La “questione meridionale”, il parere di di Barbara Varchetta, Pubblicista ed esperta di Diritto e questioni internazionali, all’agenzia di stampa Dire
Varchetta nella sua analisi non risparmia le stoccate a chi considera il Sud soltanto una zavorra: “Espressioni come “vicinanza dello Stato”, “immane azione repressiva contro i clan”, “carcere duro per i boss”, “sequestri di tonnellate di sostanze stupefacenti mettono in ginocchio la mafia” corrono il rischio di apparire assai vuote per i cittadini di molte regioni, specie del Sud, in cui, latitando il potere statuale, si è costretti a sottomettersi a quello criminale. Spesso ci si chiede cosa sarebbe stato il Meridione se avesse potuto contare non tanto su quella che può definirsi “elemosina pubblica” quanto piuttosto su veri investimenti in infrastrutture e servizi, ben controllati dal sistema centrale (proprio a scongiurarne l’illecita gestione), costantemente monitorati sino al naturale completamento, sottratti per quanto possibile alle infiltrazioni mafiose. Ebbene, forse sarebbe stato uno dei luoghi più incantevoli e desiderabili del mondo…Invece, in meno di un secolo, il Sud ha assunto le sembianze di un giardino incolto, abbandonato a se stesso, incapace di rifiorire a causa dell’incuria a cui lo stesso Stato , che avrebbe dovuto seguirne le evoluzioni e lo sviluppo, lo ha condannato. E che mai si dica che i cittadini meridionali amano vivere di espedienti e raggiri, di delinquenza e guadagni facili: si ridurrebbe la Questione Meridionale ad una bagarre da reality show“.
“Coerenti politiche del lavoro (che al Sud sembrano non decollare mai), grandi investimenti industriali (preferibilmente non tanto inquinanti da uccidere i lavoratori e gli abitanti dei territori adiacenti agli stabilimenti), incentivi economici (ben distribuiti ed elargiti soltanto a fronte di spese reali, e soprattutto a sostegno di progetti compatibili con il territorio a cui sono destinati), diffusione dellacultura, intesa prima di tutto come scolarizzazione e poi come dibattito su legalità, onestà, rettitudine e su tutti quei meravigliosi temi che può comprendere soltanto chi non conosce le condizioni di bisogno, povertà, ignoranza, costrizione, paura: è quanto serve al Meridione per rialzarsi. Quella che viene distrutta ad ogni atto criminale è la speranza che questa terra ritorni ad essere “normale”, un posto in cui non sia il terrore a farla da padrone, in cui non sia la rassegnazione il sentimento più diffuso anche nelle giovani generazioni, di cui non ci si debba vergognare anche solo pronunciandone il nome. Ciò che non giova, infine, è il rimpallo di responsabilità a tutti i livelli, la ricerca di un unico capro espiatorio che esoneri gli altri dai medesimi inadempimenti, l’individuazione di teoremi non risolutivi né realistici ai soli fini di consegnare alla giustizia dei colpevoli molto spesso inconsapevoli, la spettacolarizzazione di attività che per definizione dovrebbero rimanere riservate fino al raggiungimento dell’obiettivo“.
Poi un indirizzo alle possibili soluzioni: “L’Italia ha bisogno di sinergie. Ed allo stesso tempo, che ciascuno assolva al proprio ruolo senza travalicare quello altrui. La criminalità organizzata non sarà sconfitta semplicemente pretendendo dalle Forze dell’Ordine un impegno smisurato (non sostenuto peraltro da adeguate garanzie e da una giusta retribuzione economica) nonchè accompagnato da un continuo sacrificio personale e familiare; né si vincerà la guerra contro il crimine imponendo alla Magistratura un sovraccarico di indagini e processi tale da non consentire, neanche a chi volesse operare senza soluzione di continuità tra il giorno e la notte, di alleggerirlo. E non ci si illuda che dei giovanissimi, inesperti militari posti a presidiare le zone critiche delle città riescano ad arginare la ferocia delle mafie al punto da rappresentare un valido deterrente al loro agire. In tal senso, appare urgente l’approvazione di rinnovate misure ad hoc tese a ridurre questo fenomeno che non ha eguali nel suo genere e che, proprio in forza della sua ramificazione estesa oltre qualsivoglia confine geografico, riesce ad eludere anche le più decise pressioni statali. Rivedere i criteri del 416 bis, inasprire le pene per i reati anche prodromici a quelli di chiaro stampo mafioso, rendere le misure di prevenzione più agili ed attuabili in tempi brevissimi (lo stesso valga per i beni confiscati), non sottovalutare la possibilità di una spending review mirata ad annientare i veri sprechi nel settore Giustizia/Interno a tutto vantaggio di investimenti in risorse umane e mezzi, unica reale carenza del sistema. E infine, mettere al centro dell’azione investigativa la ricerca informativa sul campo, quella fatta di contatti diretti, pedinamenti, indagini alla vecchia maniera, ormai quasi accantonata a vantaggio di altri sistemi più moderni ma nient’affatto efficaci. Anche il nostro ben strutturato sistema di Intelligence, coinvolto in maniera più specifica, potrebbe fare la differenza nelle fasi di controllo ed infiltrazione della più pericolosa compagine criminale attualmente esistente“.