Masterplan per il Sud, il Governo esclude Messina: nuovo schiaffo alla città senz’acqua dimenticata da tutti

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Messina, ennesimo schiaffo alla città: completamente esclusa dal “Piano per il Sud” del Governo

Messina dimenticata da tutti. La città peloritana, tredicesima d’Italia per popolazione, terza della Sicilia dov’è riconosciuta Città Metropolitana regionale, è stata completamente esclusa dal “Masterplan per il Sud” di cui il governo ha presentato le Linee Guida (che pubblichiamo integralmente nell’articolo). Un paradosso, perchè proprio l’idea del Masterplan era nata dall’iniziativa dei parlamentari messinesi Garofalo e D’Alia. Nel piano viene invece inserita Taranto, che Città Metropolitana non è, mentre si perde per l’ennesima volta la grande occasione di un coordinamento comune tra Reggio e Messina per l’Area dello Stretto, tanto discussa da tutti ma soltanto a parole e destinata per l’ennesima volta a rimanere un’effimero progetto di sempre più rari sognatori.

Ecco le linee guida del Governo con il Masterplan per il Mezzogiorno:

L’analisi, le riflessioni e le proposte che seguono introducono il Masterplan fornendo, senza la pretesa di essere esaustive, il quadro di riferimento entro cui si collocheranno  le scelte operative che sono in corso di definizione nel confronto Governo-Regioni-Città Metropolitane sui 15 Patti per il Sud. Il Masterplan non è un esercizio accademico ma un processo vivo di elaborazione condivisa con istituzioni, forze economiche e sociali, ricercatori, cittadini. In questo spirito, questa introduzione è aperta ai contributi che verranno da tutti coloro che vogliono scrivere con noi una pagina nuova per il Mezzogiorno d’Italia.

Premessa

Se nel periodo 2001-2013 è tornato ad allargarsi il divario di produzione e reddito tra Mezzogiorno e Centro-Nord, oggi si avvertono alcuni primi segnali positivi: nel secondo trimestre di quest’anno l’occupazione (+2,1% nel Mezzogiorno contro +0,8% in media nazionale) come pure le esportazioni verso i mercati internazionali (+7% al Sud nel primo semestre contro +5% nazionale) sono aumentate in misura maggiore nel Mezzogiorno rispetto alla media nazionale. Sappiamo bene che questi segnali si innestano su una situazione di partenza più arretrata: il Pil prodotto nel Mezzogiorno è pari solo al 20% del Pil nazionale; la quota del nostro export prodotta nel Sud è ancora più bassa, il 10%; il tasso di occupazione è il 42,6% contro un dato nazionale al 56,3. Ma sono segnali da non sottovalutare, perché ci dicono che l’economia del Mezzogiorno è una realtà viva, con potenzialità che vanno valorizzate proprio per invertire la tendenza e recuperare il divario rispetto al Centro-Nord. Di più: l’economia italiana nel suo insieme ha bisogno che il Mezzogiorno cambi passo e diventi un’area di crescita che interagisca positivamente con l’economia del resto del Paese, sia in termini di apporto alla produttività complessiva dell’economia italiana e di competitività e capacità di esportazione sia in termini di ampliamento del mercato interno.
Il Masterplan per il Mezzogiorno deve partire da qui, dai punti di forza e di vitalità del tessuto economico meridionale – aerospazio, elettronica, siderurgia, chimica, agroindustria, turismo, solo per citarne alcuni – per collocarli in un contesto di politica industriale e di infrastrutture e servizi che consentano di far diventare le eccellenze meridionali veri diffusori di imprenditorialità e di competenze lavorative, attrattori di filiere produttive che diano vita a una ripresa e a una trasformazione dell’insieme dell’economia del Mezzogiorno. Tenendo presente che poggia su una dotazione economica consistente: parliamo – come più avanti vedremo meglio nel dettaglio – di circa 95 miliardi, da qui al 2023, da destinare allo sviluppo.
Si tratta di un progetto che non cala dall’alto le soluzioni ma fa leva sulle capacità e sulla voglia di mettersi in gioco dei cittadini e delle istituzioni meridionali: mettere in movimento la società civile del Mezzogiorno affinché diventi protagonista di una nuova Italia, l’Italia della legalità, della dignità del lavoro, della creatività imprenditoriale, in una parola del progresso economico e civile.

