“Ti cumbinasti comu i santi i Riggiu”: alla scoperta di un antico proverbio reggino

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Siamo nel lontano 1571: la Calabria, come d’altronde tutto il Mezzogiorno di Italia, era costantemente soggetta alle molteplici scorrerie ad opera delle più strane e svariate popolazioni che allora abitavano il Mediterraneo, ed in quegli stessi anni Santa Romana Chiesa era perennemente in lotta con i Turchi Ottomani, in seno a quei conflitti che portarono anche pochi anni prima, nel 1453, alla caduta di Costantinopoli, antica capitale dell’impero romano d’Oriente, in mano ottomana. Tuttavia, come dicevamo poc’anzi, ciurme e masnade di Turchi e di Arabi si abbattevano sulle nostre coste e, nel 1571, essi giunsero ed assaltarono anche la città della fata morgana, facendo a brandelli tutte le Chiese e tutte le statue e le effigi raffiguranti icone che afferissero al cattolicesimo: una vera e propria guerra di religione dunque, un ISIS ante litteram. E’ facile arguire, a questo punto, come anche molte statue di santi fossero state fatte a brani, e da qui dunque si comprende con facilità l’espressione che molti trassero da tale situazione, quella stessa che molti reggini adoperano ancor oggi in contesti relativi a situazioni davvero disastrose ed a dir poco catastrofiche e, specificamente, quelle nelle quali un soggetto si trova sull’orlo del collasso: “ti cumbinasti comu i santi i Riggiu”: dunque, “sei messo davvero molto male”.

Tornando tuttavia all’ambito più strettamente storico, giova ricordare come il 7 ottobre di quello stesso lontano anno fosse stata anche combattuta la battaglia di Lepanto, per mezzo della quale la Lega Santa (formata da Spagna, Repubblica di Venezia e Stato della Chiesa) aveva sconfitto quella ottomana, e grazie alla quale fu possibile che Spagna, Sicilia ed Italia meridionale restassero in mano cattolica, e che fosse dunque posta una conclusione definitiva alle scorrerie turche. Successivamente a questa battaglia, ad ogni modo, l’allora pontefice Pio V, ad imperitura memoria di questa memorabile vittoria, consacrò questo giorno alla Vergine Maria, che fu insignita anche del titolo di “Regina delle Vittorie” e di “Madonna del Rosario”, la cui devozione è peraltro estesa a tutto il suolo calabrese e, più in generale, meridionale; elemento dunque ancora una volta cogente nell’ambito della religione popolare del Mezzogiorno di Italia e fattore infine di connessione con la disamina del proverbio sopra menzionato.

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