Ecco come il Ponte avrebbe salvato (e può salvare) lo Stretto dal dissesto idrogeologico: la vergogna è dire “no”

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Messina senz’acqua, frane e dissesto: tante polemiche sul Ponte che avrebbe salvato lo Stretto e che può ancora farlo, ma intanto la rete di monitoraggio ambientale realizzata negli anni per il progetto è già stata smantellata

Avevano fretta di liberarsi di tutto ciò che “puzzava” di Ponte. Persino la rete di monitoraggio ambientale installata per salvare lo Stretto dal dissesto idrogeologico è stata smantellata in fretta e furia nel 2013, dopo lo stop imposto dal governo tecnico guidato da Mario Monti all’iter progettuale che nel 2011 aveva raggiunto una fase avanzata. Le vittorie elettorali dei “No-Ponte” Crocetta e Accorinti hanno fatto il resto.

Si chiamava PMATSU il Progetto di Monitoraggio Ambientale, Territoriale e Sociale, pensato come strumento di conoscenza del territorio e delle proprie dinamiche. Non riguardava solo il cantiere del Ponte, ma un’area molto vasta che comprendeva gran parte dello Stretto e analizzava atmosfera, acque superficiali, acque sotterranee, ambiente marino, suolo e sottosuolo, vegetazione e flora, fauna, ecosistemi, rumore, vibrazioni, paesaggio, stato fisico dei luoghi e viabilità dei cantieri, campi elettromagnetici, ambiente e sociale.

La rete di monitoraggio nella sola fase “ante-operam” comprendeva 2.300 stazioni di misura funzionanti e operative sul territorio. Potevano segnalare in anticipo il dissesto del territorio, le frane, le perdite delle tubature e delle condotte. Ma le attività sono state sospese il 1° marzo 2013 e le apparecchiature sono state disattivate senza che nessuno le ha volute – gratuitamente – tra gli enti locali.

In un editoriale pubblicato sul Corriere della Sera in prima pagina, Gian Antonio Stella denuncia lo spreco delle istituzioni locali che hanno abbandonato quel progetto utilissimo al territorio, a prescindere dal Ponte. Erano sensori di ultima generazione utili a studiare e proteggere lo Stretto dalle frane e dal dissesto. Recuperare quella strumentazione sarebbe stato un vero affare per il territorio, ma nessuno l’ha voluta. Le strumentazioni sono state perdute (il costo era stato di 35 milioni di euro) proprio perchè “puzzavano di Ponte“, e a Messina facevano schifo a tanti, a partire dal Sindaco Accorinti.

Oggi si permettono addirittura di dire che non vogliono il Ponte perché c’è il dissesto; un paradosso clamoroso. La realtà è l’opposto: il Ponte avrebbe protetto lo Stretto anche dal dissesto; e poi chi riesce a immaginare che Messina sarebbe rimasta 20 giorni senz’acqua con un’azienda come l’Impregilo, leader mondiale di condotte idriche, titolare dell’appalto per la costruzione del nuovo Canale di Panama, operativa sul territorio? Sarebbe intervenuta per risolvere il problema in poche ore. Con il Ponte Messina e lo Stretto sarebbero più al sicuro, e lo potranno essere se il governo – come già annunciato da Renzi – rispolvererà davvero l’iter progettuale realizzando un sogno attualmente accantonato nel cassetto. Un territorio depresso e sofferente come lo Stretto, non può assolutamente permettersi di dire di “No” all’unica vera grande occasione di rilancio e sviluppo: quel Ponte che è la vera priorità non solo di Calabria e Sicilia, ma di tutto il Sud Italia per uscire dalla crisi. Non dalla contestuale crisi economica, ma dall’atavica crisi di sottosviluppo destinata ad aggravarsi di anno in anno, di decennio in decennio.

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