Messina: la Street Art sì, ma no agli scarabocchi sui muri

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Dopo il plauso (quasi) comune rivolto alle recenti opere di Street Art fatte sui muri di alcuni palazzi comunali, si torna a parlare di arte e decoro: “vanno bene le opere, ma le scritte senza senso no”

Messina e la Street Art hanno costituito un corposo capitolo di discussione all’interno dei salotti messinesi: già nella nostra indagine dei giorni scorsi sulla percezione di quest’arte da parte dei cittadini, avevamo evidenziato come parte della popolazione si mostrasse positiva al fatto che essa fosse inserita all’interno di un piano comunale: insomma, come se ciò la legalizzasse. Proprio in questi giorni si fa sentire l’esigenza di tornare a parlare di quest’argomento, dopo l’annuncio fatto dall’associazione L’Altra Messina, che ha organizzato, per questo sabato, una manifestazione all’interno della Galleria Vittorio Emanuele III, durante la quale si cercherà di riportare la Galleria “al suo naturale ed antico splendore”, ripulendo le pareti dalle scritte prepotenti e indecorose che le popolano al momento.

Qui sorge spontanea la domanda: cosa il messinese considera Street Art e cosa no? La scritta volgare “per puledre” o quella alla 3 metri sopra il cielo recitante “6 la mia vita” non è Street Art, non è manifestazione di un sentimento, di una necessità, o un invito ad usufruire di un servizio. Essa si codifica semplicemente come l’espressione di qualche teppista sgrammaticato e irrispettoso del decoro pubblico. Insomma, una mania da ragazzini scapestrati dell’età contemporanea. Non sta a noi dire se questo pensiero sia corretto o meno: siamo certi unicamente del fatto che il rispetto della cosa pubblica è un’entità tanto auspicata idealmente quanto aborrita fattivamente. Ma chi s’illude che questa “mancanza di rispetto” risalga all’epoca dei nostri giovani senza uno scopo nella vita, si sbaglia. Si prenda ad esempio questo graffito: “Il reziario Cresce(n)s, il dottore delle ragazze della notte, della mattina e di tutto il resto”. A prima vista, potrebbe apparire come la volontà superomistica di affermare la propria virtù più mascolina espressa da qualche giovinastro d’oggi: in realtà, essa risale ai tempi vetusti dell’antica Pompei. Oggi, iscrizioni come questa sono collezionate e contenute in approfondimenti scientifici ad hoc. Se L’Altra Pompei li avesse eliminati ristuccando le pareti, oggi non ne avremmo menzione e l’archeologia non ci avrebbe offerto motivo per sorridere. Cosa vogliamo dire con questo? Che è giusto imbrattare i muri? Assolutamente no: piuttosto, che ci sono sempre due facce della medaglia.

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