Reggio, Magro (Arci): “per un’agenzia dei beni comuni”

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“Venti anni di riutilizzo sociale dei beni confiscati, tempo di bilanci, ma anche e soprattutto di proposte. La spinta rivoluzionaria data dall’introduzione della legge 109 del ’96 sembra frenata da mille ostacoli, pastoie burocratiche, lotte di sistema e miopie di gestione. Quella che è stata una grandissima intuizione dell’associazione Libera, e che ha permesso di dare duri colpi alle cosche di ogni dove e al contempo dare vita all’antimafia sociale, necessita ormai di una riforma. Quel che oggi abbiamo è una mappa plastica, fisica, della diffusione delle mafie, da Nord a Sud, costellazioni di buone pratiche e galassie intere di fallimenti.  Nel libro “Per il nostro bene” (Chiarelettere), la giornalista Alessandra Coppola e l’avvocatessa Ilaria Ramoni compiono un vero e proprio giro d’Italia lungo le rotte dei beni confiscati, mettendo a nudo criticità e svelando vie per un possibile rilancio. Tanto che sulla partita dei patrimoni confiscati sembra davvero giocarsi il futuro della lotta alle mafie. O si vince o si chiude bottega. Sarebbero tanti gli spunti di riflessione, e parecchi alimentano già il dibattito attorno ai beni confiscati, a partire dalle aziende (da affidare ad amministratori con capacità manageriali), dai fondi ai Comuni (senza le ristrutturazioni, i beni sono un contenitore vuoto) e dal ruolo dell’Agenzia nazionale”, afferma in una nota Alessio Magro, dell’Arci Reggio. “È su questo punto – prosegue– che vogliamo provare a lanciare, dal profondo Sud, una proposta ardita. Come ha avuto modo di sottolineare il prefetto-manager Mario Morcone, l’Agenzia potrebbe essere una nuova IRI, tale è il patrimonio che si trova a dover gestire. Un organismo che, se messo in condizioni di operare con capacità di spesa e autonomia, potrebbe trasformare il volto del Paese in tempi rapidi. Non è utopia, è un progetto alla portata, che potrebbe autosostenersi e garantire lavoro ai giovani. E per questo occorre una nuova riforma, che ridisegni statuto, funzioni e dotazione dell’Agenzia. Non solo mezzi, ma anche uomini: meno prefetti e più professionisti, meno militari e più esperti, per sancire un cambio di mentalità. L’Agenzia – aggiunge– deve essere infatti un soggetto protagonista, dal sequestro all’avvio delle nuove attività sul bene confiscato, e non un organo burocratico che assegna e si lava le mani. A chi dovrebbe rivolgersi? In primo luogo ai Comuni, aiutandoli e perché no costringendoli a rispettare le proprie funzioni. Quindi all’associazionismo, quello esistente e quello potenziale, che ha le idee ma non sa davvero a chi rivolgersi per concretizzarle. Un’agenzia così concepita non potrà esistere senza il contributo permanente delle grandi realtà associative del Paese, che facciano da garanti per la buona riuscita delle mille iniziative sui territori. Ecco che una sorta di consiglio di gestione con i rappresentanti dell’associazionismo, dal livello nazionale a quello locale, darebbe linfa vitale a quella che potrebbe essere realmente un’Agenzia dei beni comuni, le cui competenze potrebbero allargarsi alla gestione del patrimonio dello Stato abbandonato o non valorizzato. Un nuovo protagonismo del terzo settore che potrebbe consentire alle stesse associazioni di svecchiarsi e rinnovarsi, aprendo le porte alle nuove leve dell’antimafia sociale”, conclude.

 

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