Ricomincio da tre

Non si parte da zero! Il Governo e le istituzioni regionali e locali non sono stati fermi ma hanno già operato su almeno tre terreni fondamentali per ridare speranza al Mezzogiorno d’Italia, tre terreni molto concreti di azione meridionalista.
Il recupero del ritardo nell’utilizzo dei Fondi strutturali stanziati nel ciclo di programmazione europea 2007-13: la percentuale di utilizzo dei Fondi lasciata in eredità dal Governo Berlusconi era solo del 15% al 31 dicembre 2011, cioè al termine del quinto anno del periodo programmatorio; al 30 giugno scorso siamo arrivati all’80% e stiamo lavorando con Ministeri e Regioni responsabili dei programmi per arrivare al 100% di utilizzo dei Fondi entro la scadenza del 31 dicembre 2015. E’ un obiettivo molto impegnativo e difficile, a causa dei ritardi del passato, ma noi siamo impegnati al massimo: abbiamo costituito, d’accordo con la Commissione Europea, task-force dedicate per ognuna delle Regioni in ritardo e stiamo sollecitando e supportando le Regioni e gli Enti Locali ad accelerare l’utilizzo dei fondi. Si tratta di una operazione fondamentale affinché il Mezzogiorno non perda le risorse stanziate dalla Commissione Europea e dal Governo nazionale.
L’avvio della Programmazione 2014-20: a oggi abbiamo già ottenuto l’approvazione da parte della Commissione di 49 programmi nazionali e regionali sui 50 previsti; puntiamo a far approvare anche il cinquantesimo entro fine anno. Potremo così cominciare a utilizzare i nuovi Fondi immediatamente dopo la rendicontazione di quelli 2007-13, ossia a partire dall’inizio del 2016. Una componente rilevante della “cassetta degli attrezzi” è quindi già pronta.
La risposta alle crisi aziendali: siamo intervenuti, con strumenti come i contratti di sviluppo e gli Accordi di programma, a fronteggiare situazioni di crisi di singole aziende e di aree a rischio di desertificazione industriale. L’obiettivo è stato ed è quello di salvaguardare le possibilità di recupero per parti importanti del tessuto produttivo meridionale, precondizione per mantenere aperta la prospettiva di una più generale ripresa produttiva e occupazionale. Si pensi, per limitarci ad alcuni esempi, a crisi come quella della ex Micron di Avezzano, della Whirlpool e della Firema di Caserta, della ex Irisbus di Avellino, dell’Ilva di Taranto, della Bridgestone di Bari, della Natuzzi nelle Murge, dell’Ansaldo Breda di Reggio Calabria, della ex Fiat di Termini Imerese, della conversione alla chimica verde dei poli di raffinazione di Gela e di Porto Torres, della ripresa dell’Eurallumina di Portovesme. E si pensi agli Accordi di programma e ai Protocolli d’intesa per aree di crisi industriale come Taranto, le Murge, Gela, Termini Imerese, il Sulcis, Porto Torres, le cinque aree individuate in Campania.
Si tratta ora di dare un respiro più ampio a queste azioni nel quadro di una più generale politica per il Mezzogiorno. Ma attenzione, non un “libro dei sogni” ma una politica fatta di obiettivi concreti, di strumenti realmente attivabili, di impegni verificabili.

