L’ex sindaco nella bufera dopo il suo passaggio in Forza Italia: il commissario cittadino sputa veleno. Eppure Genovese è stato segretario regionale, non esattamente l’ultimo dei lacchè
Parole come macigni. Ernesto Carbone, commissario del Pd messinese, non usa mezzi termini per commentare la giravolta di Francantonio Genovese, ex dominus delle primarie, passato armi e bagagli nelle fila di Forza Italia. “Il Pd non è un tram su cui salire o scendere a proprio piacimento” ha osservato Carbone rammentando il dettato del codice etico sottoscritto da tutti i dirigenti. “Non siamo tutti uguali, né i politici e né i partiti. E quel passo indietro, quel restare ai margini in un momento buio, in un momento difficile per tutti, non solo per Genovese, sarebbe stato doveroso – nel più totale garantismo – per non creare alibi e chiacchiere inutili“.
Genovese ha intrapreso un cammino diverso, scoprendo una sinergia politica con la realtà di Miccichè, come vi abbiamo raccontato su queste colonne. Un atto che non è stato digerito da chi, in città, è chiamato a mettere ordine nelle beghe di un partito da tempo avvitato su se stesso.
Da qui alla scomunica il passo è breve: per Genovese, a giudizio di Carbone, “l’importante è poter esserci. Continuare ad esercitare il proprio potere, continuare a muovere i fili di una città che non ha più intenzione di fingersi un burattino nelle mani del proprio Mangiafuoco. Il vuoto lasciato a Messina è molto più che un vuoto politico. È stato un vuoto di idee, di slancio, di rinascita. Una città ripiegata a fatica su stessa. Che adesso però ha ricominciato a camminare. A vigilare. A voler contare. E non più solo tessere”.
Ma è davvero così semplice? Basta davvero così poco per concludere una stagione forse non esaltante, ma di sicure vittorie elettorali? Questo è il punto. Perché Francantonio Genovese, di là dagli accoliti che popolano il Consiglio e che continuano ad avere un’influenza fondamentale negli equilibri di Palazzo Zanca, per il Pd di Messina non è stato una figura marginale, il cui allontanamento può essere salutato con una scrollata di spalle, con parole al vetriolo divulgate a mezzo stampa.
Renzi, che pure sembra non averlo mai avuto in simpatia, giunse in città e sfilò accanto a lui per sponsorizzare la candidatura di Calabrò. Passaggi significativi nella storia recente, che oggi sembrano distanti anni luce e che Carbone vuole relegare nell’oblio. Servirà, però, uno sforzo maggiore rispetto alle battute di circostanza, perché il Pd orfano della sua guida si scopre adesso come un soggetto a trazione centrifuga, ove molte correnti con pochi voti si muovono in ordine sparso. Non a caso l’ombra di Beppe Picciolo, leader regionale di Sicilia Futura, diventa nelle ultime ore sempre più insidiosa e rischia, con una clamorosa confluenza, di far saltare il banco fra gli attuali cacicchi, supplendo sì in termini di voti, ma rivoluzionando profondamente l’immagine del movimento tanto in città quanto in provincia.
Intanto anche sul versante opposto si registrano dei dissensi: dopo anni spesi a difendere l’idea del Ponte, Forza Italia si ritrova in balia di chi quel progetto infrastrutturale, forse anche per conflitto d’interessi, lo ha sempre osteggiato. Una situazione curiosa, perché se il Pd è chiamato a ricostruire la propria identità partendo dalle certezze romane, e di là dai tentennamenti peloritani, Berlusconi segue diametralmente il percorso inverso: ripartendo dal territorio il Cavaliere opta per un’unione nella diversità, anche forzata, tutto purché si torni competitivi.