A Reggio Calabria omaggio a Muhammad Alì

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La figura di Muhammad Ali (Cassius Clay), il grande pugile di recente scomparso ma anche un campione dei diritti civili per gli Afroamericani , sarà al centro di un incontro  promosso dalla Sezione Giovanile dell’Associazione Anassilaos che si terrà martedì 14 giugno alle ore 18,00  con l’intervento di Tito Tropea e Giacomo Marcianò che anche attraverso l’uso di documenti  visivi si ripromettono di ripercorrere le fasi salienti della vita di uno dei personaggi che, al di là dello sport, ha rappresentato nella sua persona le contraddizioni della società americana, la più grande democrazia al mondo, che ancora oggi, pur avendo inviato alla Casa Bianca un presidente afroamericano, non ha risolto fino in fondo, a centocinquanta e più anni dalla Guerra di Secessione combattuta nel nome della liberazione dei neri dalla schiavitù,  il problema del razzismo. Cassius Clay è stata una delle vittime illustri di una tale “schizofrenia”. Campione del mondo e vanto del suo Paese poteva essere in quello stesso paese scacciato da un ristorante per bianchi così come tanti altri artisti di colore, cantanti celebri in tutto il mondo e con dischi in vetta alle hit parade, dovevano subire le umiliazioni dell’apartheid, a partire – in occasioni di concerti – dai bagni separati per bianchi e neri. Medaglia d’oro nella categoria dei pesi medio-massimi alle Olimpiadi di Roma del 1960 egli racconterà di aver gettato la medaglia nel fiume Ohio per protestare contro il razzismo del suo Paese dopo che un ristoratore rifiutò di servirlo in quanto nero (alle Olimpiadi di Atlanta del 1996 ebbe in dono una medaglia sostitutiva).

In più occasioni  Cassius Clay ebbe il coraggio e la determinazione, mettendo a repentaglio la sua attività sportiva, di denunciare il razzismo. Campione mondiale dei pesi massimi nel 1964, dopo aver sconfitto il campione in carica Sonny Liston, per essersi rifiutato di andare in Vietnam finì in carcere come renitente alla leva e perse il titolo. Quello che disse a proposito di tale rifiuto “Non sono andato in Vietnam perché credo che ognuno abbia il diritto di vivere tranquillo nella propria casa. Non vedo perché uno solo dei neri americani che sono privi della loro terra avrebbe dovuto andare a combattere contro chi stava tentando di difendere la propria terra” fece ancor più infuriare la parte più retriva dell’opinione pubblica americana che lo odiò profondamente.  Atti quelli di Clay che oggi sembrano naturali, quasi scontati,  ma che non lo erano negli Stati Uniti degli anni Sessanta. Nel 1962 Kennedy dovette inviare  i Federal Marshals (marescialli federali) in aiuto di James Meredith il primo afroamericano ad entrare nell’Università del Mississippi, divenendone il primo studente  afroamericano della storia e ancora nel 1963 (28 agosto)  Martin Luther King promosse quella grande marcia per i diritti dell’uomo fino a Washington a sostegno dei diritti civili ed economici per gli afroamericani.  La guerra del Vietnam – come ancora prima la 2^ Guerra Mondiale e quella di Corea – evidenziò anche nell’esercito statunitense forme  piccole e grandi di razzismo che erano – e sono tuttora-  il frutto della complessità sociale, razziale e culturale degli Stati Uniti, dove convivono  le posizioni politiche e culturali più avanzate e il conservatorismo più retrivo. Una democrazia di massa per la quale potrebbe valere la celebre espressione di Winston Churchill “la democrazia è la peggior forma di governo possibile” ovviamente con la sua chiusa “eccezion fatta per tutte le altre”. La figura di Cassius Clay incontra dunque la  storia del suo paese e al di là dei risultati propriamente sportivi egli ha contribuito all’affermazione dei diritti civili negli Stati Uniti

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