Una politica industriale per il Mezzogiorno

L’esperienza passata della Cassa per il Mezzogiorno e delle Partecipazioni Statali si è caratterizzata per il tentativo di portare dall’esterno del tessuto economico meridionale iniziative produttive che costituissero “poli” di sviluppo per il resto del territorio: senza nulla togliere a quell’esperienza, che ha contribuito a formare competenze lavorative e cultura industriale che oggi possono fare da base per la nuova fase di cui c’è bisogno, resta il fatto che i “poli” non sono stati in grado di generare un tessuto produttivo articolato e completo e che il panorama dell’economia meridionale è rimasto a macchie di leopardo.
Il Masterplan, come si è detto, deve invece partire dai punti di forza del tessuto economico meridionale per valorizzarne le capacità di diffusione di imprenditorialità e di competenze lavorative e per promuovere l’attivazione di filiere produttive autonomamente vitali.
Il primo tassello del Masterplan riguarda allora le condizioni di contesto, che possiamo articolare in due ambiti: le regole di funzionamento dei mercati e la predisposizione di fattori di produzione comuni, ossia infrastrutture e capitale umano.
Per quanto riguarda le regole, il Masterplan parte dall’azione di liberalizzazione e riforma dei mercatiimpostata dai governi di centrosinistra della seconda metà degli anni Novanta e punta per un verso, abbattendo le protezioni monopolistiche e le rendite grandi e piccole, a dare spazio a tutti coloro che mettano in gioco le proprie capacità imprenditoriali e lavorative e, per altro verso, a mettere in motoprocessi di aggregazione delle aziende di servizio pubblico locale per farne realtà dinamiche che, dando respiro industriale ai servizi, ne accrescano l’efficienza e l’efficacia nel rispondere ai bisogni delle comunità locali. In questo quadro, giocano un ruolo essenziale anche le nuove regole fiscali che stiamo costruendo e che puntano a sostenere la capitalizzazione delle imprese – come la cosiddetta ACE che intendiamo rafforzare ulteriormente – e a rendere più attrattivo l’investimento – come la riduzione dell’IRES varata con la Legge di Stabilità. E giocano un ruolo essenziale regole di funzionamento dei mercati finanziari – Fondo Centrale di Garanzia, minibond – e azione dei soggetti bancari – come la Banca per il Mezzogiorno – che sostengano l’accesso al credito per tutte le imprese sane.
Per quanto riguarda i fattori di produzione comuni, l’attenzione va posta prima di tutto su scuola e formazione come settori essenziali non solo per la qualità della vita dei cittadini ma per la formazione del fattore di competitività proprio di una economia avanzata, ossia il fattore umano. Qui ci vuole insieme severità – nel senso che al Mezzogiorno più che altrove è necessaria la svolta che porti il sistema educativo a valorizzare il merito – e riequilibrio nelle risorse di finanziamento e di docenza verso i territori più arretrati: si tratta di utilizzare la riforma della Buona Scuola come leva decisiva in questa direzione. E si tratta di utilizzare i Fondi europei dei Programmi operativi nazionali “Per la Scuola” e “Sistemi di politiche attive per l’Occupazione” per curare la riqualificazione dei lavoratori e la loro occupabilità.
E grande attenzione deve essere posta al superamento del gap infrastrutturale che separa il Sud dal resto del nostro Paese. Serve una svolta nella capacità di direzione pubblica: capacità di programmazione(le riprogrammazioni che si sono rese necessarie per accelerare l’utilizzo dei Fondi europei 2007-13 segnalano errori di programmazione che non devono ripetersi con i Fondi 2014-20); semplificazioneamministrativa, sfoltimento dei vincoli normativi e regolamentari e attribuzione chiara di responsabilità a ogni amministrazione; riforma del Titolo V della Costituzione in modo da superare le sovrapposizioni di competenze tra livelli di governo. E’ ora di mettere la parola fine a incertezza regolatoria e costi collaterali che aumentano l’onere per la collettività e azzoppano la possibilità stessa di realizzare le infrastrutture: abbiamo cominciato con lo Sblocca Italia e dovremo procedere con operazioni di snellimento radicali. E inoltre, facendo leva sull’efficacia di una regolazione stabile e forte, fare delle risorse pubbliche italiane ed europee la leva per mobilitare risorse private nella realizzazione di progetti al servizio dell’interesse generale. Un ruolo chiave in questa direzione svolgeranno Cassa Depositi e Prestiti e Banca Europea degli Investimenti.
