10 Settembre 2000: 15 anni fa la drammatica alluvione di Soverato. Cos’è cambiato dopo così tanto tempo?

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A 15 anni dall’alluvione che colpì Soverato, ancora, poche e inefficienti le politiche di prevenzione

Mario, Ida, Serafina, Raffaele, Paola, Iolanda, Giuseppina, Franca, Rosario, Antonio, Salvatore, Concetta e Vinicio. 13 nomi comuni, che senza un cognome e un luogo non associamo facilmente. Questi nomi, però, hanno una storia tragica che li segue. Una storia, che ancora porta tanta tristezza e angoscia, soprattutto, in questi giorni di paura e ansia a causa del maltempo. Sono i nomi delle vittime, che all’alba del 10 Settembre 2000 persero la vita durante l’alluvione che colpì Soverato, in Calabria. Sono i nomi di uomini e donne, che stavano trascorrendo l’ultima notte in un camping di Soverato, ” Le Giare”, prima di salutarsi tutti e ripartire. Quel momento non è mai potuto arrivare per loro, la piena è stata fatale. Il camping fu costruito in una zona a rischio esondazione, a ridosso del Torrente Beltrame che, ingrossato dalle piogge delle 48 ore precedenti e da detriti e rifiuti che crearono una diga temporanea che, inevitabilmente cedette, portò ad una colata distruttiva che invase e distrusse il campeggio. L’unico a non essere mai stato ritrovato è Vinicio Calabrò, il cui corpo è stato inghiottito dalla piena. A questi nomi ne è collegato un altro, quello del regista Giuseppe Petitto, che qualche giorno fa ha perso la vita in un incidente stradale lungo la statale 106 jonica. Il regista aveva ideato e prodotto, insieme ai fratelli Casadonte, un documentario dal titolo ” Tredici”, proprio sulla tragedia di Soverato, ricostruendo scrupolosamente, attraverso immagini e testimonianze, quei momenti drammatici. A 15 anni dalla tragedia di Soverato, si discute ancora su come questa tragedia potesse essere evitata. Se il destino beffardo avesse potuto aspettare un giorno. Solo uno. Ma la colpa non è del destino.

La tragedia poteva e doveva essere evitata. Come? Con piani di prevenzione adeguati, che prevedono la demolizione di tutti gli edifici e le strutture costruiti abusivamente in terreni a rischio. Non sono solo i familiari di queste vittime o di tutte le vittime di tragedie simili a chiederle, sono tutti i cittadini a volerlo. Non bastano le parole di vicinanza e condoglianze di tutti i politici e di tecnici a sopperire al dolore che, ogni anno, molte famiglie sono costrette a vivere a causa di queste tragedie. Sono necessarie politiche migliori, concrete ed utili. I piani PAI, utilizzati per la pianificazione dell’assetto idrogeologico, spesso vecchi o la nascita di progetti come il ReNDiS ( Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo), nato nel 2005, il cui scopo è quello di gestire i  piani e i programmi di interventi urgenti per la mitigazione del rischio idrogeologico, finanziato dal Ministero dell’Ambiente, non bastano. I finanziamenti stanziati per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico sono ancora troppo pochi e scarsi, rispetto al grande lavoro che il territorio tutto deve affrontare. Inoltre, i programmi di prevenzione da poter attuare sarebbero meno dispendiosi degli interventi di soccorso e dei programmi di ricostruzione, anche questi spesso scarsi e inefficienti. Per non parlare delle vittime, il cui peso grava proprio sulle spalle di coloro che, al momento della tragedia, promettono di fare di più e promettono che niente di tutto ciò accadrà. Almeno fino alla prossima tragedia.

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