Renzi sulle tasse si gioca tutto: il Governo punta al braccio di ferro con l’Europa

StrettoWeb

Il nuovo piano d’investimenti per il Mezzogiorno rivela la volontà dell’Esecutivo di aprire i cordoni della borsa: il premier punta a rivitalizzare l’economia dei territori, ma dall’Unione arriva l’altolà. Le riforme in cantiere e quelle realizzate non servono a nulla se non scende la spesa pubblica. Un’obiezione che divide, almeno in parte, Renzi da Padoan

Sulle tasse il Governo si gioca il proprio futuro: Matteo Renzi ne è convinto da tempo e sa che dalla riduzione del carico fiscale dipenderanno direttamente non tanto le sorti del suo Esecutivo, quanto le fortune elettorali del Pd alla prossima tornata. Per Renzi la partita delle aliquote rappresenta la madre di tutte le battaglie: essa potrebbe portare nuovi elettori da Forza Italia, stemperando le polemiche interne al partito e rilanciando l’azione strategica dei democratici contro Salvini e gli uomini di Grillo. Per questa ragione la finanziaria che verrà, quella cui Padoan sta lavorando alacremente da almeno tre mesi, rappresenterà la cartina di tornasole per capire la natura del Governo e la tempistica del ritorno alle urne. In altri termini: la data di scadenza della legislatura.

Le incognite sono ancora troppe. Pesa, in particolare, il blando ritmo di crescita, brutalmente registrato dall’Istat nel passato trimestre. Un andamento lento, per così dire, che preoccupa il presidente del Consiglio. Al netto della retorica contro i gufi e degli ammiccamenti rivolti ai Marchionne di turno per attrarre nuovi investimenti, l’Italia arranca e lo fa in presenza di shock esogeni positivi che dovrebbero portare la barca nazionale a navigare a vele spiegate. E’ un problema che riguarda l’Eurozona, spiegano pubblicamente da Palazzo Chigi; ma se è vero che la Germania ha registrato un modesto +0,4% nei propri ritmi di produttività, è altresì innegabile che la solidità di base di Berlino sia diversa rispetto a quella vantata da Roma.

E qui si torna al problema principale: far quadrare i conti. Renzi vorrebbe chiedere all’Unione maggiore elasticità: abbiamo approvato un nucleo di riforme fondamentali, sostengono gli uomini dell’entourage del premier, e adesso dal Vecchio Continente ci aspettiamo maggiori aperture sul fronte degli investimenti. Da qui la decisione mediatica di riaprire il dossier sul Mezzogiorno, una voce irrisolta dai tempi dell’Unità. Lo stanziamento di nuovi fondi per le aree depresse consentirebbe all’ex sindaco di Firenze di rilanciare l’economia delle regioni, aggirando i cacicchi locali (vedi Crocetta, Zingaretti, Emiliano) e creando così una sinergia con le suddette realtà. Una linea, quella portata avanti dall’Esecutivo, che poco persuaderebbe i partner comunitari, convinti che l’Italia abbia sì messo in campo degli sforzi lodevoli, che il Meridione necessiti sì di infrastrutture e investimenti organici, ma che tutto ciò debba essere posto in essere affrontando il nodo gordiano irrisolto, quello della spesa pubblica.

Carlo Cottarelli – Foto LaPresse

Di là dall’assunzione e dalla defenestrazione lampo di Cottarelli, la politica dei tagli non è mai stata in voga dalle parti di Palazzo Chigi e questo non è ben visto dall’Eurogruppo. Una posizione in parte simile l’avrebbe espressa anche il Ministro dell’Economia: iniettare liquidità nell’attuale sistema vorrebbe dire garantire ricche prebende ai soliti noti. L’unica chiave possibile per attivare un ciclo virtuoso porta al cambiamento delle linee guida degli investimenti. Padoan vuole puntare sulle infrastrutture certe (tradotto: finanziamenti solo a opere completate, qualora esse vengono realizzate entro un tot numero di anni) e sulla formazione dei giovani.

Renzi ascolta e fa sue le obiezioni degli esperti, ma sa che l’Italia – al momento – non è il malato d’Europa. La Grecia è stata salvata per il rotto della cuffia e sull’operazione di finanziamento ad Atene la Germania ha adottato posizioni a dir poco critiche. Perfino Parigi, dall’ascesa di Hollande, vede la crescita come un miraggio. Sul fonte interno tanto il Ppe quanto il Pse sanno di non avere interlocutori. Per questo insieme di ragioni il capo del Governo non è disposto a rinunciare ai suoi piani. La battaglia di Ottobre, quella che prevedibilmente verrà condotta a Bruxelles, si annuncia già lunga ed estenuante, ma da essa dipendono le sorti del Paese e quelle del renzismo. Il premier va in all-in.

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