Reggina, da San Siro a Roccella: è sempre lo stesso copione, sei anni e mezzo dopo quel gol di Di Gennaro

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Reggina, l’umiliazione di Roccella è uno schiaffo senza precedenti nella storia del club e adesso il progetto tecnico inizia a scricchiolare dopo sole tre giornate

Sono passati sei anni e mezzo da quel 7 febbraio 2009 in cui nel tempio del calcio italiano andava in scena l’ultimo grande sogno amaranto. Una vittoria sfumata per un soffio, una vittoria mai trovata a San Siro nell’ultracentenaria storia amaranto ne’ prima ne’ tantomeno dopo di quell’emozionante partita contro il Milan. Era il Milan di Ancelotti, Maldini, FlaminiBeckhamRonaldinho, Inzaghi, Pato, Kakà. Proprio Kakà riusciva a pareggiare su rigore, a meno di 20 minuti dalla fine, dopo il bel gol di un giovanissimo Di Gennaro che al 34° minuto del primo tempo aveva portato in vantaggio la Reggina di Nevio Orlandi che scendeva in campo con Cozza, Barillà, Carmona e Corradi, e aveva in panchina Hallfredsson, Cirillo, Puggioni e Viola.

La lezione di San Siro

La lezione più bella, che però evidentemente la Reggina quella sera non è riuscita a cogliere, è stata quella del pubblico rossonero. Al 20° del secondo tempo la Reggina penultima in classifica sta vincendo 0-1 a San Siro contro il Milan, gol di un promettente ma sconosciuto Di Gennaro. Ancelotti sostituisce un evanescente Ronaldinho e manda in campo Pippo Inzaghi. I tifosi di casa si alzano in piedi e lasciano partire un affettuoso applauso d’incoraggiamento (dopo una prestazione come quella, poteva essere soltanto d’incoraggiamento) per Ronaldinho. Per i tifosi del Milan, insomma, ci poteva stare di perdere una partita in casa con quella piccola Reggina e i propri beniamini erano sempre e comunque da sostenere.

La presunzione del palato fino

Alla fine quel pareggio di San Siro lasciò con l’amaro in bocca più i sostenitori amaranto rispetto a quelli rossoneri. Andarlo a spiegare ai milanisti sarebbe stato impossibile. Ma l’ambiente reggino s’era già fatto il palato fino. Era già la nona stagione di serie A, quella che poi sarebbe stata l’ultima, ma chi l’avrebbe mai immaginato in quei giorni in riva allo Stretto. Ormai eravamo da Champions League, salvarsi con fatica e sudore nelle ultime giornate non ci andava più bene. “E’ meglio che scendiamo in B, almeno poi ripartiamo divertendoci, vinciamo facile il campionato e torniamo in A con più slancio“. Sì, infatti il primo anno in B è stato un inferno. Sconfitti da Gallipoli, Albinoleffe, Cittadella, Triestina, Ascoli, dall’Ancona 0-3 al Granillo, dal Cittadella, dal Frosinone, dal Sassuolo 0-2 al Granillo, e Frosinone e Sassuolo nel 2010 non erano quelli di oggi. Sconfitti da tutte le realtà meno blasonate, un’altra lezione che però neanche stavolta riuscì a riportare Reggio e la Reggina con i piedi per terra.

Altri quattro anni in serie B, tra luci e ombre, culminati con la retrocessione di due anni fa. Proprio nell’anno del Centenario. Un copione già scritto. Sconfitti in casa 1-4 dal Crotone, non era mai successo prima. “Abbiamo toccato il fondo“, dicevano i tifosi. E, ancora una volta: “meglio ripartire dalla Lega Pro, lì vinciamo a mani basse, torniamo in B con nuovo slancio“. Passano pochi mesi, si arriva a rimpiangere la sconfitta casalinga con il Crotone. Al Granillo stavolta passeggiano in tanti: 0-2 per Vigor Lamezia, Benevento e Foggia, 0-1 per l’Ischia, la Salernitana e il Messina, 2-3 per il Matera. Non parliamo delle trasferte: 4-0 a Benevento e Lamezia, 3-1 ad Aprilia contro la Lupa Roma, 4-1 a Messina, 2-0 a Torre Annunziata con il Savoia, a Melfi, Lecce e Cosenza, 1-0 a Catanzaro e Matera, 2-1 con Juve Stabia e Salernitana. Un incubo da cui ci siamo risvegliati soltanto grazie a Giacomo Tedesco, artefice di un miracolo con 4 vittorie consecutive a fine stagione, due derby vinti sul Messina ai playout, 1-0 al Granillo, 0-1 al San Filippo. La festa, il delirio. L’ennesima pagina di storia. La terza “carcagnata“.

