Reggio sequestrata, Olimpiadi vietate: altro che Erdogan, se questa è la nostra “democrazia” …

StrettoWeb

Dai Gazebo di Reggio Calabria al vergognoso stop imposto ad Alex Schwarzer in vista delle Olimpiadi di Rio de Janeiro: ci scandalizziamo per Erdogan e la Turchia, ma se guardiamo in casa nostra non è che ci sia tutta questa “democrazia”…

Da ormai due settimane, dopo il tentativo di colpo di stato fallito in Turchia nella notte del 15 luglio, ci scandalizziamo quotidianamente alle notizie delle “purghe” di Erdogan: il Presidente della Turchia che ha arrestato 18.000 persone e licenziato altre migliaia di dipendenti pubblici che avevano incarichi statali, accusati di aver ordito il tentativo di colpo di stato. E’ una brutta storia che riguarda un grande Paese a noi molto vicino, alle porte dell’Europa, in un’area strategica e molto delicata (sempre nella storia, ma probabilmente oggi più che mai). Una storia in cui però mancano molti tasselli, almeno nel modo in cui ci viene raccontata.

Erdogan viene dipinto come quello brutto e cattivo. I soldati e gli impiegati licenziati e arrestati vengono eretti a paladini della libertà. Ma sfugge che Erdogan è il Presidente della Turchia, che è stato eletto democraticamente, che durante il colpo di stato la gente è scesa in piazza per difendere lo Stato da chi stava cercando di prendere il potere con la violenza di mitragliette e carri armati. Tra i civili, ci sono stati circa 60 morti e 800 feriti: persone che hanno sacrificato la loro vita pur di non consentire che venisse sovvertito il verdetto delle urne. Quelle urne in cui, in modo democratico, Erdogan vince sempre dal 2003 (prima è stato per 11 anni premier, adesso da 2 anni è Presidente). Sfugge anche che se il colpo di stato fosse andato diversamente, e cioè se i ribelli avessero vinto, ad essere ucciso, magari decapitato, sarebbe stato Erdogan e ad essere arrestati, licenziati, probabilmente anche torturati e violentati, sarebbero stati altrettanti migliaia di turchi, quelli che stavano dalla parte dello Stato. Ci saremmo scandalizzati così tanto?

LaPresse/Reuters

A tutti fa male vedere certe immagini di violenza e di torture, ma in Turchia hanno provato a fare un colpo di Stato, hanno assaltato l’Hotel in cui Erdogan era in vacanza con l’intento di ucciderlo, non è certo immaginabile che adesso tutto si risolva con tre Daspo, due domiciliari e una libertà vigilata. Evidentemente abbiamo la memoria molto molto corta. L’ultima volta che il mondo occidentale aveva tifato per un colpo di Stato (cioè un modo antidemocratico e violento di prendere il potere in uno Stato sovrano), è stato proprio pochi anni fa, quando gli USA e l’Europa hanno foraggiato la cosiddetta “Primavera Araba“, prima in Libia dove Gheddafi è stato ucciso nel 2011, poi in Egitto contro Morsi nel 2013. E siamo finiti dalla padella nella brace. Quello che è successo dopo l’abbiamo visto tutti ed è inutile soffermarsi oltre. Ci avevano raccontato che era la nuova alba della libertà e della democrazia, invece è stato l’inizio della fine non solo per i Paesi che erano i più sviluppati dell’Africa, insieme a Marocco, Algeria e Tunisia (quelli affacciati al Mediterraneo), ma anche per l’Europa e gli USA che da quel momento sono piombati nel terrore e stanno vivendo una terribile escalation criminale senza precedenti. La guerra iniziata con la violenta dichiarazione bellicosa dell’11 settembre 2001 a New York si sta intensificando con numeri drammatici: una situazione che ha fatto piombare nel panico il mondo occidentale, con evidenti responsabilità per i due leader più importanti che continuano ad alimentare il “buonismo” suicida della nostra civiltà: Barack Obama e Papa Francesco.

