Messina e Reggio: un potenziale immenso e mal gestito. Alfano incalza: il Ponte farà ripartire l’edilizia

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L’Area Integrata dello Stretto è una realtà che le istituzioni non sanno valorizzare a dovere. L’esponente del Governo torna alla carica sulla Grande Opera per promuovere nuove infrastrutture

Fare squadra, promuovere le ricchezze e la bellezza del patrimonio locale: dovrebbe essere questa la prima mission dei politici messinesi e reggini, impegnati nell’agone pubblico e vincolati – per il progresso delle proprie terre – ad una partnership obbligata, pena l’inutilità strategica dei loro territori di riferimento. L’Area Metropolitana che unisce la sponda calabrese e quella siciliana dovrebbe diventare insomma l’obiettivo di lungo periodo, un percorso non tortuoso da seguire con pedissequa coerenza cristallina. Essa, invece, viene spesso vissuta come un cruccio, vuoi per mentalità provinciale, vuoi per forma mentis campanilista. Le sinergie possibili vengono trascurate e così, come in un gigantesco gioco dell’oca, si torna sempre al punto di partenza, ai desiderata, agli auspici, agli slogan senza slanci di sorta.

Eppure i dati sono gli occhi di tutti: realtà con problemi simili, con province dal profilo identico, assistono ad una crescita del pendolarismo fra Scilla e Cariddi, crescita cui non corrisponde un rafforzamento dell’asse istituzionale per istituire un network funzionale alle grandi aspettative. Stamane, nell’aula magna dell’Università di Messina, verrà presentato un report redatto dal centro Studi e Ricerche Mezzogiorno: in esso si documenta come il traffico navale fra Messina e Reggio sia cresciuto del 123% negli ultimi tredici anni, un incremento dirompente che ha persuaso anche le grandi compagnie di navigazione mondiale a guardare allo Stretto come una possibile gallina dalle uova d’oro. Non a caso l’Autorità Portuale di Messina e Milazzo rivendica, con orgoglio, di essere il primo porto passeggeri in Italia, avendo assorbito il 18% del traffico nazionale. Ogni centesimo investito nella portualità, sostengono gli esperti, ha delle ricadute dirette sui territori: così cresce l’economia e la società si emancipa dai propri bisogni, si evolve, muta la propria pelle in virtù di una rinnovata fiducia.

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Se però, una volta sbarcati sull’isola, gli uomini e le donne “del continente” affrontano serie e gravi difficoltà per raggiungere non dico Catania o Palermo, ma perfino Letojanni e Capo Alì, ecco allora che i buoni propositi cedono il passo allo sconforto, diventano aleatori e regalano, a turisti e curiosi, l’immagine di una terra in balia degli eventi. E giù con la retorica di Tomasi di Lampedusa, del Gattopardo e del “ciaffico” benignano. Rilanciare le infrastrutture vuol dire iniettare fiducia, sprigionare energie positive e spezzare i lacci burocratici che vincolano la spesa. Il tutto, sia chiaro, guardando alla sicurezza dei territori. Non a caso nella giornata di ieri il Ministro Angelino Alfano è tornato alla carica sul dossier Ponte, un tema ormai quotidiano nel repertorio lessicale del Nuovo Centro Destra. La Grande Opera sarebbe un punto essenziale, a suo giudizio, per far ripartire l’edilizia. “Prevengo l’obiezione di chi dice che non si deve fare il Ponte perché ci vuole ‘altro’. Ebbene da sempre questo ‘altro’ che si attende alla fine non si fa, e non si fa neanche il Ponte sullo Stretto” ha detto in tono caustico il responsabile del Viminale. Forse il Ponte non risolverà i problemi, ma neppure la reticenza di una classe dirigente priva di modelli di sviluppo alternativi aiuta.

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