Quegli incroci che mettono i brividi

Ci sono tanti incroci nella Reggina degli ultimi mesi che mettono i brividi. C’era Cozza in panchina l’anno scorso quando la Reggina naufragava, dopo un buon avvio, sul campo della Vigor Lamezia. Una buona gara, superiore ai padroni di casa fino al 25°. Poi il gol del vantaggio dei lametini e la Reggina stacca la testa, esce dal campo, naufraga incredibilmente. E’ l’inizio della fine. Dopo quella gara 7 sconfitte consecutive senza neanche fare un gol. Il nastro si riavvolge. Vigor Lamezia-Reggina sembra Roccella-Reggina di oggi. Partenza sprint per gli uomini di Cozza, nettamente superiori nel primo quarto d’ora. Poi arriva il gol del Roccella, casuale, nella prima occasione. Proprio come il Lamezia un anno fa. La Reggina stacca la testa, crolla. Potrebbe subire altri tre gol nei 5 minuti dopo il primo svantaggio. Le va bene, ma non riesce a riprendersi. Il primo tempo finisce 3-0, ma fosse finito 6-0 nessuno avrebbe potuto fiatare. Quante analogie tra Lamezia 2014 e Roccella 2015, tra la Reggina Calcio di Cozza in Lega Pro e l’ASD Reggio Calabria di Cozza in serie D.

E’ sempre lo stesso copione, sei anni e mezzo dopo quel gol di Di Gennaro

Non ci sono scuse o alibi che tengano, stavolta non c’è un Fusco con cui prendersela. Tre partite sono tre partite. E la Reggina ha tre punti in classifica soltanto perchè la Sarnese in attacco è poca roba, e nel finale al Granillo s’è divorata due occasioni clamorose a porta spalancata. Altrimenti avrebbe pienamente meritato il pareggio domenica al Granillo, e la Reggina sarebbe ferma a quota 1. Già in zona retrocessione. Retrocessione in Eccellenza, dove giocano Reggio Mediterranea e Gallico Catona. Pensavamo di andare a Roccella e passeggiare. “Dobbiamo fargli 10 gol, noi siamo il capoluogo” diceva qualche tifoso eccessivamente galvanizzato dalla sofferta vittoria di domenica al Granillo. Dopotutto c’è ancora chi sostiene che ripartire dalla D era la cosa giusta, “già da qualche anno”. Come se fosse facile.

Per adesso dopo tre partite la cosa più bella è stata fuori dal campo, sugli spalti. Quattromila tifosi passionali e colorati domenica al Granillo, come i 700 di oggi a Roccella. Un pubblico da serie A, che però adesso rischia di distaccarsi ancora di più per le ferite inferte in riva allo Jonio. E’ sempre lo stesso copione, la Reggina pensa ancora di vincere per il blasone. E finchè sarà l’ambiente ad esserne convinto, non ce la si potrà prendere con la società di turno o i calciatori di turno. Cambiano tutti, di anno in anno: presidenti, direttori sportivi, calciatori, allenatori. Ah no, scusate. Stavolta l’allenatore no, è lo stesso di un anno fa. Ma non importa, il concetto è sempre lo stesso. Con il blasone non si va da nessuna parte. Il Catanzaro da 30 anni soffre il peso del blasone. Serve fame, grinta. Umiltà. Pensavamo di vincerla facile la serie D. Abbiamo giocato con tre tra le squadre – con tutto il rispetto – più scarse di questo torneo, nessuna tra Aversa, Sarnese e Roccella lotterà per la promozione, eppure ne abbiamo perse due subendo sei gol in due trasferte. Roccella fa ancora più male, dal punto di vista psicologico è come Lamezia un anno fa.