Ma se la distruzione dei nostri valori è senza ombra di dubbio messa in crisi da chi ci combatte dall’esterno, bisogna comunque fare un’analisi più approfondita sul momento di sbandamento che viviamo all’interno dei nostri Paesi (un tempo) civili e sviluppati, e in modo particolare in Italia dove abbiamo perso ogni tipo di identità nazionale e continuiamo a dividerci in lotte fratricide: sembra che lo Stato, con le sue strategie, non sempre remi dalla parte giusta. Da un lato c’è l’Italia che avanza: è quella dell’avanguardia, delle nuove tecnologie, dell’energia rinnovabile, della ricerca spaziale, dove il nostro Paese ha un ruolo di leadership internazionale. C’è un’Italia che prova a reagire alla crisi, a guardare lontano, a ricominciare a sognare. E’ l’Italia dell’Expo, della nuova A3 Salerno-Reggio Calabria, quella che insegue le Olimpiadi di Roma 2024 e il Ponte sullo Stretto. Poi c’è un’altra Italia, quella che dalla giustizia allo sport a volte sembra combattere i propri gioielli, coloro che dovrebbe tutelare.

Reggio Calabria è la città-simbolo della lotta alla ‘Ndrangheta, un tumore maligno che da molti decenni priva le libertà non solo del Sud ma ormai di tutto il Paese. Dopo anni di arresti in cui le principali cosche sono state decapitate, lo Stato sembra aver cambiato strategia e negli ultimi tempi assistiamo a una deriva molto pericolosa da parte delle istituzioni che hanno iniziato ad intervenire non solo nei confronti degli ‘ndranghetisti, ma anche su “presunti” tali. Ecco che in uno Stato di Diritto non deve più essere l’accusa a dimostrare la colpevolezza dell’accusato, ma al contrario è l’accusato (magari innocente) – dopo che subisce gli arresti, i sequestri, le prime pagine dei giornali – che deve dimostrare la propria innocenza (che molto spesso è reale), per ritrovare tutte le proprie libertà, ma probabilmente non la dignità di cui lo Stato l’ha privato.

Una volta il caso emblematico di Enzo Tortora è finito nella storia di questo Paese con libri, film, romanzi, servizi TV. Oggi siamo circondati da dieci, cento, mille Enzo Tortora e l’ingiustizia non fa più notizia. E ci scandalizziamo per Erdogan e la Turchia, se questa è la nostra “democrazia“? Reggio Calabria oggi è una città sequestrata: ben vengano i provvedimenti che vanno a colpire le cosche della ‘ndrangheta e i loro patrimoni. Ma in molti casi si è andati a colpire gente per bene, il tessuto economico e sociale sano della città: gente che lavorava onestamente e adesso è in mezzo a una strada per la “presunzione” di chissà che.

Pensiamo al Centro Sportivo Sant’Agata, che toglieva centinaia di giovani dalla strada e forniva loro un percorso formativo ed educativo all’insegna dei sani valori dello sport, incentrato sullo studio, sul rispetto, sulla legalità. Tanti reggini doc oggi giocano in serie A e in serie B, senza il Centro Sportivo Sant’Agata magari sarebbero diventati affiliati di questa o di quell’altra cosca criminosa. Oggi al Sant’Agata ci sono soltanto macerie, ed è purtroppo la stessa fine che ha fatto l’ex Hinterreggio Village, il Parco Caserta e molte altre strutture di una città in cui non è più possibile neanche praticare sport. Uno dei più importanti veicoli del rispetto delle regole e della vita civile.

Ma diventa difficile anche assistere ad uno spettacolo, è la “cultura proibita“: oggi per fortuna riapre Teatro Catona, hanno dovuto annullare diversi spettacoli e smontare la tribuna che ogni anno, d’estate, negli ultimi decenni aveva ospitato migliaia di persone ma in questo 2016 è stata sequestrata pochi giorni prima dell’inizio della nuova stagione. Adesso sarà un problema la disposizione delle sedie? Ci auguriamo di no.

E’ diventato difficile anche poter mangiare un gelato o una granita sul Lungomare: per la seconda volta consecutiva in piena estate il Comune ha posto i sigilli ai Gazebo e adesso si va verso il loro definitivo smantellamento, la scorsa settimana anche Sireneuse è stato costretto a chiudere.