Il Governo è impegnato a definire e attuare – anche con l’apporto di imprese partecipate dallo Stato (Terna, Snam, FS, Anas) – progetti infrastrutturali decisivi per connettere il Mezzogiorno al resto del Paese, all’Europa, ai mercati internazionali: dal Piano Banda Ultralarga – per il quale sono state già stanziati 3,5 miliardi sul Fondo Sviluppo e Coesione e 2 miliardi sui Programmi Operativi Regionali – all’Alta Velocitàsugli assi adriatico e tirrenico e sulla Napoli-Bari-Taranto e all’ammodernamento del sistema ferroviario in Sicilia e Sardegna; dal Piano della portualità e della logistica – che punta a fare dell’Italia e in particolare del Mezzogiorno un hub delle merci per tutta l’Europa – al Piano degli aeroporti che rafforza le linee da e per il Sud e al risanamento e sviluppo degli assi viari portanti; dalle interconnessioni che superano i principali colli di bottiglia che ostacolano il funzionamento del sistema elettrico alle infrastrutture del gas – rigassificatori, interconnessioni con l’estero, dorsale Sud-Nord – che aumentano la sicurezza degli approvvigionamenti di tutte le regioni e, aumentando la concorrenza, riducono il prezzo del gas.
E poi c’è la cura delle capacità innovative – tecnologiche e organizzative – del sistema produttivo meridionale: qui sarà fondamentale la finalizzazione al sostegno delle iniziative imprenditoriali più avanzate del Programma operativo nazionale Ricerca e Competitività, mentre il PON Cultura svolgerà un ruolo fondamentale di sviluppo degli attrattori culturali di cui il Mezzogiorno è ricco per la diffusione di attività turistiche che valorizzino le peculiarità del territorio.
Allo sviluppo del tessuto produttivo meridionale daranno poi un forte contributo le iniziative delle imprese partecipate da soggetti pubblici. Parliamo in particolare del ruolo di Finmeccanica nei settori ad elevata innovazione tecnologica, di quello di Fincantieri nel settore navi e piattaforme off-shore, di quello di ENELnel settore delle rinnovabili e del gas, di quello di ENI nella conversione alla raffinazione e alla chimica verde. Però, con un’avvertenza decisiva: le imprese di cui stiamo parlando sono e devono restare soggetti “orientati al mercato”. E non solo perché lo Stato è azionista di riferimento ma non esclusivo e solo l’orientamento al mercato consente a quelle imprese di reperire le risorse finanziarie necessarie a sostenere programmi di investimento e innovazione decisivi nello scenario competitivo internazionale, ma perché così vuole lo stesso interesse pubblico che presiede alla partecipazione azionaria dello Stato: solo iniziative produttive capaci di essere competitive e quindi di stare sul mercato e di crescere possono garantire prospettive produttive e occupazionali durature. Il ruolo della partecipazione azionaria pubblica sta nel far sì che quelle imprese internalizzino una missione di interesse generale operando però sul mercato e secondo regole di mercato. Nonché con una ulteriore avvertenza: la stessa impostazione di una strategia industriale d’impresa può passare per la cessione di aziende o di quote di capitale orientata a dar vita a un assetto azionario che rafforzi il posizionamento di mercato e assicuri una riorganizzazione produttiva adeguata.
Fin qui per le imprese partecipate dallo Stato. Il tema principale con cui devono misurarsi le partecipate locali, in particolare nel settore dei servizi di pubblica utilità, è soprattutto quello del superamento della frammentazione protezionistica e dell’aggregazione su dimensioni industriali efficienti. Un ruolo importante di supporto al riguardo potranno svolgere le grandi multiutility del Centro-Nord, che quei processi di aggregazione hanno già vissuto, ma un ruolo altrettanto importante possono svolgere le realtà meridionali di maggior dimensione e tradizione industriale.

