“Mala Sanitas”: adesso non ci travolga il fatalismo anti-scienza

StrettoWeb

Il caso “Mala Sanitas” ha deluso e inorridito la città di Reggio Calabria. Non bisogna però condannare tutto il sistema sanitario per l’errore di alcuni suoi dipendenti

LaPresse/ Adriana Sapone

Delusione, rabbia, sdegno. Questi sono i sentimenti che animano il popolo reggino dallo scorso giovedì 21 aprile, che resterà nella storia come il giorno in cui è scoppiato lo scandalo noto con il nome dell’operazione giudiziaria “Mala Sanitas” a Reggio Calabria, nei reparti di Ostetricia e Ginecologia, di Neonatologia e di Anestesia del Presidio ospedaliero “Bianchi-Melacrino-Morelli.
Un’inchiesta portata avanti dalle Fiamme Gialle del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio, che ha visto decimare il personale del punto nascite reggino: un’ostetrica, un anestesista e ben nove medici sono attualmente agli arresti domiciliari o sospesi dall’esercizio della professione per 12 mesi, per provvedimento della magistratura.

Agghiaccianti le intercettazioni diffuse, in cui si sentono frasi e risate vergognose. Cartelle truccate per nascondere errori e negligenze, informazioni false date ai pazienti e ai loro familiari circa lo stato di salute in cui si trovavano gli interessati, e poi decessi: tanti, troppi quelli che fanno pensare “forse si poteva fare di più“. La rabbia (umana e condivisibile) degli inquirenti mentre in conferenza stampa raccontavano i particolari dei misfatti contestati ai medici, indica il tipo di lavoro magistralmente svolto dalla magistratura, in un contesto raccapricciante.
E mentre piovono le testimonianze di pazienti ed ex pazienti che si sono ritrovati in situazioni di difficoltà più o meno drammatiche, cresce l’indignazione dell’opinione pubblica che si sente tradita nel profondo. In situazioni di salute delicate, sono proprio i medici l’unica fonte di speranza per i pazienti e i loro cari. O almeno, così dovrebbe essere. Invece il caso “Mala Sanitas” ha freddato decine di cittadini che sarebbero stati in procinto di rivolgersi all’azienda ospedaliera per essere supportati e curati, costringendoli a fare dietro front e recarsi, sfiduciati, altrove: alla clinica privata Villa Aurora o alle altre strutture autorizzate di provincia, con conseguente caos nella gestione dei casi.

Una situazione che ha iniettato un gusto amaro nella bocca dei reggini, che adesso guardano alla sanità come a un campo minato, in cui non si può avere la certezza di come andrà a finire, finché non si poserà il piede a terra. E se fosse un passo sbagliato quello che si è appena scelto di fare? Sarebbe già troppo tardi.

Eppure non bisogna dimenticare che per tanti medici non degni di questa professione, esistono altrettanti, per fortuna molti di più, che invece non meritano di essere etichettati per colpa di colleghi disonesti, a volte perfino collegati con la malavita locale. La sanità vede tra le sue file grandi professionisti appassionati e motivati che lottano ogni giorno per la vita e la salute dei propri pazienti. Sono persone che comprendono l’importanza del proprio lavoro e la mettono davanti ad altri benefici collaterali che gli spettano per contratto.

Questi medici e professionisti della sanità porteranno ancora a lungo il proprio camice macchiato col sangue delle vittime innocenti dei colleghi sospesi, ma continueranno ad andare avanti a testa alta, consapevoli che soltanto il loro operato potrà riscattare l’immagine della medicina, riconquistando la giusta fiducia dei cittadini. Basti osservare i commenti dei lettori di StrettoWeb nell’articolo su Antonino Nicolò, neonatologo reggino molto apprezzato: Reggio parla di lui come di una persona meravigliosa, professore in gamba che ama il suo lavoro, sempre condotto con umiltà e senza far rumore, un professionista che guarda la gente senza cogliere alcun tipo di differenza. Emblema di tanti medici che lavorano con il cuore.
Non bisogna lasciare che lo sdegno offuschi la realtà: oggi l’aspettativa di vita è cresciuta del doppio rispetto ad appena un secolo fa e il merito è in gran parte dei successi che la medicina è riuscita a ottenere con le proprie ricerche e il proprio operato.

LaPresse/ Adriana Sapone

Purtroppo al sud Italia e in particolare nelle nostre Calabria e Sicilia, è facile ferirsi al punto da rinunciare alla fede nelle istituzioni e nelle strutture, oltre che nelle persone, forti anche di un’antica tradizione culturale fatalista e poco legata alla razionalità scientifica. Ma così come si ammette e si rivendica con orgoglio che essere calabresi non vuol dire essere ‘ndranghetisti, bisogna ricordare che non si può fare di tutta l’erba un fascio nemmeno davanti a orrori come il caso “Mala Sanitas“. Ne’ tanto meno ci possiamo fare travolgere dall’anti-scienza, affidandoci a stregoni e sciamani che ancora oggi propagandano credenze medioevali.

Sottolineato dal Sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, questo messaggio viene ricordato anche dall’Ordine dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri: “Riteniamo assolutamente ingeneroso che si faccia di tutta l’erba un fascio e che gli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, che al loro interno vantano numerose professionalità di eccelsa competenza, vengano bollati come “l’ospedale degli orrori”.  L’Ordine si è riferito inoltre a un “violento attacco mediatico” secondo loro “per larga parte ingiustificato“. Ma la diffusione di determinate notizie è necessaria per rispettare il diritto di ogni cittadino ad essere informato. Il rischio di scatenare il caos va controllato attraverso il genere di messaggi che si veicolano: bisogna dare informazioni reali, dire come stanno le cose, senza creare allarmismi laddove non sia strettamente necessario e allo stesso tempo senza scadere nell’omertà. E devono essere proprio i (tanti) medici onesti, appassionati, seri e professionali a prendere le distanze immediatamente non certo dalla stampa che fa semplicemente il proprio lavoro, bensì da quei colleghi che compromettono anche il lavoro quotidiano di chi opera con passione, amore e onestà. Perché quello schifo è una cosa, i veri medici un’altra. E i primi a delimitare il confine devono essere loro.

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