Le lacrime del signor Alampi, noto da tutti come una persona pulita, lontana da ogni logica criminale, sono le lacrime di una città che ha perso anche la normalità. Persino l’Ospedale è da giorni senza Bar, con tutti i disagi che ne seguono. Perché il figlio del signor Alampi ha sposato (ormai da molti anni, hanno già tre figli) una lontana parente di un ex boss ormai defunto e quindi “l’attività potrebbe essere soggetta ad infiltrazioni“. Cioè Alampi non è mafioso, lavora da anni con onestà e con investimenti importanti in città, ha diverse decine di dipendenti ma deve chiudere, senza neanche la possibilità di un’amministrazione giudiziaria. Quindi tutti i dipendenti devono restare in mezzo ad una strada, con le loro famiglie nella disperazione.

E’ una popolazione piegata quella di Reggio Calabria, la città con il più alto tasso di disoccupazione e con una povertà dilagante. Ci chiediamo se questa strategia dello Stato sia quella giusta per combattere la ‘Ndrangheta, o se crei soltanto un’ulteriore spaccatura tra le Istituzioni e la Popolazione, ottenendo il risultato opposto e cioè che anche la gente pulita, nella debolezza dell’indigenza, venga avvicinata dal circuito criminoso della malavita proprio perchè si vede mancare tutti i riferimenti sani che lo Stato dovrebbe fornirle.

Due sono gli elementi su cui si basa una Repubblica civile e moderna: lavoro e giustizia. E a Reggio, in Italia, sembra non ci siano più ne’ l’uno ne’ l’altra. Non che il lavoro debba fornirlo lo Stato in modo assistenziale: i CV sulle scrivanie dei politici sono la logica più aberrante della concezione di democrazia. Lo Stato deve però mettere i territori nelle condizioni di lavorare, di creare economie reali, di consentire alle attività private di nascere, crescere, proliferare. Aumentare le tasse dei Gazebo del Lungomare di Reggio Calabria del 500% da un anno all’altro non è proprio il top per aiutare l’economia. Imporre la chiusura di attività che nulla hanno a che fare con la ‘ndrangheta neanche: si ottiene soltanto la fame della gente e anche l’odio di chi dallo Stato vorrebbe essere tutelato e invece è costretto a vedere nelle Istituzioni i propri nemici.

La ‘Ndrangheta si può sconfiggere soltanto con una vera e propria “svolta” sociale, civile e culturale: le cosche decapitate dagli arresti hanno già dimostrato di sapersi “rigenerare”, ed è in quel tessuto sociale che bisogna intervenire per privare la criminalità della propria base. Invece si sta facendo esattamente il contrario. Illuminante una recente intervista al Prefetto Musolino.

Ma viviamo in una realtà in cui la popolazione non ha perso soltanto il lavoro e la giustizia. A Reggio Calabria, in Italia, ci manca un’anima. Ci scandalizziamo tanto per Erdogan e la Turchia, ma se ci fosse nel nostro Paese un colpo di Stato, quanti sarebbero disposti a scendere in piazza e sacrificarsi con la vita per salvare la democrazia? Viviamo in una realtà ovattata, come se la vita reale fosse quella di Pokémon GO. Tutto ci scorre addosso, finché una cosa non succede sulla propria pelle tendiamo a rimanere indifferenti di fronte a qualsiasi scandalo, a qualsiasi vergogna, a qualsiasi ingiustizia. Nella vita e nello sport.

In pochi si stanno rendendo conto cosa sta accadendo in Italia in questi giorni. Tutti i benpensanti pronti a scandalizzarsi per Erdogan e per la Turchia, tutti i nostalgici che oggi – e soltanto oggi – scoprono che in realtà Marco Pantani non era un imbroglione che vinceva per il doping come ci avevano raccontato in quei giorni, ma è stato il più forte ciclista di tutti i tempi che ha regalato emozioni impareggiabili perchè era il più grande finché non è stato ucciso dalla camorra, con la complicità delle Istituzioni sportive. Oltre ad essere un grande campione, Pantani era anche un ragazzo debole che dopo quell’ingiustizia non s’è mai più ripreso fino al baratro della morte.

Per fortuna Alex Schwazer, il più grande marciatore di tutti i tempi, sembra umanamente più forte del Pirata. Ma questo non giustifica l’indifferenza con cui gli italiani stanno vivendo una delle più grandi vergogne della storia d’Italia, in cui si intrecciano strani giochi di potere e brutte storie di sport che non è sport.

