Salvo: il tacito assenso del paese che diventa complicità alla violenza

Reggio Calabria è ancora una volta sulle pagine di cronaca nazionale, ripresa dalle maggiori testate, grazie a episodi di cui bisognerebbe soltanto vergognarsi. Ancora una volta l’Italia intera guarda a Sud e vede una terra di ignoranti, pecore e mafiosi. 
Si è tenuta, come previsto, la fiaccolata di solidarietà per le strade di Melito Porto Salvo nei confronti della famiglia della ragazza vittima di abusi sessuali. Nonostante i ripetuti inviti della comunità, dei giornali, della Chiesa, alla fiaccolata erano presenti appena 400 persone, molte delle quali provenienti da fuori paese. Melito Porto Salvo è un comune che conta circa dodicimila persone, persone che hanno preferito stare a casa, non guardare, non sentire ma sopratutto non farsi vedere e non mettersi in mostra.

Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, ha dedicato anche la sua omelia di oggi a questo tema, durante la Santa Messa nella Basilica Cattedrale davanti alla Madonna della Consolazione. L’Arcivescovo ha rimarcato temi evidentemente mai abbastanza affrontati: la responsabilità, l’educazione, il coraggio della denuncia. Ne ha parlato oggi davanti all’enorme assemblea della Cattedrale, ne ha parlato venerdì sera davanti alle centinaia di persone presenti alla veglia nella Basilica dell’Eremo, ne aveva parlato già durante il momento di preghiera che ha deciso di fare giovedì scorso proprio a Melito, nel luogo in cui questo orrore si è consumato.

Un breve riassunto: tre anni fa, una ragazzina di tredici anni di Melito Porto Salvo, provincia di Reggio Calabria, ha iniziato una relazione con un ragazzo più grande, ma allora minorenne. Questo ragazzo contava tra le sue amicizie quella di Giovanni Iamonte, rampollo del boss Remingo, il cui nome basta per incutere un senso di paura e sottomissione nel paese. Iamonte, oggi 30 anni, allora 27, l’ex fidanzato della vittima e altri sette ragazzi ventenni, sono stati arrestati in seguito a indagini che hanno determinato la loro colpevolezza per abusi sessuali ai danni della minorenne.
La notizia basterebbe già di per sé a far discutere e portare alla nausea chi ne viene a conoscenza ma, come sempre succede a Reggio Calabria, abbiamo voluto strafare. La “voce del popolo” si è espressa tacitamente con l’assenteismo alla fiaccolata solidale ma ancor prima e ripetutamente si è espressa sulla faccenda con frasi che fanno rabbrividire: “Se l’è cercata”; “Si sapeva che era una ragazza movimentata”; “Siamo dalla parte delle famiglie dei ragazzi, lei li ha provocati” e altre oscenità. Orrori che fanno quasi passare quello dell’atto in sé in secondo piano.

In questi giorni, ma soprattutto in queste ore, si sta discutendo animatamente del caso e l’opinione pubblica si divide tra chi è d’accordo con la “voce del popolo” e chi invece mantiene un briciolo di lucidità.
Non una, non dieci, non mille ma dodicimila persone hanno preferito non entrare in merito o peggio hanno preferito schierarsi contro la ragazza accusandola e dandole la colpa. Sono usciti fuori temi di emancipazione, di femminismo, di arretratezza culturale, tutti indiscutibilmente correlati all’abuso. Ma sembra essersi perso completamente di vista un fattore: NOVE ragazzi MAGGIORENNI hanno abusato sessualmente e ripetutamente di una ragazzina di 13 anni.

Qui non si tratta di una ragazza abbordata per strada, non si tratta di un episodio successo una volta sola (che già sarebbe terribilmente grave), non stiamo parlando di una violenza “casuale”. Stiamo parlando di una vera e propria gang organizzata di persone maggiorenni che hanno approfittato della ragazzina, innocente o no che fosse, consenziente o meno che fosse.
A prescindere da tutto, l’abuso di un minore, di una ragazzina appena più che bambina, è da condannare in qualsiasi caso. Non c’è e non potrà esserci mai giustificazione per un atto del genere, non si possono dare colpe alla ragazza quando dall’altra parte abbiamo nove ragazzi che hanno raggiunto (ma soltanto su carta) la maturità. Ragazzi che hanno abusato di lei, ragazzi che l’hanno perseguitata per tantissimo tempo, che la prendevano a scuola e la portavano in posti isolati per sfogare le proprie voglie e le proprie manie di potere. Sarebbe stato già grave nei confronti di una coetanea, nonché nei confronti di una trentenne o quarantenne o cinquantenne, ma nei confronti di una bambina è mille volte più grave.

E continuiamo a discutere se la minigonna poteva essere indossata o meno, se la scollatura era troppo provocante o meno, se questa ragazzina camminava in strada da sola o meno, senza guardare nemmeno per un attimo a chi la colpa l’ha già vista riconosciuta da un tribunale.
Che opinione si può mai avere di un’opinione pubblica che dimentica il reo per accanirsi sulla vittima? Che persone siamo? E la cosa peggiore è che le più accanite nell’accusa sono proprio le donne!
Tutte le ragazze, le donne, almeno una volta camminando da sole per strada si saranno sentite fischiare da un finestrino, chiamare da qualche sconosciuto, avranno ricevuto apprezzamenti pesanti, avranno sentito qualche mano morta toccarle in mezzo alla folla.
Non facciamo le ipocrite e non diciamo “a me non è mai successo” perché, se anche fosse, ciò non toglie che potrebbe succedere in qualsiasi momento. E non perché siamo a Melito, non perché siamo a Reggio Calabria, ma perché la nostra società è così: è abituata a far finta di niente, a tacere, a guardare dritto e andare avanti.

Qui da noi questo atteggiamento è aggravato dalla paura del boss, del rampollo della grande e temuta casata. Ma allora non indigniamoci quando il Vescovo o il giornalista ci addita di omertà, perché è vero. Ci arrabbiamo perché ci mettono davanti ai nostri peccati: in un paese è assolutamente impossibile che nessuno si sia mai accorto di niente, è assolutamente impossibile che nessuno abbia mai visto questa ragazza salire in auto o tornare a casa accompagnata dal personaggio di turno, è assolutamente impossibile che nessuno sapesse, dagli amici ai familiari, dagli insegnanti ai conoscenti. Purtroppo è invece assolutamente possibile che si sia preferito il silenzio, che in questo caso diventa anche tacito assenso, nonché complicità all’abuso.

E come si può dormire la notte con la consapevolezza di essere complici di un’oscenità così grave? Bisognerebbe essere uomini senza scrupoli, non così lontani dagli ideali di quelle famiglie tanto temute. Diceva Mons. Morosini due giorni fa: “Con i cartelli in mano siamo tutti antimafia“, ma qui i cartelli non si ha avuto neanche il coraggio di prenderli in mano. Non si ha avuto il coraggio di prendere in mano una semplice candela e di camminare per strada, nel rispetto del dolore.

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