Le risorse e la Governance

Un cosa va detta con chiarezza: non sono le risorse che mancano. Tra Fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-20 pari a 56,2 miliardi di euro, di cui 32,2 miliardi di euro europei e 24 miliardi nazionali, cui si aggiungono fondi di cofinanziamento regionale per 4,3 miliardi di euro, e Fondo Sviluppo e Coesione, per il quale sono già oggi disponibili 39 miliardi di euro sulla programmazione 2014-20, stiamo parlando di circa 95 miliardi di euro a disposizione da qui al 2023 per politiche di sviluppo. E’ la capacità di utilizzarli che è mancata per decenni, come testimonia il ritardo accumulato fino al 2011 nella spesa dei Fondi europei e il fatto che a tutt’oggi il Fondo Sviluppo e Coesione abbia una disponibilità residua relativa ai cicli di programmazione 2000 – 2006 e 2007 -2013 per circa 17 miliardi che, per inciso, porta la capacità di spesa sul territorio  da qui al 2023 a 112 miliardi. Il Governo, come dimostra il recupero di capacità di spesa dei Fondi 2007-13, sta operando per riattivare la capacità di utilizzare le risorse disponibili.
In funzione di questa ripresa di capacità attuativa, con la Legge di Stabilità 2016 il Governo ha attivato in sede europea la clausola investimenti – la cui istituzione è dovuta all’azione italiana durante il semestre di Presidenza dell’Unione – che mette a disposizione nel 2016 uno spazio di bilancio di 5 miliardi di euro utilizzabili per spendere le risorse nazionali destinate a cofinanziamento dei Fondi strutturali o di investimenti nelle reti di rilevanza europea o di investimenti supportati dal Piano Juncker. L’effetto leva potenziale è in grado di mettere in gioco nel solo 2016 investimenti per oltre 11 miliardi di euro, di cui almeno 7 per interventi nel Mezzogiorno. Abbiamo così creato gli spazi di bilancio affinché gli stanziamenti diventino spesa effettiva, risorse realmente a disposizione del Mezzogiorno nel 2016. Risorse che saranno essenziali anche per mobilitare capitali privati, nazionali e internazionali, che vogliano cogliere le opportunità di crescita del Mezzogiorno. E’ questa la base finanziaria di partenza del Masterplan: uno sforzo di investimenti mai realizzato in passato in un solo anno; uno sforzo finalizzato a sbloccare anche per gli anni successivi gli investimenti nel Mezzogiorno. 
Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo lavorare sulla Governance e sulla capacità amministrativa.
Sulla Governance, oltre che con le semplificazioni e l’opera di chiarimento circa la ripartizione di responsabilità tra le amministrazioni, il Governo interverrà costituendo e guidando la Cabina di RegiaStato-Regioni del Fondo Sviluppo e Coesione, che dovrà allocare le risorse in modo da massimizzare le sinergie con i Fondi strutturali allocati sui Programmi operativi nazionali e regionali. La Cabina di Regia si avvarrà del Dipartimento per le politiche di coesione e dell’Agenzia per la coesione territoriale delle cui strutture si sta accelerando il completamento, nonché di Invitalia e dei suoi strumenti di intervento. Cabina di Regia, Dipartimento e Agenzia lavoreranno a stretto contatto con le amministrazioni centrali e con quelle regionali e locali per dare impulso all’azione amministrativa e per rimuovere ostacoli procedurali e accelerare i processi autorizzatori. Ma qui si pone il problema decisivo di una collaborazione attiva delle amministrazioni regionali e locali. A questo tema della cooperazione interistituzionale sono dedicati i Patti per il Sud.

I Patti per il Sud

Il Governo si è attivato per costruire 15 Patti per il Sud, uno per ognuna delle 8 Regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) e uno per ognuna delle 7 Città Metropolitane (Napoli, Bari, Taranto, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Cagliari). L’obiettivo è proprio quello di definire per ognuna di esse gli interventi prioritari e trainanti, le azioni da intraprendere per attuarli e gli ostacoli da rimuovere, la tempistica, le reciproche responsabilità.
Ognuno dei Patti si struttura in quattro capitoli:

  • la visione che la Regione o la Città ha del proprio futuro e che condivide col Governo (aree di industrializzazione o reindustrializzazione, bonifiche e tutela ambientale, agricoltura e industria agroalimentare, turismo e attrattori culturali, servizi e logistica, infrastrutture e servizi di pubblica utilità);
  • ricognizione degli strumenti e delle risorse a disposizione (interazione tra PON e POR, intervento centrale col Fondo Sviluppo e Coesione, Accordi di Programma tra le istituzioni coinvolte e Contratti di Sviluppo con le imprese del territorio, altri strumenti a disposizione di Invitalia);
  • gli interventi prioritari perché rappresentativi della nuova direzione di marcia che si vuole imprimere alla Regione o alla Città e della potenzialità nell’attrazione di capitali privati nonché della tempistica di realizzazione (Governo e amministrazioni regionali e locali si impegnano qui su tempi e azioni da mettere in campo per realizzare gli interventi indicati e rimuovere gli ostacoli che potranno insorgere);
  • Governance del processo, snellimenti amministrativi, definizione delle reciproche responsabilità, individuazione di un responsabile chiaro dell’esecuzione del Piano.

I Patti declinano concretamente gli interventi che costituiscono l’asse portante del Masterplan.

I PATTI PER IL SUD

Questa sezione vedrà inseriti i singoli Patti via via che saranno definiti dal lavoro comune Governo-Regioni-Città Metropolitane.
L’obiettivo è di sottoscriverli entro fine dicembre in modo che il Masterplan sia operativo dal 1 gennaio 2016.

Patto per l’Abruzzo
Patto per il Molise
Patto per la Campania
Patto per la Basilicata
Patto per la Puglia
Patto per la Calabria
Patto per la Sicilia
Patto per la Sardegna
Patto per Napoli
Patto per Bari
Patto per Taranto
Patto per Reggio Calabria
Patto per Catania
Patto per Palermo
Patto per Cagliari

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