Alex Schwazer è il più forte al mondo nella sua specialità, la marcia appunto. Almeno una medaglia d’oro (nei 50km) assicurata per l’Italia alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Perchè Alex è il più forte al mondo e l’ha dimostrato vincendo la medaglia d’oro a maggio ai mondiali di Roma, con oltre 3 minuti e mezzo di vantaggio sull’australiano Jared Tallent.

Aveva sbagliato Schwazer nel 2012: era caduto nella rete del doping ed è stato squalificato per oltre 3 anni e mezzo. Positivo all’eritropoietina, ha confessato tutto, è scoppiato in lacrime, si è recato nella caserma dei Carabinieri di Bologna e ha riconsegnato pistola e tesserino. Ma poi ha deciso di non abbandonare lo sport. Ha voluto scontare la sua pena per poi tornare più forte di prima (e soprattutto completamente pulito) per dimostrare che è il migliore anche senza doping. Una sfida prima con se stesso, poi con tutti gli altri.

Così Alex ha scelto di mettersi completamente nelle mani di Sandro Donati, noto allenatore che ha dedicato tutta la sua vita a combattere il doping nell’atletica leggera, nel calcio e nel ciclismo. Per questo motivo è abbastanza malvisto dall’ambiente sportivo e federale in genere: non ha mai avuto peli sulla lingua ed è stato pronto a denunciare qualsiasi anomalia. Il grande scandalo degli anni ’80 dell’atletica italiana è partito dalle sue denunce. Addirittura la squalifica di Schwazer nel 2012 è arrivata proprio a seguito di una denuncia effettuata dallo stesso Donati.

Schwazer ha deciso di collaborare con la giustizia e ha dato indicazioni importanti per smascherare il doping. Mettendosi nelle mani di Donati, ha dimostrato la propria volontà di tornare completamente pulito. Infatti si è reso reperibile 24h su 24, 365 giorni l’anno, a qualsiasi ora. Ha subito decine di controlli, un vero e proprio accanimento. Gli hanno citofonato a casa persino all’alba di Capodanno, 1° gennaio 2016. Quel campione era risultato negativo. Adesso, il 21 giugno, nel momento migliore per privarlo della partecipazione alle Olimpiadi, si scopre un’anomalia nel test di quella provetta per “lievi tracce di testosterone“. A parte il fatto che il testosterone non può favorire un atleta nella specialità di Schwazer (qualsiasi marciatore sarebbe folle a doparsi di testosterone), a parte il fatto che quel controllo era arrivato nella notte di Capodanno (ci facessero un prelievo a ognuno di noi all’alba del 1° gennaio chissà cosa verrebbe fuori…), a parte il fatto che quel controllo era risultato negativo, a parte lo strano percorso di quella provetta e numerose anomalie sulle modalità delle analisi, bisogna anche evidenziare come Schwazer da gennaio a oggi ha avuto altri 12 controlli antidoping, e in tutti i suoi valori sono risultati perfettamente in regola.

E’ evidente che Alex è pulito, ed è altrettanto evidente quello che sta succedendo. Donati ha denunciato minacce e ha spiegato che adesso teme anche per la sua vita e per quella della propria famiglia, accusando “consorterie criminali legate ad alcuni dirigenti della Federazione Internazionale di Atletica“. Donati ha segnalato all’autorità giudiziaria e alla commissione parlamentare antimafia due telefonate ricevute nei mesi scorsi, quando il suo interlocutore – un personaggio molto noto nel mondo dello sport – lo “consigliava” di tenere a freno Schwazer nelle competizioni dove sarebbe ricomparso dopo la lunga squalifica per il doping del 2012.

La prima è del 7 maggio scorso, a poche ore dalla Coppa del mondo di marcia di Roma sui 50 chilometri. Sono le 6,05 del mattino. Donati sta dormendo, lo squillo del telefono lo sveglia. Sente la voce di un giudice internazionale di marcia “molto vicino a Sandro Damilano” (allenatore della nazionale cinese e fratello del presidente della commissione marcia della Iaaf). L’uomo si scusa per l’ora, parla della serata precedente passata “con tutte le vecchie glorie” poi gli sussurra: “La prego, glielo dica (ad Alex Schwazer, ndr) ancora una volta fino a prima della gara, possibilmente lasci vincere Tallent, mi capisce?“. Jared Tallent è il marciatore australiano che appena un paio di settimane prima – il 28 aprile, giorno della fine della squalifica di Schwazer, aveva dichiarato: “Lui è la vergogna d’Italia, ora rientra lui e poi i russi: così è come ridere in faccia agli atleti puliti“. Il giorno dopo la telefonata mattutina – e dopo 3 anni e 9 mesi di squalifica – Alex Schwazer trionfa alle Terme di Caracalla. Seconda prestazione mondiale stagionale con 3h39’00, dietro di lui Tallent a più di tre minuti e mezzo.

