La prima ad intervenire è Manuela Porpiglia che da avvocato sottolinea la necessità per un ordinamento maturo di “legiferare su questi temi scottanti senza però ignorare le direttive europee che comunque fanno espresso divieto ai paesi dell’UE dell’utilizzo del proprio corpo o parti di esso a scopo di lucro e prodotti del proprio corpo”. La rappresentante della Fidapa continua denunciando come nei paesi extra UE “sta invece crescendo un vero e proprio mercato con regole e non regole perché siamo alla mercè di una evoluzione che tende ad accontentare una domanda ed un’offerta quasi come se fossimo su un libero mercato. Questo non valorizzando e tutelando i soggetti che sono i protagonisti del caso. Nel dibattito sulla maternità surrogata c’è un grande assente ossia la libertà di autodeterminazione dei singoli ed in particolare della donna”. La Porpiglia si domanda infatti se “una donna che ha difficoltà economiche o anche socio-culturali è veramente libera di prestare il proprio corpo o c’è un condizionamento forte?”. Segue Adriana Comi, invitata a portare la testimonianza di genitori di bambini ed adulti disabili. Questi, infatti, vengono spesso scartati dalla catena di produzione dell’utero in affitto perché il prodotto in gestazione non risulta conforme alla qualità richiesta dagli acquirenti. Ma sulla disabilità la Comi chiarisce che “il problema più grave è sociale perché se lo Stato facesse quello che deve fare per supportare le fasce più deboli e le famiglie ecco che il problema sarebbe ridotto di moltissimo. Se si facesse una seria politica del dopo di noi (genitori, nda) alle persone disabili sarebbe garantita una qualità della vita accettabile anche perché, quando si riesce a raggiungere un equilibrio con le malattie, le persone disabili sono come tutte le altre: hanno gioie e dolori. Forse sono anche più serene di tante altre”.
Prima dell’acceso dibattito che ha coinvolto anche i partecipanti in sala è intervenuto anche il professore Gorassini il quale ha subito premesso come la questione dell’utero in affitto bisogna inquadrarla in un contesto più ampio che è quello della procreazione medicalmente assistita. A questo punto Gorassini chiarisce che “in sé e per sé non è la biotecnologia, o le possibilità che la tecnica può dare a creare dei problemi. Così come la mercificazione che c’è stata è certamente un problema più generale della nostra società. Chi ha letto “La società liquida” di Bauman e l’ultimo libro “La cultura nell’età dei consumi”, tutto il modo di essere e di sopravvivere dell’uomo post moderno si proietta in una dimensione che è quella del consumo”. Secondo Gorassini, in una problematica molto ampia come questa affrontata, è fondamentale la prospettiva perché può completamente modificare il tipo di analisi che può essere fatta, e “l’unica prospettiva che in questo momento noi possiamo legittimamente prendere con certezza quasi complessiva e difficilmente contestabile da tutti (per affrontare il dibattito sull’utero in affitto, nda) è la prospettiva del figlio”.