Il progetto tecnico inizia già a scricchiolare

E adesso il progetto tecnico inizia già a scricchiolare. Un progetto tecnico composto da due professionisti come il Direttore Gabriele Martino e Mister Ciccio Cozza, per cui questa stagione alla Reggina significa molto più di una stagione. Si giocano la loro carriera, le loro chance di futuro. Se va bene, si torna grandi con la Reggina. Se va male, sarà una sconfitta doppia per loro. Perchè la Reggina un giorno potrà sempre ripartire, per loro sarebbe tutto più difficile. Martino ha contribuito alla Reggina dei miracoli negli anni ’90 e inizio 2000, ma era un altro calcio. Sono passati 15-20 anni. E’ tornato a Reggio sei anni fa, nel 2009: Direttore Sportivo con pieni poteri, ha prodotto il fallimento tecnico più grave della storia amaranto. Quasi 30 milioni di euro spesi tra ingaggi e cartellini per quella che doveva essere una corazzata ammazza-campionato e poi si è salvata nell’ultima giornata grazie ai talenti del proprio settore giovanile, mister Breda in panchina, Nicolas Viola e Simone Missiroli in campo. Se Martino fallisce anche stavolta, sarà difficile addossare ad altri le colpe.

Come per Cozza: l’anno scorso ha abbandonato la barca mentre affondava, qualcuno l’ha paragonato a Schettino, lui ha spiegato che “non c’erano le condizioni per esprimere il mio calcio“. Quest’anno invece ha fatto tutto lui: la società l’ha scelto ancor prima di individuare il Direttore Sportivo, gli ha dato le chiavi per scegliere i calciatori, per lavorare in piena autonomia. Non solo. Anche l’anno scorso la Reggina abbandonata da Cozza veniva miracolosamente salvata da Giacomo Tedesco, che ha appena ottenuto il patentino a Coverciano. Non ci credeva nessuno, la sua corsa al San Filippo dalla Tribuna al Settore Ospiti rimarrà per sempre scolpita nella storia amaranto. Eppure la nuova società non ha neanche per un istante preso in considerazione di ripartire da Tedesco, come bisognava fare in qualsiasi condizione e in qualsiasi categoria. Almeno questo è quello che pensiamo noi. E non perchè con Tedesco si sarebbe vinto facile la D, o perchè con Cozza è già persa. Ci mancherebbe. Adesso c’è Cozza e ci auguriamo che vinca il campionato. Ma non si può cancellare quello che è successo l’anno scorso. Dopo i disastri dello stesso Cozza, di Mozart, Padovano e Alberti, è arrivato Tedesco quando nessuno gli dava un centesimo, quando tutti ci chiedevamo che senso aveva cambiare allenatore in quel momento. Eppure in meno di due mesi ha fatto il miracolo: ha ricostruito un gruppo deragliato, ha ottenuto 4 vittorie consecutive come solo pochissimi allenatori nell’ultracentenaria storia della Reggina, ci ha regalato una delle poche parentesi degli ultimi 6 anni in cui nei volti della Reggina era tornato il sorriso. Quel sorriso che ci è sparito di nuovo.

La scelta di Tedesco sarebbe stata una scelta di merito. Sono passati tre mesi e mezzo. Il 30 maggio sembra un sogno di una storia leggendaria oggi piombata in un incubo che si chiama Roccella-Reggina 3-1. Pizzichiamoci, svegliamoci, diciamoci che non è vero. Soprattutto, ritroviamo umiltà e abbandoniamo la presunzione del blasone. Invertiamo questo maledetto copione, recepiamo quella lezione di San Siro. Sei anni e mezzo dopo, ma comunque meglio tardi se mai. O se preferite, essendo più fresca, c’è anche la lezione di Roccella. Bisogna giocarsela con tutti alla pari, si può prendere gol anche a Palmi, a Scordia, Leonforte, sul campo del Due Torri. Ma bisogna reagire. Bisogna reagire da Reggina, bisogna reagire da reggini. Quei valori tipici di questa comunità come l’umiltà e il sacrificio che la Reggina ha sempre rappresentato nella sua storia e che deve ritrovare già da domenica contro la Leonfortese al Granillo. Contro chi? Sì, la Leonfortese. E allora? Si inizia con palla al centro e 0-0, che vincano gli amaranto non è scritto da nessuna parte come il 29 agosto 1999 non c’era scritto da nessuna parte che la Juventus al Delle Alpi avrebbe battuto la Reggina, infatti all’esordio in A è finita 1-1. E quella Reggina, per quella Juventus, era molto meno della Leonfortese di oggi per la Reggina di oggi. Apriamo gli occhi, torniamo con i piedi per terra. Altrimenti ci ritroveremo a rimpiangere persino l’umiliazione di Roccella.

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