La seconda telefonata ricevuta da Sandro Donati è del 23 maggio, cinque giorni prima della gara di La Coruna sui 20 chilometri. È sempre lo stesso giudice internazionale di marcia che richiama l’allenatore di Schwazer. Questa volta gli suggerisce di non rispondere agli attacchi di alcuni atleti, “e di non andare a cercare disgrazie con i due cinesi che sono da 1 ora e 17 minuti...”. A La Coruna il marciatore altoatesino arriverà secondo dietro il cinese Whang Zhen.

Repubblica ha lanciato un documentario dal titolo Operazione Schwazerle trame dei signori del doping, 20 minuti per ricostruire tutte le stranezze del controllo di Capodanno effettuato a Racines, il fondo melmoso dove si muovono alcuni personaggi dell’atletica italiana, i clamorosi casi di corruzione che coinvolgono i loro amici che erano ai vertici della federazione internazionale. E poi medici “supervisori” per l’antidoping sotto processo per avere favorito il doping, data-base con i nomi di tutti quelli in fila alla farmacia proibita, clan familiari dove spudoratamente si ritrovano controllori e controllati. Maurizio Damilano, presidente della commissione marcia della Iaaf, e suo fratello Sandro Damilano, allenatore della nazionale cinese. Quelli che adesso vinceranno l’oro olimpico di Rio, una volta fatto fuori il più forte. L’Italiano. Il nostro Alex Schwazer.

Ma è questa la nostra democrazia? Sono storie che stiamo vivendo in questi giorni, e ci lasciano indifferenti. Ci scandalizziamo per Erdogan e la Turchia, ma viviamo in un Paese senza libertà, senza diritti, senza un briciolo di meritocrazia. Siamo indifferenti persino alla drammatica fine di Maria Chindamo, l’imprenditrice scomparsa con ogni probabilità uccisa dalla ‘ndrangheta nel vibonese e mai più ritrovata.

Dopotutto è da 5 anni che la nostra “democrazia” si decide a tavolino. Altro che ErdoganGheddafi. Il Presidente della Repubblica lo vota il parlamento. I parlamentari li scelgono i partiti. E’ dal 2011 che si sono susseguiti tre governi (Monti, Letta, Renzi) tutti votati soltanto dai parlamentari. Sono passati cinque anni e non c’è un rappresentante governativo nazionale che sia stato eletto democraticamente dalla gente. E le ultime riforme, da quella del Senato che dovrà superare il Referendum dell’autunno per essere approvata, a quella delle Città Metropolitane già costituite, prevedono nuovi organi istituzionali i cui rappresentanti non saranno mai eletti dal popolo, ma nominati da altri politici (il 7 agosto le elezioni per il consiglio della Città Metropolitana di Reggio Calabria, voteranno i consiglieri comunali e non i cittadini). Come nelle antiche aristocrazie, che però almeno erano le caste dei nobili. Invece nelle caste dell’Italia del 2016 di nobile c’è davvero molto poco.

LaPresse/Reuters

Ma siamo bravissimi a  “farci gabbo” di Erdogan e della Turchia. Condividiamo i link sulle “violenze” dopo il tentativo del colpo di Stato così come mettiamo i colori della bandiera francese nella nostra immagine del profilo facebook dopo l’orrore del Bataclan. Ma poi lo scandalo di Schwazer e le lacrime del signor Alampi ci lasciano indifferenti. E forse è proprio per questo che l’abbiamo perduta, la nostra democrazia. Perché i primi protagonisti del lento ma inesorabile declino della nostra civiltà siamo proprio noi, con la nostra quotidianità impregnata di scetticismo, distacco, indifferenza e presunzione.

Se questa è la nostra “democrazia”…

Condividi